Lavinia. La vita immortale di una principessa che non ha vissuto.

Lavinia. La vita immortale di una principessa che non ha vissuto.

Ho iniziato il 2024 con un personaggio silenzioso, di cui quasi nessuno ricorda il nome. Ma, se Virgilio non l’avesse inserita tra i personaggi della sua opera, forse, il progetto augusteo dell’Impero Romano non sarebbe stato lo stesso. Enea senza Lavinia non avrebbe potuto dare vita alla grande città di Roma.

Lavinia è vissuta in poche righe, uno stralcio della letteratura in cui le viene assegnato un compito che ha svolto in quasi religioso silenzio.

Ci è stata trasmessa solo una piccola immagine di quella che era la donna che il destino aveva promesso ad Enea.

Un grembo da affidare all’eroe fuggito da Troia, affinché la sua stirpe creasse un impero che i secoli a venire avrebbero visto nascere e soccombere ma la cui memoria è eterna.

Lavina è una principessa italica, dai biondi riccioli e disperata per la morte di sua madre.

Lavinia è un vago respiro tra le righe di una storia che Virgilio voleva fosse bruciata e Augusto voleva per celebrare la sua gens e la sua autorità.

Lavinia non ha mai goduto di una vita definita da gesta eroiche e immortali.

Virgilio non le ha mai dato il respiro vitale che di Didone e, anche se piuttosto breve, di Creusa.

Lavinia è un contorno, il piatto che è stato servito ad Enea perché Roma avesse la possibilità di nascere.

Lavinia è un rimpianto per l’autore di un’opera immortale che, se avesse potuto, avrebbe gettato il suo libro tra le fiamme della città da cui Enea era partito.

Ma come conquistare una parentesi di esistenza?

Ursula K. Le Guin ha fuso insieme il mito e la storia. La vita di una principessa senza voce e quella della guida dantesca negli Inferi.

Lei, giovane sacerdotessa, sulla soglia del suo futuro e lui, anziano e ormai morente, con un piede nell’Ade.

Quasi uno scambio di respiri per lasciar che la principessa parlasse senza che lui le abbia mai permesso di farlo.

I due, tre le ombre della divinità, intavolano un dialogo che si perde nel tempo e nello spazio e diventa una profezia.

Il libro di Ursula K. Le Guin diventa quasi un finale all’Eneide e al tempo stesso la pace per una coscienza tormentata.

E se non ci fosse stata la guerra tre Enea e Turno?

Se Virgilio avesse bruciato la sua opera?

Cosa ci sarebbe stato poi di male?

Resta una domanda al termine di Lavinia: se un’opera non è finita, cosa l’autore deve sacrificare per far vivere la sua storia?

Virgilio sacrificò l’esistenza di una donna e la rese immortale perché se la storia non è terminata l’unico finale possibile è l’eternità.

Lavinia

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“Ero stata la colomba legata al palo, che sbatte le sue sciocche ali come se potesse volare, mentre sotto di lei i ragazzi urlano, la indicano e le scoccano frecce fino a quando una non va a segno”

Clitemnestra. La Regina che uccise Agamennone per giustizia.

Clitemnestra. La Regina che uccise Agamennone per giustizia.

Quando ho saputo che sarebbe uscito un altro romanzo sulla regina Clitemnestra di Micene, lo devo ammettere, la mia prima reazione è stata: ancora?

In un mercato piuttosto saturo di retelling di ogni genere, non è la prima volta che la regina di Micene fa capolino sugli scaffali delle librerie.

Ma, come capita, mi sono dovuta ricredere. Il retelling mitologico che prende il nome dalla famosa moglie del re Agamennone è, con ogni probabilità, la storia di Clitemnestra che stavamo aspettando.

Firmato da Costanza Casati, texana di nascita ma dal cuore italiano, ed edito per Sperling & Kupfer, Clitemnestra è un successo.

La narrazione narra della vita di Clitemnestra dalla sua infanzia al momento in cui, feroce come un’erinni, uccise suo marito con una scure.

È incredibile che le persone ricordino solo la furia con cui il re Agamennone, re dei popoli greci o almeno così gli piaceva farsi chiamare, è stato abbattuto come un albero secco.

Povero eroe, ucciso dalla moglie fedifraga proprio il giorno in cui tornava a casa dopo dieci anni di guerra e mentre si vantava di aver preso come concubina la sacerdotessa di Apollo più famosa della storia greca: Cassandra.

Ma cosa aveva scatenato quella furia?

No, Egisto non è colpevole di istigazione.

Clitemnestra non è donna che si faccia influenzare fino a quel punto dal belloccio di turno.

In comune avevano la sete di vendetta.

Per un uomo, si sa, la voglia di rivalsa è una questione di onore soprattutto se si parla di poemi epici.

Per una donna, non una qualunque in questo caso, è questione di giustizia.

Clitemnestra è una principessa spartana, è la sorella dei Dioscuri e anche di Elena moglie di Menelao e, a detta di molti, l’unica causa di tutta la distruzione che si abbattè sulle porte Scee che custodivano lo scrigno di Troia.

Ma non siamo qui per parlare di Elena.

Anche se, ci tengo a dirvelo, non so davvero perché Menelao, che governava Sparta, si stupì così tanto di essere stato abbandonato dalla moglie.

Certo, Paride non ha onorato le leggi dell’ospitalità greca ma l’Atride minore avrebbe dovuto sapere che a Sparta una donna è legittimata ad abbandonare un marito se il nuovo pretendente è potenzialmente un arricchimento ai suoi possedimenti.

Troia era ben più ricca di Sparta e, senza Elena, Menelao teoricamente sarebbe stato il possessore di nulla.

Mi rendo conto che spiegato così è un po’ semplicistico, anche poco preciso e avrebbe bisogno di un approfondimento ma sono stanca di sentire: Elena è il problema.

Secondo voi, uno tsunami di 10000 navi greche sono arrivate ad abbattersi su Ilio solo perché la famigerata figlia di Leda e Zeus potesse tornare ad essere la mogliettina trofeo di Menelao?

Suvvia!

Torniamo a Clitemnestra.

Fu cresciuta per essere regina, fu istruita anche per essere una spartana ed era una guerriera di non poco talento.

Fiera, caparbia e intelligente non aveva nulla da invidiare a sua sorella.

Quando Agamennone decise che sarebbe stata la sua consorte, Clitemnestra era già sposata e aveva un figlio.

Beh, inutile dire che il figlio maggiore di Atreo non lo ha affatto considerato un problema insormontabile, li uccise e si prese la sua principessa.

L’autrice ci racconta del rapporto matrimoniale tra i due: lui non smetteva di cercare di sottometterla mentre lei scelse di aspettare il momento propizio per dargli quello che meritava.

L’episodio scatenante della furia incontenibile fu il “sacrificio” di Ifigenia.

Questa scena in particolare nel libro della Casati è l’essenza della tragedia greca epica. Tutti si muovono ma sono tutti fermi congelati nell’istante di un omicidio crudele di cui nemmeno Achille riesce a darsi spiegazione.

A Clitemnestra era stato portato via un figlio e l’amore una volta di troppo.

Questo è l’inizio della fine per il re che disse di aver abbattuto Troia ma che uccise se stesso.

L’autrice non ha cambiato molto della storia originale narrata dai grandi nomi del teatro greco. Anzi, gli aggiustamenti apportati sono funzionali alla storia e alla comprensione del punto di vista della protagonista.

Potete essere o meno d’accordo con la protagonista, non sta a voi giudicarla.

A lei non interessa affatto il vostro parere.

Chiamatela mostro se così vi piace, ma voi cosa avreste fatto se foste stati al suo posto?

Clitemnestra

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Vi piacciono le mie recensioni? Eccone altre per voi: Willie lo strambo e La vendetta degli dei

Clitemnestra aveva infranto la sua coppa contro il muro. Era rimasta immobile mentre uno schiavo era accorso ad asciugare il vino sparso per terra. gli ospiti l’avevano fissata, ammutoliti. 

Lei aveva guardato suo padre negli occhi: “Prima o poi morirai. E io non ti piangerò. Guarderò le fiamme consumare il tuo corpo ed esulterò”.

L’urlo di Fedra. Denuncia di uno stupro sociale dagli echi del mito

L’urlo di Fedra. Denuncia di uno stupro sociale dagli echi del mito

Siamo a Creta, nel palazzo di Cnosso, alla corte di Minosse e Pasifae. Vi hanno raccontato tante versioni di questo mito. Lo hanno fatto i soliti ignoti: Euripide, in due versioni perché dovette correggere la prima dell’Ippolito velato; Seneca nella sua Phaedra; Sofocle nella sua opera perduta e volle cimentarsi anche il grande cantore degli amori Ovidio nelle Eroidi con una lettera di Fedra a Ippolito. Al giorno d’oggi, Laura Shepperson scrive una nuova versione di questa storia: L’urlo di Fedra.

Partiamo dal principio della storia: Chi è Fedra?

La principessa è figlia del re di Creta Minosse e della regina Pasifae e sorella di Arianna. La sua infanzia è piena di “incidenti mitologici” per dirla in maniera sottile.

Il mito racconta molte cose incredibili sulla famiglia della principessa.

Sua madre, la regina Pasifae, mise al mondo il Minotauro dopo essersi accoppiata con uno dei tori sacri. Il re Minosse fece costruire da Dedalo, il grande ingegnere del mondo antico, il famoso labirinto per rinchiuderlo e per sacrificare le vite degli ateniesi mandati come “indennizzo” a Creta per la morte del primo figlio del re.

Sua sorella Arianna, dopo aver aiutato Teseo (che nella mitologia è una sorta di prezzemolo adatto ad ogni storia, un po’ come Agamennone e Ercole) ad uccidere il mostro nel labirinto, fugge con il principe ateniese che dopo poco l’abbandona.

Arianna diventerà la sposa di Dioniso, ma la nostra autrice ha altri piani per la sua tragedia.

Che Teseo non sia l’eroe che tutti hanno sempre creduto non è cosa nuova, quindi aggiungere un omicidio non farebbe nessun danno alla sua reputazione.

Il destino di Fedra, dopo che Arianna è fuori dai giochi matrimoniali di Minossse, è segnato: convolerà a nozze con il principe ateniese.

Quello che arrivò a Creta come principe, tornerà ad Atene come re. Non ha dovuto nemmeno sporcarsi le mani, gli è bastato dimenticare di far cambiare le vele alla sua nave.

Considerato tutto si potrebbe dire che il Fato stava architettando per lui la giusta compensazione per i suoi misfatti.

Certo, ma quelli come Teseo cadono in piedi e continuano a brillare di luce propria.

Se tutto questo fosse una favola moderna, con un’aggiustatina dal punto di vista del politicamente corretto, si potrebbe dire: Fedra sposa il principe, diventa regina e tutti vissero felici e contenti.

Peccato che il mito non esiste per arci sentire a posto con la coscienza.

Sulla copertina del libro campeggia il titolo: L’urlo di Fedra.

Cosa accade ad Atene? Nel mito i due sposi mettono al mondo la loro prole e, mentre Teseo se ne va a passeggio per le sue imprese eroiche, Fedra si innamora di Ippolito (figlio del precedente rapporto di Teseo con un’Amazzone).

Ippolito non può accettare questo amore e rifiuta Fedra. La regina furiosa e amareggiata racconta, al ritorno del marito, di essere stata violentata da Ippolito che viene accusato ingiustamente mentre la regina si suicida.

La corte ateniese de L’urlo di Fedra è ben diversa.

Arianna è morta annaspando tra le mani di Teseo che stringeva via via sempre più forte mentre Fedra sta per cadere in una trappola che, per una volta, Teseo non aveva immaginato nemmeno di poter progettare.

Ippolito è un giovane viziato e insofferente attorniato da una cerchia di giovani che potrebbero essere assimilati ai Proci che assediavano la corte di Ulisse al suo ritorno ad Itaca.

Il re ateniese, com’è ovvio, non si può esimere dal partire. A Fedra non è interessato e per lui è poco più che un ostaggio sottratto a Minosse per non invocare una nuova cernita di giovani ateniesi.

La regina vive segregata e lasciata a se stessa in un’ala del palazzo che, per farvi capire, è come se fosse la torre degli ospiti indesiderabili de La spada nella roccia.

Il rapporto con Ippolito è tempestoso, lei cerca di avvicinarsi la figlio di Teseo per fare in modo che loro rapporti siano civili o amichevoli, mentre il ragazzo la respinge e i suoi amici mettono in giro strane voci sul fatto che la regina, di fatto ma non in pratica, stia tentando di sedurre il loro principe.

Una notte Ippolito, sedicente adepto senza macchia di Artemide, stupra senza pieta Fedra lasciandola più morta che viva tra il fango e le sterpaglie.

La sua motivazione? È stata lei a farglielo fare.

Come? Nella solita maniera in cui uomini di una certa caratura morale accusano donne di averli fatti deviare dal loro cammino fatto di rettitudine e santità.

Fedra decide che Ippolito deve pagare. L’urlo di Fedra è l’urlo di tutte le donne di Atene.

Incinta e derisa dalla città, invece di scappare, decide di affrontare Teseo e obbligarlo ad emettere un giudizio equo nei confronti di Ippolito.

Teseo non può fare a meno di essere l’eroe di se stesso, non può permettere che il suo unico figlio paghi e cerca di comprare il silenzio della sua regina.

No, lei non può accettare.

Quindi, il processo ha luogo e il principe viene ritenuto…

Da qui dovete procedere da soli. Perché L’urlo di Fedra riecheggia in tutto il finale che ha comunque il sapore della tragedia che poteva essere evitata.

Laura Shepperson si prende diverse licenze dal mito, è lei stessa a dirvelo ma nel mito non è reato se lo di fa con lo scopo di denunciare le ingiustizie.

Lo ha fatto Euripide, lo ha fatto Seneca e lo hanno fatto tutti gli altri: denunce sociali in un tessuto culturale che sembra vedere ma non muoversi altrettanto velocemente, quindi perché questa Tragedia dovrebbe essere impostata diversamente?

La narrazione è impostata a più voci come richiedono la Tragedia e il teatro greco.

All’inizio della lettura pensavo che questo modo di narrare, ormai presente in ogni retelling dei classici mitologici, sarebbe stato penalizzante per la narrazione.

Perché? Voi non vi infastidite se tutti i libri sembrano uguali?

Invece l’Urlo di Fedra deve essere una Tragedia Corale, non può essere altrimenti. Se una sola Persona urla mentre le altre tacciono non si andrà mai troppo lontano.

L'urlo di Fedra

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Ogni uomo può lanciare parole in aria,
e che sono le donne a dover pagare,
quando le parole arrivano a terra.

Elettra. La tragedia di Sofocle rinarrata da Jennifer Saint.

Elettra. La tragedia di Sofocle rinarrata da Jennifer Saint.

Nel 409 a.C. Sofocle mise in scena la storia di una delle figlie di Micene. Suo padre era il grande Agamennone, il re che (si dice) portò i greci alla vittoria su Troia; sua madre era Clitennestra, la sorella di Elena che fu colei per cui (si dice) sia scoppiata la guerra di Troia. Lei, la nostra protagonista, era sorella di Ifigenia, di Crisotemi e Oreste: il suo nome è Elettra.

Sofocle non fu l’unico a scrivere una tragedia sulla principessa ma nelle altre opere, per esempio quella di Euripide, non troviamo l’Elettra che Jennifer Saint ha voluto che conoscessimo.

Come nello stile delle tragedie del teatro greco la Saint scrive usando più voci, quella di Clitennestra e quella di Cassandra, che al lettore possono sembrare troppo preponderanti al confronto di quelle della principessa.

È vero, Clitennestra e Cassandra hanno fin troppa voce in questo libro e potrebbe capitare di chiedersi che fine abbia fatto la donna da cui il romanzo prende il nome.

In fondo, Sofocle affida tutta l’azione ad Oreste.

Ma dovete mettere tutto in prospettiva. Questa non è la mera storia della principessa micenea ma anche una sorta di omaggio al tragediografo che di Elettra ci restituisce il furore.

Elettra non è colei che attua le azioni più importanti della vicenda ma ne è il motore e il carburante.

La regina Clitennestra e la principessa Cassandra sono coloro che conoscono tutto ciò che c’è da conoscere sul padre che Elettra tanto ama.

Come Oreste è la mano che gli dei mandano alla vendetta, Clitennestra e Cassandra sono le custodì della verità che Elettra si rifiuta di vedere.

Faremo un processo ad Agamennone? Credo che la sua storia e il suo destino abbiano già fatto abbastanza per questo tracotante personaggio che non conosceva limiti.

In questo Elettra è davvero sua figlia: la mancanza di percezione di tutte le realtà davanti ai suoi occhi è sbalorditiva.

Anche questo elemento della personalità di Elettra è ben reso dalla disposizione dei capitoli dell’opera della Saint: Elettra è talmente distante dalla vista del lettore che ogni volta che appare la percezione che si ha di lei è così fuori fuoco dalla realtà da renderla poco più che la bambina inerme delle Coefore di Eschilo o della donna rosa dai sensi di colpa di Euripide.

Ho dovuto riprendere in mano appunti di scuola e le fonti per rendermi conto dell’enorme lavoro di progettazione di questa storia, a prima vista non lo avevo notato e mi sono sentita piuttosto sciocca.

Ma, a questo punto, mi devo chiedere: i giovani che di Elettra conoscono solo l’appartenenza alla mitologia, capiranno questo gioco di sguardi tra la storia del teatro greco, la protagonista e il retelling mitologico?

Il linguaggio è quello giusto, forse manca una piccola spinta verso la giusta direzione e spero di essere stata di un qualche contributo in merito.

Elettra è un personaggio dalle molte facce ma il sentimento che la tiene in piedi è l’Ira che come avrete modo di vedere non è mero appannaggio di Achille.

Tutti ricordano la spiaggia di Troia ma non che sia stata la vita della mite Ifigenia a permettere che le navi partissero dalla Focide; la storia da la colpa alla fedifraga Elena e alla pazza Clitennestra della sorta del più grande dei greci ma mai ricordano che pur di avere lo scettro Agamennone ha mandato a morte la sua stessa progenie ingannandola nella più vile delle maniere.

Per la gloria e l’onore direbbero i grandi condottieri ma per è per la follia, la cupidigia e il possesso che tutto si è messo in moto.

Elettra è il secondo libro del progetto editoriale di Jennifer Saint sulle donne del mito. Il primo, sempre edito per Sonzogno, è Arianna mentre il prossimo sarà su Atalanta.

Elettra

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Bramavo di prendere il posto di una schiava che non aveva nulla, eccetto la cosa che io volevo di più al mondo: l’abbraccio di mio padre.

La trama di Elena. L’Ananke, figlia di Leda e Némesi, che accese le porte di Troia

La trama di Elena. L’Ananke, figlia di Leda e Némesi, che accese le porte di Troia

Questa è una storia dalle molte facce. È più antica delle storie che vengono narrate da uomini nei testi sacri alla nostra civiltà. È una storia che è stata un’eco ma anche la tragedia più cruenta. Un mito cantato da Aedi, uno su tutti: Omero, il cantore dalle molteplici voci. Le parole dell’Iliade soffiano vento sull’ira di Achille ma non è la trame del Pelide ad aver portato tutti lì. Tutti sono davanti alle porte oblique e sinistre di Troia per La trama di Elena.

Elena, elénaus, elandros, eléptolis.

La distruttrice di navi, di uomini e di città.

Francesca Sensini è la portavoce de La trama di Elena.

Mi piace definirla così perché il libro reca il suo nome come l’Iliade reca quello di Omero nel posto che si consegna agli autori ma è Elena a parlare.

Ho letto molto sulla guerra di Troia e ogni testo mi ha sorpreso, conquistato o delusa.

Ci sono dei personaggi, specialmente quelli femminili, soprattutto negli ultimi anni, su cui sono molto prevenuta.

Perché?

È facile chiamare in causa nomi come Briseide, Cassandra e Elena ma non è intenzione di tutti dare un corpo e uno spessore al personaggio in questione.

Non tutti sono disposti a onorare il mito e gli aedi, anzi in molti l’unico desiderio è dare voce all’ego dello scrittore ammantandosi di vaticini improbabili, trame ordite a metà e prigionie che ricordano le favole Disney.

Ho letto un saggio, qualche tempo fa, che mi ha regalato una Elena reale e immaginata ma non mi aspettato che sarebbe arrivata un’autrice a dare ulteriore spessore alla donna che diede fuoco ad Ilio.

La trama di Elena discolpa la donna più bella e odiata al mondo.

Non è un libro che vuole renderla più simpatica a chi ha scelto di odiarla e l’ha additata come l’artefice di tutte le sventure di cui le donne, da lei in poi, vengono additate e per questo condannate.

Anzi, Elena è pronta a prendersi ogni colpa.

Ogni ingiuria.

Ogni epiteto.

È pronta ad immolarsi se questo è utile e necessario.

Ma non lo farà in silenzio.

Sa benissimo che starete a sentire le sue parole, la sua voce arriva dalle profondità del tempo ed era lì ben prima di Lilith, ben prima di ogni altra donna e di tutte lei è anima e corpo, una parte del suo eco vive in tutte noi.

Se è bastato il suo nome ad imbonire un esercito di diecimila navi e la sua voce a farsi amare da una città assediata, chi siete voi per resisterle?

Quasi sembra strano che Ulisse abbia avuto bisogno di essere legato e privato dell’udito per non cadere vittima delle sirene, aveva ascoltato la voce di dee prima di loro e ne era stato ammaliato come tutti.

La trama di Elena è un arazzo tessuto tra i secoli.

La figlia di Zeus, di Leda e di Nèmesi è davanti a voi, fila un arazzo di immagini contemporanee alla sua vita ma anche scene che la catturano nei secoli a lei posteriori.

Vi è mai capitato di osservare un quadro e sentire le voci e i rumori della narrazione?

Questo è La trama di Elena: l’incantesimo della donna più bella e odiata del mondo.

Un coro di voci di cui solo lei è in grado di riprodurre il suono e non potrete fare a meno di starla a sentire.

Non ci riuscì Euripide, non ci riuscì Filostrato e nemmeno le popolazioni indigene delle Hawaii, voi comuni mortali sarete in grado di resisterle?

Io non credo.

La narrazione della Sensini è poetica come un canto di gioia e dolore ed è perentoria come un invito alla guerra.

Coercitiva come la discordia ed ineluttabile come la giustizia.

Ci sono tanti passaggi che vorrei lasciare a piè di pagina per voi lettori ma non mi è possibile metterle tutte. Farei un torto ad Elena se scegliessi qualcosa e pretendessi che questo con influenzi anche voi.

Mi limito a credere che quella che scriverò sia più adatta a quello che l’autrice ed Elena hanno cercato di nascondere tra le righe come monito a voi che leggete le sue parole.

Elena è la fiaccola che diede fuoco al cancello protetto dal baluardo che nessuno ascoltava.

Un incendio di fuoco greco che rischiara le epoche e che nessuno ha ancora compreso come spegnere.

La trama di Elena

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Adottano così liberamente la menzogna, ne hanno bisogno, come l’architrave la colonna, per non frantumarsi su se stessi.

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Vi capita mai di guardare i libri che avete comprato e dire: “Questo è il momento in cui ti leggerò!”? Per me è arrivato il momento di leggere Libere. Circe e le altre di Sabina Colloredo.

Dopo aver letto qualche libro sui retelling mitologici ero, come immaginate sia ovvio, preparata all’argomento.

Circe di Madeline Miller è uno dei libri più venduti degli ultimi anni e quindi la sua protagonista è sempre sulla cresta dell’onda e, infatti, non so quanto per caso, la figlia di Helios ed esule ad Eea, è la prima delle libere della Colloredo.

Circe vive esule in un’isola in cui è regina, giudice e carnefice di coloro che approdano sulle sponde del suo regno. Ha numerose doti, di cui immagino che molti di voi siano ormai edotti.

Circe è la “strega” più famosa dell’antichità classica.

Non avete bisogno che vi dica per quale motivo fosse temuta dagli umani, volete forse essere trasformati in un qualche animale?

Gli dèi la temevano per la sua arguzia, le sue abilità con gli incantesimi e la conoscenza delle erbe. La temevano perché, nonostante fosse esule dalle sale degli dèi e donna, Circe era libera di dire quello che voleva e fare ciò che desiderava con la sua immortalità.

Fino ad un certo punto.

Tutte le ninfe le venivano inviate per ricevere insegnamenti e tornare poi ai loro compiti di immortali, piene di conoscenza e finalmente Libere.

Anche se… Libere non è la parola che io userei.

Né Circe né le altre potevano definirsi Libere.

La Libertà è cosa ben diversa dalla Consapevolezza.

La seconda donna, una delle altre dopo la maga innamorata di Ulisse e schiava del destino, è un personaggio di cui non si è ancora parlato molto nella letteratura degli ultimi anni: Ifigenia.

La ragazza era figlia di Clitennestra e Agamennone. La sua è una storia interessante e davvero triste.

Prima delle figlie del re di Micene, uno degli Atridi, il vero motore della guerra contro Troia, Ifigenia era una giovane innamorata della vita e, nonostante le asprezze dei suoi genitori, era una figlia devota.

Quando le venne presentata la possibilità di sposare l’eroe più famoso e più desiderato, dalle donne della sua epoca, la figlia di Agamennone non esitò a proclamare la sua volontà di rispondere alla chiamata del padre.

L’Atride era fermo sulle sponde di un’isola. A fare cosa? Aspettare che Artemide lo lasciasse partire per prendere le mura della città di Priamo.

Ifigenia non sapeva che non avrebbe sposato Achille e non sapeva che suo padre l’avrebbe sacrificata per avere le vele gonfie di vento.

Sappiamo come reagì Clitennestra: con una vendetta lenta ma inesorabile.

Ma questa non è la storia della regina sorella di Elena né è la storia del fratello di Ifigenia, Oreste, che uccise sua madre.

La figlia prediletta di Agamennone, quando scoprì il vero motivo della convocazione in Focide, prese consapevolezza del suo ruolo di sacrificio alla cupidigia degli uomini e accettò liberamente di offrirsi come espiazione per i delitti verso la dea Artemide.

Alcuni dissero che la dea la sostituì con una cerva e la salvò proprio nel mezzo dell’atto ma sono voci e non sono importanti ai fini della tragedia.

Di nuovo c’è, però, la voce in prima persona di Ifigenia.

Non è più un personaggio sullo sfondo di una tragedia, la vittima della lotta tra i suoi genitori e nemmeno un movente per un omicidio; è finalmente libera di essere se stessa e parlare.

Ma Libera? No, quello mai.

Seguono Cassandra, la sacerdotessa di Apollo e figlia di Priamo.

Se sua madre non fosse stata impegnata ad essere innamorata di Paride e del suo potere, forse si sarebbe accorta che dietro alle parole di sua figlia poteva celarsi un oscuro presagio.

Qualcosa di nuovo nella storia di Cassandra?

No, solo una ragazza che è libera di parlare ma che nessuno ascolta per via della maledizione ricevuta da Apollo.
Aspettate, un elemento sottile potrebbe aggiungere un po’ di pepe alla narrazione.

Non fu Apollo a toglierle la facoltà di essere ascoltata ma solo l’arroganza di Ecuba. Mentre la persona che la sacerdotessa pensava fosse il dio che le sputava in bocca, altri non era che il gran sacerdote che la stuprava di notte.

Questa Cassandra è più presente a se stessa della Cassandra di Christa Wolf, ma ugualmente persa.

In Libere, sceglie di vivere in un sogno che l’ha protetta dalla scure della regina di Micene nella sua mente ma non nella realtà.

Preferivo una Cassandra Consapevole della sua follia e del suo destino; anche se fosse stata la Cassandra di Marion Zimmer Bradley de “La torcia” l’avrei preferito.

Cassandra Libera? Libera da cosa?

L’ultima delle donne trattate dalla Colloredo è Dafne.

La naiade, nel libro, è una delle ninfe istruite da Circe. La ragazza sconvolta dalla relazione della maga con Ulisse, decide di vivere una vita priva dalle costrizioni del suo sesso e dell’amore degli uomini.

In questa versione Dafne è figlia di Gea. Quest’ultima è una dei Titani e dea della Terra mentre, in altri miti la ragazza è figlia di una ninfa.

Succede spesso con la mitologia. Non è importante quale scegliete di seguire.

La Colloredo ci racconta della volontà di Dafne di far parte della corte di Artemide ma che la dea la rifiutò (possiamo presumere che lo fece per favorire il suo gemello), inoltre che fu proprio la naiade ad uccidere Leucippo con il suo arco da cacciatrice.

Apollo si innamora di Dafne e pur di averla gioca ad un gioco perverso. Visto le Dafne lo rifiuta come amante, il dio decide di sedurre tutte le sue compagne fino a che non sarà l’ultima.

Nonostante le profferte dell’olimpico figlio del dio degli dèi, Dafne lo sfida ad una corsa e, sul punto di essere presa invoca l’aiuto della madre Gea e questa la trasforma in alloro.

Tutti conoscete la statua di Gian Lorenzo Bernini: il momento in cui la ninfa delle acque, per sfuggire dalle mani di Apollo, si trasforma in albero. Notate l’espressione di terrore della ragazza che non immaginava che l’aiuto che l’aiuto che le sarebbe arrivato fosse quella trasformazione.

Libere.

Dafne ha scelto il proprio destino con coraggio e forse è l’unica delle donne che ha davvero goduto di un certo grado di libertà fino a che, chiedendo aiuto, ha perso la vita che voleva per sé.

È Libertà scoprire tardi di dover rinunciare alla propria natura?

La parola che cercate per Dafne è Coerenza.

Ricapitolando:

  • Circe è libera di vivere solo sulla sua isola e ogni dio è capace di manipolarla come desidera;
  • Ifigenia è libera unicamente di sognare il matrimonio con Achille che non avverrà mai e di accettare il suo destino a desta alta e non come un animale da macello;
  • Cassandra non è libera nemmeno da se stessa;
  • Dafne coerente con la sua natura è libera solo di disporre del proprio potere di chiedere aiuto ad una dea che la trasforma senza davvero liberarla.

Libere. Circe e le altre è un libro che vi consiglio?

Ogni racconto è in prima persona, questo è una cosa che apprezzo visto che le donne in esame devono essere libere di usare la propria voce.

È scritto molto bene, anche se la versione in mio possesso ha qualche difetto: qualche comprensibile errore di battitura e una frase con un soggetto non molto chiaro.

Dal punto di vista di ricerca di novità nell’ambito dei retelling mitologici, la scelta di far parlare Ifigenia e Dafne mi sembra un piacevole nuovo scorcio sul tema.

È un libro piacevole con un focus non molto coerente sulla realtà dei fatti narrati. Essere libere di poter usare la voce non è un sinonimo della libertà delle protagoniste.

Sono state scomode nella loro società, sono state maltrattate ingiustamente e ne hanno pagato lo scotto ma non sono MAI Libere di Vivere.

Libere.

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Mentre la pozione che mi aveva dato Calcante staccava la mia anima dal corpo e i pensieri si facevano limpidi e tersi, li vidi per quello che erano e mi fecero persino pena.

Pena e Schifo.