Cose che non ho buttato via. La vita degli oggetti.
Recensione a cura di Francesca
La vendetta degli dei. Da tragedia a show comico

Quando si perde qualcuno che in un modo o nell’altro, ha lasciato un segno nella nostra vita, non ci si abitua alla mancanza e si ricerca in ogni modo il ricordo, in questo a volte ci vengono in aiuto le Cose che non ho buttato via.


I ricordi per me hanno tante forme, un piccolo quadernetto con simboli della cabala, un cristallo, una foto sgualcita, un anello.


Ciascuno di quegli oggetti intrappola un frammento di anima a cui ho annodato un ricordo, a volte prendendoli in mano sorrido, altre volte piango.


In realtà sono una persona talmente legata ai ricordi che ho scelto di vivere in una casa che respira vite passate ad ogni mattonella, che custodisce ricordi in ogni crepa.


In questa casa ho poi aggiunto altri ricordi: i libri di mio padre.

Ogni tanto li sfoglio con la pretesa di una rivelazione, sperando di pescare un ricordo sommerso dalla polvere o di percepire un odore, una sensazione.


Alle volte mi sembra di vedere le sue dita che voltano la pagina, la forma delle unghie, la maniera unica e particolare di percepire lo spessore del foglio.


Anche per me sono tante le Cose che non ho buttato via e delle quali non mi disferò mai.


Il titolo mi ha colpito proprio per tutti i motivi che vi ho appena raccontato, avevo voglia di immergermi nella vita di qualcuno che ha saputo legare frammenti di vita ad oggetti vissuti.


Marcin Wicha ci racconta di sua madre, di attimi di vita vissuta insieme e del suo essere una donna particolarmente risoluta ed ingombrante.


Lo fa attraverso gli oggetti della sua casa.

Non scompariremo senza lasciare traccia.

E persino quando scompariremo,

rimarranno le nostre cose,

polverose barricate.

La grande libreria faceva da cornice alla vita della famiglia e ne ha assorbito le varie sfumature.


Il profilo delle copertine invecchiate, gli odori della quotidianità che il libri hanno assorbito al loro interno fondendoli insieme ai racconti.

Tutto diventa un pretesto per perdersi in un istante passato.


Wicha in Cose che non ho buttato via, ci fa conoscere i vari aspetti della madre attraverso l’analisi dei libri e si troverà a dover decidere di quali disfarsi e quali tenere.


La scelta risulta spesso molto ardua perché la madre si dilettava nel dispensare commenti per molti dei libri letti.


Scelte complicate, anche perchè il timore è quello di perdere una parte di quei ricordi oltre agli oggetti.

Ed ecco che fra le pagine l’autore si ritrova a soffermarsi su episodi a volte ironici, che aiutano a disegnare il quadro della madre.

Una donna ferma nelle sue decisioni, ma figlia di un’epoca difficile che le ha fatto indossare la corazza, che non abbassa lo sguardo di fronte a nessuno.


Si respira l’amore immenso di un figlio per la madre, la voglia di renderla felice anche dopo la sua morte, di non deluderla mai.

Mia madre non ha lasciato massime,

perle di saggezza o comandamenti.

Troppo prudente per esordire con una prima opinione,

esplodeva invece nelle risposte.

Nelle reazioni.

Nelle derisioni.

Sempre pronta a intervenire quando qualcuno si dava troppe arie.


Non pensate però che questo sia un libro triste.

Le pagine scorrono con la sensazione che lo scrittore sia sereno del descriverci i vari episodi, spesso si percepisce una velata ironia.


Devo dire che questa scelta narrativa mi ha lasciato un po’ perplessa almeno all’inizio.

Questo però è un libro fatto di sensazioni crescenti, come se l’autore stesso, nella stesura del libro, scelga di lasciare andare le briglie delle emozioni gradualmente.


Fino a raggiungere l’apice nel racconto finale.

In cui il dolore non è più velato ma diventa quasi tangibile.

La scelta narrativa di alternare i suoi pensieri confusi ai fatti che stavano accadendo, aiuta il lettore ad entrare con maggiore empatia nel suo animo.


Un libro da esplorare con i sensi più che con gli occhi e che descrive un legame che va ben oltre la vita.

Cose che non ho buttato via

Per leggere la trama clicca qui.

Le biblioteche sono la testimonianza delle nostre sconfitte di lettori. Sono pochi i libri che davvero ci sono piaciuti. Ancora meno quelli che ci continuano a piacere anche dopo una sucessiva lettura. La maggior parte sono ricordi delle persone che volevamo essere. Che facevamo finta di essere.

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