Il re del grano e la regina di primavera. Cosa sfugge agli occhi?

Il re del grano e la regina di primavera. Cosa sfugge agli occhi?

Quando ho letto il titolo di questo libro, nella mia mente si sono create immagini che rievocano scenari ancestrali. Naomi Mitchinson, nel 1931 circa, scrive Il Re del Grano e la Regina di Primavera, edito nella nuova traduzione per Fazi nel 2022 e inserito nella collana Lainya.

Questo libro è considerato uno dei capolavori del fantasy e, anche se con qualche riserva, si può dire che la fama sia meritata.

Ma Il Re del Grano e la Regina di Primavera è molto più di questo.

Cosa non sapete de Il Re del Grano e della Regina di Primavera?

Normalmente non leggo le altre recensioni scritte in merito a libri che sto analizzando per non essere, in qualche modo influenzata dai giudizi altrui ma, questa volta l’ho fatto.

Potete leggere che questa è la storia di Erif Der (la Regina di Primavera) e di Tarrik (il Re del Grano), di come l prima cercò, per ordine di suo padre e suo fratello, di ammaliare con la magia Tarrik per poter poi ottenere il potere sulla comunità di Marob.

Il che non stava a significare avere solo il potere politico ma anche quello religioso.

Scoprirete che Marob non è una città esistita ma immaginaria all’interno del territorio degli Sciti e che in questa popolazioni le donne sono detentrici di poteri magici.

Vi diranno che Erif Der e Fililla (uno degli altri personaggi femminili) sono l’emblema di donna che lotta contro una società patriarcale e che, attraverso la forza di volontà e un carattere incandescente, ottiene un’emancipazione dai costumi sociali della sua epoca.

Tutto questo è vero, ma c’è molto di più. Altrimenti nelle 790 pagine di questo libro vi perdereste senza trovarne il capo e la coda.

Cosa, quindi, c’è da scoprire ne Il Re del grano e la Regina di Primavera?

Siamo pressappoco in età ellenistica, Alessandro è già passato a miglior vita (cosa che davvero gli auguro) e i diadochi hanno messo a ferro e fuoco il suo impero riducendolo in frantumi.

La narrazione inizia in Scizia, territorio più o meno compreso tra il Volga e il Dnestr (per aiutarvi è, grosso modo, il luogo in cui oggi si combatte una guerra), e tocca molti altri territori famosi: Sparta, Megalopoli e Alessandria.

Alcuni dei personaggi sono realmente esistiti, come potete constatare dalla casa regnante di Sparta che dei fasti dell’antica città guerriera ha ormai solo il nome.

Ma fino a qui non vi ho ancora detto cosa non avete ancora scoperto di questo corposo ma bel libro.

Non fatevi fuorviare dalla ricerca della bellezza di Berris, dalla fame di toccare l’intangibile di Tarrik e dalla lotta all’emancipazione di Erif e Fililla.

Il Re del grano e la Regina di Primavera nasconde il suo vero significato in un capitolo che potrebbe passare inosservato.

Sto parlando della cerimonia del raccolto. Tutte le culture toccate da Naomi Mitchinson hanno in comune la celebrazione del raccolto, è un rito di passaggio ed è qualcosa di ancestrale per ogni popolazione a prescindere dai riti religiosi che questa pratichi.

Sapete cosa hanno in comune tutte queste popolazioni nel libro?

Tutte sono in un momento di mutamento in cui l’ordine è sul punto di spezzarsi, sono tutte in un inverno in cui solo un apparente distruzione invernale può portare alla rinascita primaverile.

Affrontare un “male” necessario per consentire alla terra di rinascere, questo avviene in natura e nelle civiltà, anche se gli esseri umani spesso hanno modi davvero discutibili di mettere in pratica questo meccanismo di rifioritura.

La Mitchinson crea una storia che solo in apparenza è una storia tra ragione e sentimento, tra filosofia e magia, in questo il suo amico Tolkien le ha ben insegnato.

Nascondere tra le trame la struttura di segreti che, forse, non hanno bisogno di essere spiegati a chi vuol intendere.

C’è ancora molto altro da scoprire e non sempre i protagonisti ve lo renderanno facile!

Vi auguro una buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate.

Il Re del Grano e la Regina di Primavera

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Altri suggerimenti per le vostre letture? Le lupe di Pompei di Elodie Harper. Vite amare in un lupanare e Lo sguardo di Medusa. Un mito che non smette di essere cantato e abusato.

Ari il campo, ma non è tuo. Perchè il campo dovrebbe ascoltarti? La terra chiusa non vuole l’aratro, e fredda e dura sarà per il seme. Perchè dovrebbe venire la primavera?

L’isola dei morti. Arnold Böcklin credeva fosse un luogo tranquillo.

L’isola dei morti. Arnold Böcklin credeva fosse un luogo tranquillo.

Se vi portassi a fare un viaggio a poche miglia dalla costa ligure? Andiamo a Zoagli, una piccola isola in cui non va mai nessuno e che è apparsa nelle tele di Arnold Böcklin. La chiamano L’isola dei morti, anche se il pittore la dipinse chiamandola “un luogo tranquillo”. Io l’ho scoperta quando Fabrizio Valenza mi ha donato una copia del suo libro: L’isola dei morti.

Ora che vi ho affascinato con questa tela dal fascino mistico e che siete volontariamente con me su questa barchetta in mezzo al mare, ora che non potete tornare indietro se non a nuoto, vi informo che è il 1885 e che non esistono il GPS e il cellulare e sull’isola non c’è che UN telefono ma l’unico numero che potete comporre è quello per richiamare il vostro Caronte.

Non preoccupatevi, né Dante né Virgilio verranno a salvarvi e, in fondo, non ce n’è bisogno. Andiamo in un posto tranquillo.

Di recente hanno tutti una passione morbosa per Mercoledì di Tim Burton ma io la amavo quando ancora il pubblico internazionale la riteneva la degna figlia di una coppia fuori testa, quando se ti chiamavano Mercoledì o Morticia era per insultarti e non per farti un complimento.

E questo cosa centra con L’isola dei morti?

Niente ma volevo dirvi che quando si parla di comportamenti riguardo alla morte io ci sono.

Un archeologo che non osa andare dove va un antropologo culturale sarebbe lo zimbello di tutti.

Potete accorgervene già dal dipinto, chi non ha pensato ai Re stregoni di Angmar guardando quelle sponde, evidentemente non ha una passione per Tolkien e forse nemmeno per Tim Burton, ma di fronte a voi ci sono grotte che sembrano tombe.

L'isola dei morti

Andrea Nascimbeni è un antropologo e decide di voler indagare sul luogo, sulle tradizioni del luogo in merito alle inumazioni e come queste siano rimaste intatte nonostante il cattolicesimo.

Ve l’ho già detto che L’isola dei morti non è una meta turistica?

Il nostro studioso si accorge presto che c’è qualcosa di molto più che misterioso in questa isola. Sì, perché nessuno ne vuole parlare e chiunque fa di tutto per distoglierlo dalla sua intenzione.

Vi svelo in segreto: nessuno può dire a uno studioso dove non può andare a ficcare il naso. Se conoscete Indiana Jones o Lara Croft lo sapete bene.

Se avete sentito qualche diceria sulla spedizione che scoprì la tomba di Tutankhamon, ecco ora sapete anche che può non andare come speravate. Ma la storia sulla maledizione non è vera, non credete a tutto diamine.

Andrea, che forse ha più spirito di sopravvivenza di quanto lui stesso crede, si presenta a Rosina (che è la proprietaria dell’unico posto che potete chiamare locanda) con un nome diverso.

Forse perché qualcosa, oltre alle rimostranze di tutti riguardo al viaggio, non lo convince.

Nemmeno la locandiera lo vuole lì. Andrea insiste a chiamare il luogo L’isola dei morti, Rosina dice che per gli abitanti quel luogo non ha nome.

La locanda si chiama L’ultimo posto, vi è chiaro?

In effetti l’antropologia del luogo è singolare e il Nascimbeni se ne accorge prestissimo.

Benedetto ragazzo, una delle prime raccomandazioni che gli è stata fatta è quella di non farsi vedere dagli abitanti; la seconda è di andarsene prima del 32 di ottobre.

No, non mi sono sbagliata.

Durante il vagabondare del nostro personaggio, si è profilata davanti ai suoi occhi una pletora di individui che potrebbero farvi giungere ad una conclusione sbagliata, è successo anche a me.

Ma, come vi dicevo prima, non bisogna credere a tutto.

L’isola dei morti non si chiama così per il motivo che credete voi.

Alti cipressi adombrano il teatro di camere funebri che Andrea non tarda a trovare a caro prezzo.

Tra tutte le ipotesi che potrebbero giustificare una tale consuetudine funeraria, non sono sicura che il sesto senso di Andrea abbia subodorato quello esatto.

Io lo avevo immaginato? Sapete, quando noi studiosi siamo abituati a conoscere le abitudini di popoli molto antichi, anche quando questi popoli delle loro abitudini non ci hanno lasciato nulla se non i luoghi, ci capita spesso di fare la cosa più semplice: ovvero metterli in correlazione.

L’Isola dei morti non ha abitudini diverse da altre culture, solo che, per il nostro cervello, la possibilità che queste si verifichino in una società occidentale e sotto al sole della cattolicissima chiesa di Roma, rende la supposizione improbabile.

Quindi se una cosa sembra improbabile, viene scartata e capita di fare la figura degli sciocchi. Può capitare che alla fine tocchi riscrivere la storia delle scoperte sull’Umanità, non è una tragedia.

L’isola dei morti è antica e vive nel mondo al tempo presente.

Insomma, se nessuno vuole che gli esterni si facciano gli affari loro una ragione ci deve essere, giusto?

Quando la scopriremo sappiate che qualcuno deve chiamare Caronte, che si chiama Andrea anche lui, e deve farlo anche in fretta prima che succeda l’irreparabile.

Vi avevo avvertito che qui urlare AIUTO non sarebbe servito, vero?

L'isola dei morti

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Mi auguro che ciò che leggerete nelle seguenti pagine, a voi solo dirette e non per gli occhi della Scienza, non vi induca a giudicarmi, ma che, anzi, possano muovervi a pietà della mia vita e della disperazione che la corrode.

Il canto di Messalina. Melodia distorta di un’imperatrice.

Il canto di Messalina. Melodia distorta di un’imperatrice.

Tra tutti i personaggi femminile della storia antica che nella mia vita da lettrice e da storica, ho conosciuto, lo ammetto: tutte mi aspettavo tranne la più improbabile di tutte. Antonella Prenner, per Rizzoli, pubblica Il canto di Messalina.

In fondo, perché no?

Perché la scandalosa imperatrice di Roma non dovrebbe aver voce, in questo periodo storico, in cui tutte le eroine delle leggende prendono voce per smascherare l’ingiusto trattamento che è stato riservato loro?

Figlia di Domizia Lepida, nipote della sorella di Augusto, e di Marco Valerio Messalla Barbato, Messalina è, se non la più famosa, una delle più famigerate matrone della casa imperiale.

Antonella Prenner, forse ha infiorettato la vita di questa giovine, ma ci restituisce una Valeria Messalina viva e ebbra di passioni.

Sapete, quando ho visto questa pubblicazione, mi aspettavo che la scrittrice mi avrebbe raccontato di una Valeria Messalina che le fonti avevano distorto, che mi avrebbe narrato un’imperatrice distrutta ingiustamente dalla tradizione che ne ha narrato le gesta.

Mi aspettavo un libro in cui non mi sarei riconosciuta come storica e che avrei storto il naso ben più di qualche volta.

Come è andata? Il canto di Messalina è un canone inverso, è una melodia dissonante e straziata.

Non sono così abile con le parole, probabilmente non riuscirò in poche righe a dirvi cosa c’è da sapere su questo personaggio ma farò quello che posso.

Valeria Messalina prende il suo nome dal padre, le ragazze del suo tempo non hanno la possibilità di ricevere un nome scelto tra milioni di possibilità.

A Roma le ragazze ereditano il nome della loro Gens paterna.

Le donne romane erano più libere delle donne greche, soprattutto quelle nate nelle famiglie più abbienti, ma non pensiate che potessero avere chissà quale margine di azione.

Non avrebbe mai potuto scegliere di sposarsi per amore, nemmeno se suo padre fosse stato vivo lo avrebbe permesso.

Era davvero molto giovane, per i canoni moderni lo sarebbe stata troppo.

Il canto di Messalina cosa vi mostra che ancora non sapete?

Suppongo che nell’immaginazione di tutti, Messalina sia quanto di più vicina ad una donna che si può definire poco virtuosa.

Famosa per i suoi complotti, per gli omicidi commissionati e per la libertà discinta nell’amministrare il suo corpo.

A suo confronto, le accuse degli storici mosse contro Livia Drusilla, Giulia e Agrippina maggiore sembrano delle reprimente per educande.

Messalina e il suo canto… non c’è giuria che possa assolverla, nemmeno al giorno d’oggi.

Il canto di Messalina, ve l’ho già detto: non è una melodia pastorale, non è un valzer.

La sindrome di Messalina è un fenomeno riconosciuto dalla psicologia e vi rimando alle pubblicazioni scientifiche per sapere di cosa si tratta ma posso dirvi che i nomi delle sindromi non spiegano la personalità della persona che dona loro l’appellativo.

Fatico a trovare le parole per questo libro che mi ha sorpreso. L’ho letto in due giorni e mi ha completamente stravolta.

Messalina NON è una vittima, l’imperatrice vive in una follia dissociativa.

È difficile accettare, per noi ma anche per le persone come Messalina, che ci sia qualcuno al mondo che non percepisce la realtà di quello che si percepisce e che si vede. Queste persone insistono di essere nella ragione e per chi sta loro attorno è un gioco al massacro.

L’atmosfera della lettura di questo spartito è dissonante.

Il canto di Messalina è la strozzata cacofonia di una musica che suona nelle orecchie di chi la canta in maniera differente di come arriva a chi la ascolta.

La danza di una menade che non ha visto finire il baccanale e ancora balla senza la musica ad accompagnarla.

Questa è una marcia di morte e la giovane Valeria Messalina non se ne accorse prima del barlume d’argento.

Vorrei che teneste a mente questo, perché nel libro è ben presente quest’atmosfera: Messalina cercherà di irretirvi alle sue ragioni ma, davanti a voi, è ben presente la realtà che lei sta distorcendo.

Potreste essere in accordo sul fatto che è stata data in sposa ad un uomo molto più anziano di lei e che lei non volesse.

Suo marito fu scelto dai suoi genitori su consiglio dell’imperatore, non è nulla di strano per quel tempo, ma Caligola non era una persona a cui si potesse dire di No.

Claudio non solo era anziano ma anche claudicante e balbuziente. Insomma, per una bellissima giovane quale era Messalina, non era quello che si dice un adone.

Roma, ahimè, non è governata da sentimenti o da favole ma da alleanze.

Chi ha mai avuto tra le mani l’Apolokyntosis di Seneca ha un’idea di come lo zio di Caligola apparisse ai suoi detrattori.

Messalina ha molti spettri nella mente che si agitano convulsi: Valerio Messalla, Giulia e Agrippina Maggiore. La giovane imperatrice coltiva questi nomi come miti senza rendersi conto che le loro storie non sono la sua.

Messalina è arrogante, talmente da non comprendere. Non ascolta nessuno finché non sente quello che vuole lei.

Non vi confondete: Valeria Messalina NON è un eroina moderna.

Non ha bisogno di amore ma di assoggettare le volontà ai suoi capricci.

Si dice che nella gens giulio-claudia scorresse il gene della pazzia e forse è così ma…

Messalina canta alla sua cara luna una canzone non sente nessun altro.

Si è prefissa una missione che non aveva motivo di esistere, ha compiuto atti indicibili per il puro piacere di esercitare un potere che era il riflesso della luce di altri.

Lei guardava l’uomo che era stata costretta a sposare ma non vedeva Claudio.

Eternamente insoddisfatta per i motivi più volubili, tenterà di convincervi che il mondo è contro di lei.

Tenterà di essere la sirena che vi conduce nelle profondità del mare.

Non c’è davvero giuria che potrebbe assolverla. Non c’è coro che potrebbe assecondare la sua musica, nessuna Circe a comprendere i suoi incantesimi. Nemmeno Medea comprenderebbe la sua ira.

A differenza delle donne che Messalina prende ad esempio per giustificare la sua condotta, Livia Drusilla e Tiberio non avrebbe dovuto mandare nessuno a metterla a tacere: non c’è bisogno di far uccidere chi si distrugge da solo.

Il canto di Messalina

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Era felice perchè vedeva il suo proposito vicino, le mani sulla pelle di suo marito flaccida, pallida, fredda di morte, lo avrebbe accarezzato, trafitto da una spada o rosso di sangue ancora fresco, oppure livido al collo per il segno della corda, gli occhi sbarrati in cerca del respiro interrotto, e gli avrebbe dato un bacio sulle labbra esangui, l’ultimo, l’unico vero. Ma possibile che felicità significasse dare la morte?

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Vi capita mai di guardare i libri che avete comprato e dire: “Questo è il momento in cui ti leggerò!”? Per me è arrivato il momento di leggere Libere. Circe e le altre di Sabina Colloredo.

Dopo aver letto qualche libro sui retelling mitologici ero, come immaginate sia ovvio, preparata all’argomento.

Circe di Madeline Miller è uno dei libri più venduti degli ultimi anni e quindi la sua protagonista è sempre sulla cresta dell’onda e, infatti, non so quanto per caso, la figlia di Helios ed esule ad Eea, è la prima delle libere della Colloredo.

Circe vive esule in un’isola in cui è regina, giudice e carnefice di coloro che approdano sulle sponde del suo regno. Ha numerose doti, di cui immagino che molti di voi siano ormai edotti.

Circe è la “strega” più famosa dell’antichità classica.

Non avete bisogno che vi dica per quale motivo fosse temuta dagli umani, volete forse essere trasformati in un qualche animale?

Gli dèi la temevano per la sua arguzia, le sue abilità con gli incantesimi e la conoscenza delle erbe. La temevano perché, nonostante fosse esule dalle sale degli dèi e donna, Circe era libera di dire quello che voleva e fare ciò che desiderava con la sua immortalità.

Fino ad un certo punto.

Tutte le ninfe le venivano inviate per ricevere insegnamenti e tornare poi ai loro compiti di immortali, piene di conoscenza e finalmente Libere.

Anche se… Libere non è la parola che io userei.

Né Circe né le altre potevano definirsi Libere.

La Libertà è cosa ben diversa dalla Consapevolezza.

La seconda donna, una delle altre dopo la maga innamorata di Ulisse e schiava del destino, è un personaggio di cui non si è ancora parlato molto nella letteratura degli ultimi anni: Ifigenia.

La ragazza era figlia di Clitennestra e Agamennone. La sua è una storia interessante e davvero triste.

Prima delle figlie del re di Micene, uno degli Atridi, il vero motore della guerra contro Troia, Ifigenia era una giovane innamorata della vita e, nonostante le asprezze dei suoi genitori, era una figlia devota.

Quando le venne presentata la possibilità di sposare l’eroe più famoso e più desiderato, dalle donne della sua epoca, la figlia di Agamennone non esitò a proclamare la sua volontà di rispondere alla chiamata del padre.

L’Atride era fermo sulle sponde di un’isola. A fare cosa? Aspettare che Artemide lo lasciasse partire per prendere le mura della città di Priamo.

Ifigenia non sapeva che non avrebbe sposato Achille e non sapeva che suo padre l’avrebbe sacrificata per avere le vele gonfie di vento.

Sappiamo come reagì Clitennestra: con una vendetta lenta ma inesorabile.

Ma questa non è la storia della regina sorella di Elena né è la storia del fratello di Ifigenia, Oreste, che uccise sua madre.

La figlia prediletta di Agamennone, quando scoprì il vero motivo della convocazione in Focide, prese consapevolezza del suo ruolo di sacrificio alla cupidigia degli uomini e accettò liberamente di offrirsi come espiazione per i delitti verso la dea Artemide.

Alcuni dissero che la dea la sostituì con una cerva e la salvò proprio nel mezzo dell’atto ma sono voci e non sono importanti ai fini della tragedia.

Di nuovo c’è, però, la voce in prima persona di Ifigenia.

Non è più un personaggio sullo sfondo di una tragedia, la vittima della lotta tra i suoi genitori e nemmeno un movente per un omicidio; è finalmente libera di essere se stessa e parlare.

Ma Libera? No, quello mai.

Seguono Cassandra, la sacerdotessa di Apollo e figlia di Priamo.

Se sua madre non fosse stata impegnata ad essere innamorata di Paride e del suo potere, forse si sarebbe accorta che dietro alle parole di sua figlia poteva celarsi un oscuro presagio.

Qualcosa di nuovo nella storia di Cassandra?

No, solo una ragazza che è libera di parlare ma che nessuno ascolta per via della maledizione ricevuta da Apollo.
Aspettate, un elemento sottile potrebbe aggiungere un po’ di pepe alla narrazione.

Non fu Apollo a toglierle la facoltà di essere ascoltata ma solo l’arroganza di Ecuba. Mentre la persona che la sacerdotessa pensava fosse il dio che le sputava in bocca, altri non era che il gran sacerdote che la stuprava di notte.

Questa Cassandra è più presente a se stessa della Cassandra di Christa Wolf, ma ugualmente persa.

In Libere, sceglie di vivere in un sogno che l’ha protetta dalla scure della regina di Micene nella sua mente ma non nella realtà.

Preferivo una Cassandra Consapevole della sua follia e del suo destino; anche se fosse stata la Cassandra di Marion Zimmer Bradley de “La torcia” l’avrei preferito.

Cassandra Libera? Libera da cosa?

L’ultima delle donne trattate dalla Colloredo è Dafne.

La naiade, nel libro, è una delle ninfe istruite da Circe. La ragazza sconvolta dalla relazione della maga con Ulisse, decide di vivere una vita priva dalle costrizioni del suo sesso e dell’amore degli uomini.

In questa versione Dafne è figlia di Gea. Quest’ultima è una dei Titani e dea della Terra mentre, in altri miti la ragazza è figlia di una ninfa.

Succede spesso con la mitologia. Non è importante quale scegliete di seguire.

La Colloredo ci racconta della volontà di Dafne di far parte della corte di Artemide ma che la dea la rifiutò (possiamo presumere che lo fece per favorire il suo gemello), inoltre che fu proprio la naiade ad uccidere Leucippo con il suo arco da cacciatrice.

Apollo si innamora di Dafne e pur di averla gioca ad un gioco perverso. Visto le Dafne lo rifiuta come amante, il dio decide di sedurre tutte le sue compagne fino a che non sarà l’ultima.

Nonostante le profferte dell’olimpico figlio del dio degli dèi, Dafne lo sfida ad una corsa e, sul punto di essere presa invoca l’aiuto della madre Gea e questa la trasforma in alloro.

Tutti conoscete la statua di Gian Lorenzo Bernini: il momento in cui la ninfa delle acque, per sfuggire dalle mani di Apollo, si trasforma in albero. Notate l’espressione di terrore della ragazza che non immaginava che l’aiuto che l’aiuto che le sarebbe arrivato fosse quella trasformazione.

Libere.

Dafne ha scelto il proprio destino con coraggio e forse è l’unica delle donne che ha davvero goduto di un certo grado di libertà fino a che, chiedendo aiuto, ha perso la vita che voleva per sé.

È Libertà scoprire tardi di dover rinunciare alla propria natura?

La parola che cercate per Dafne è Coerenza.

Ricapitolando:

  • Circe è libera di vivere solo sulla sua isola e ogni dio è capace di manipolarla come desidera;
  • Ifigenia è libera unicamente di sognare il matrimonio con Achille che non avverrà mai e di accettare il suo destino a desta alta e non come un animale da macello;
  • Cassandra non è libera nemmeno da se stessa;
  • Dafne coerente con la sua natura è libera solo di disporre del proprio potere di chiedere aiuto ad una dea che la trasforma senza davvero liberarla.

Libere. Circe e le altre è un libro che vi consiglio?

Ogni racconto è in prima persona, questo è una cosa che apprezzo visto che le donne in esame devono essere libere di usare la propria voce.

È scritto molto bene, anche se la versione in mio possesso ha qualche difetto: qualche comprensibile errore di battitura e una frase con un soggetto non molto chiaro.

Dal punto di vista di ricerca di novità nell’ambito dei retelling mitologici, la scelta di far parlare Ifigenia e Dafne mi sembra un piacevole nuovo scorcio sul tema.

È un libro piacevole con un focus non molto coerente sulla realtà dei fatti narrati. Essere libere di poter usare la voce non è un sinonimo della libertà delle protagoniste.

Sono state scomode nella loro società, sono state maltrattate ingiustamente e ne hanno pagato lo scotto ma non sono MAI Libere di Vivere.

Libere.

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Mentre la pozione che mi aveva dato Calcante staccava la mia anima dal corpo e i pensieri si facevano limpidi e tersi, li vidi per quello che erano e mi fecero persino pena.

Pena e Schifo.

Schiaccianoci e il Re dei Topi. Iacopo Bruno illustra Hoffmann

Schiaccianoci e il Re dei Topi. Iacopo Bruno illustra Hoffmann

C’era una volta in un reame molto lontano nel tempo una fiaba. La fiaba diventò un eco nel tempo e quest’ultimo la trasformò in una danza. Ovviamente sto parlando di Schiaccianoci e il Re dei Topi.

Scritta da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann nel 1816 è diventata una delle fiabe natalizie più amate di tutti i tempi, per tacere delle numerose opere che sono state ispirate dalle pagine di questo autore eclettico e dai mille interessi.

Chi è Hoffmann, l’autore della celeberrima fiaba Schiaccianoci e il Re dei topi?

Se dovessi descrivervi l’autore con una sola parola fallirei nella missione e non è cosa che io possa risolvere con una sciabola argentata.

Figlio di una famiglia dedita alla religione e alla politica è lui stesso avvocato, non solo non si limita alla professione legale ma si dedica a tutto quello che è arte.

Durante i suoi studi, in una scuola luterana, inizia lo studio della musica e affronta gli studi classici. La sua non è una famiglia convenzionale: quando i suoi genitori di separano, viene affidato alla famiglia di sua madre e di conseguenza a suo zio che avrà cura della sua istruzione.

Hoffmann è scrittore, compositore, pittore e altre centinaia di cose ma da chi avrà preso il suo talento?

Nel 2023 comincia ad essere un po’ sciocco pensare che qualcuno diventi famoso solo perché deve aver “barato” con una genetica fortunata. Quello che, però, posso dirvi è che suo padre si dilettava di musica ed era compositore quando la sua opera di pastore nella chiesa luterana e il lavoro di avvocato a Königsberg gli lasciavano del tempo libero.

La passione, quella sì, deve avergliela trasmessa suo padre ma il talento… quello è qualcosa che non puoi rubare a nessuno.

Mi sembra che nel 2023 sia ancora indiscusso il successo delle sue opere, ho ragione?

Conoscete tutti la trama di Schiaccianoci?

La famiglia Stahlbaum, composta da: padre ufficiale medico, madre e i due figli Fritz e Marie si appresta a passare il Natale in famiglia.

È usanza che i bambini vengano tenuti lontano dal salone della casa per tutta la giornata della vigilia per poter permettere ai loro genitori di imbastire il tavolo dei regali e gioire dell’autentica meraviglia sul viso dei loro figli.

Complice in questi regali, dal sapore fiabesco e meravigliosi, è il padrino dei bambini Drosselmeier.

Funzionario dell’Alta Corte di Giustizia (davvero mi domando da chi l’autore abbia preso spunto…) Drosselmeier è orologiaio e un personaggio pieno di misteri.

Tra i numerosi regali ricevuti dai bambini ci sono un plotone di Ussari, che dovete tenere a mente, e uno Schiaccianoci dall’aspetto umano, in uniforme, che svolge il suo ovvio compito di aprire le noci con la sola forza della sua mascella.

A dispetto della bellezza di tutti i regali che Marie riceve, la ragazzina si innamora di questo soldato apri noci. Presa da una bramosia che solo i bambini di qualche epoca fa potrebbero comprendere, Marie difende Schiaccianoci da chiunque e lo annovera nel salotto delle sue bambole più preziose.

Quello che Marie non sa è che sta compiendo l’atto più rivoluzionario dell’umanità.

Qual è il significato de Lo schiaccianoci?

Marie scopre presto che esiste un mondo oltre a quello che conosce e che anche lì esiste un personaggio che è disposto a tutto per la vendetta.

Non ho intenzione di dirvi tutto io, dovete leggere il libro se non lo avete ancora fatto.

Sono certa però che chi ha dei bambini ha visto Barbie e lo Schiaccianoci di Owen Hurley; gli amanti del teatro hanno assistito al celeberrimo balletto “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij; mentre l’ultimo adattamento (2018) è Lo schiaccianoci e i quattro regni con la regia di Lasse Hallström e Joe Johnston.

Questa fiaba è come Canto di Natale di Dickens, non potete non aver mai sentito nominarla.

So che conoscete la storia almeno in parte.

Ma qual è il significato de Lo schiaccianoci?

Vi ricordo che questa fiaba inspirò anche Andersen e ora vi svelerò quale fu l’atto rivoluzionario compiuto da Marie.

Schiaccianoci non era certo il regalo più bello che si potesse ricevere ma qualcosa nei suoi occhi destò l’amore in Marie.

Non era certo, per tutti gli altri e una certa principessa, il caso di amare una creatura brutta e soprattutto chi mai vorrebbe rinunciare ai propri tesori per un giocattolo di questa risma?

Oltre ogni pregiudizio, oltre ogni raccomandazione, Marie sceglie di amare senza farsi condizionare da nessuna regola.

Ho usato la parola amore che è un preludio al lieto finale della storia ma non è solo di quello che si parla.
Lo schiaccianoci parla di lealtà, di tenacia e amicizia.

Come vi ho già detto questa è una storia di tanto tempo fa ma ogni anno torna sotto le feste natalizie a deliziarci con il suo mondo incantato.

Il 2022 ci ha donato una delle edizioni più belle che io abbia mai visto. Con la traduzione di Alessandra Valtieri, Iacopo bruno ha illustrato un gioiello di inestimabile bellezza che è stato pubblicato per Rizzoli.

Iacopo Bruno è illustratore di enorme fama, infatti come non ricordare le illustrazioni di Canto di Natale e di Pinocchio sempre per Rizzoli.

Ma soffermiamoci su Schiaccianoci.

Io nutro sempre una reverenziale ammirazione nei confronti di chi sa come dare volto alle storie e anche un po’ di invidia, io non so nemmeno come si tiene una matita, figuriamoci mettere al mondo un’opera d’arte.

La sensibilità con cui I. Bruno illustra questo mondo è… strabiliante. Le bambole di Drosselmeier, presenti nei orologi e nei carillon, prendono vita in queste pagine e il padrino dalla marsina gialla sa bene che se gli ingranaggi non permettono ai teatranti di muoversi in libertà o a comando dei bambini, la fantasia e il cuore possono fare quello che vogliono se lo desiderano.

Le illustrazioni di questa edizione sono personaggi di zucchero, bambole che richiamano infanzie passate e speranze future per tutti quelli che si attarderanno tra queste immortali pagine.

Ho trovato un neo nella edizione de lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Rizzoli?

Ad un mese appena dalla sua pubblicazione, il libro è sparito dalle librerie e con sparito non intendo solo terminato.

Ordinarlo in un negozio è stato impossibile, ho dovuto ricorrere alle maniere forti e finalmente godere di questa edizione.

Schiaccianoci e il Re dei Topi

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ANGELO CUSTODE, MARIE PICCOLA MIA.

IO SARO’ TUO E TU SARAI MIA.