Trovare le parole giuste, quando un libro riesce a trascinare nell’intima e sacra profondità umana non è compito facile: Il libro di Eva.
Ci sono viaggi e viaggi, spesso le brusche virate e i cambiamenti di rotta a cui può condurre una storia, mi lasciano priva dell’equilibrio che consente di tenere i piedi ben ancorati a terra.
Le vertigini della consapevolezza sono pericolose e necessarie, ma spesso mi spingono a parlare di emozioni e sensazioni, più che di storie.
E sono ancora stordita da questo libro che ho finito di leggere diverse settimane fa, ma alle volte il seme per germogliare ha bisogno del momento e delle condizioni giuste.
Capita allora che svariate centinaia di pagine costituiscano il fulcro centrale di pensieri insonni e di dialoghi intimi. Frasi condivise soltanto con chi può veramente comprendere l’essenza. Con le poche persone che hanno sentito il peso della privazione della libertà sulle proprie spalle.
Suor Beatrice conosce bene il significato di queste ultime parole.
Le porte del convento per lei, come per molte altre, si sono aperte per necessità più che per vocazione. Le regole e i sacrifici per il culto del Padre però non sfiniscono la sua mente che oltrepassa le mura.
La libertà ha per molte donne il profumo della carta e dell’inchiostro, figlie di Eva nel bene e nel male, fameliche della mela della conoscenza.
Beatrice ha molta fame e i testi accettati dalla legge del Padre non bastano, vuole sporcarsi le mani scavando anche in quei luoghi proibiti.
I libri possiedono una voce, non è vero Beatrice?
Ci blandiscono, ci seducono, i libri.
Penso al seme che germoglia dentro questo libro, un seme che non avrebbe possibilità di crescere se non ci fosse stato il prezioso concime della curiosità oltre ogni paura.
Se la mente di Beatrice non si fosse spinta ad infrangere certe barriere, per raggiungere il pensiero dei grandi filosofi del passato, se non avesse osato sviluppare radici solide di conoscenza, intrecciando dialoghi e scambi, allora il seme avrebbe trovato un terreno arido.
Vi starete domandando se Il libro di Eva è una storia che parla di libri. No, parla di libertà, di lotta, di sorellanza.
Siamo nel XVI secolo, in un convento e siamo in mille epoche diverse, nel cuore di mille donne oppresse dal patriarcato.
L’arrivo del libro misterioso e segreto è la condizione fantastica, ma non troppo, che porta alla luce culti antichi e mai dimenticati.
Un libro senza parole e senza storia, fatto di mille parole e antico quanto Eva.
Il libro di Eva non racchiude formule magiche, si espande dentro il cuore di chi già possiede la magia antica e il coraggio per riscrivere la storia.
Torture, roghi di libri, privazioni e dominazione psicologica sono il vessillo dei seguaci del Padre. Essi premono la mano per soffocare ogni forma di pensiero proveniente da un corpo femminile.
Silenzio, sottomissione e preghiera.
Quando il Figlio risorge, le donne, le Tre Marie, tornano dal sepolcro e raccontano agli uomini, ai discepoli del figlio, quel che è successo, ma loro non ci credono.
Non ci credono perché la parola è quella di una figlia di Eva.
La religione assume la forma di dittatura che mira a dominare ed estremizzare, ed io non posso fare a meno di pensare in quante epoche storiche si possono sovrapporre gli eventi del Libro di Eva, fino ad arrivare ai giorni nostri. Eppure …
La ruota gira. Lei risorgerà.
L’alternativa all’oppressione è nel passato volutamente celato, è nella Verde Madre.
Colei che ama i suoi figli sotto ogni forma e che non è stata mai dimenticata.
Forse lo è stato il suo nome, ma il suo seme è stato tramandato con lievi sussurri fra le donne nel lavatoio, nel profumo delle erbe curative messe ad essiccare, nei racconti delle madri alle figlie prima di dormire, nell’amore donato senza niente in cambio.
Lei è sparita ed è sempre stata davanti ai nostri occhi, lei è il pensiero del cambiamento e della lotta ai soprusi , lei è la grande magia, è la Verde Madre, è la Dea Madre, è la donna, è Eva, è tutte noi.
Ho versato molte lacrime, mi sono a volte sentita sopraffatta dal dolore e ho avuto paura di non trovare la via d’uscita, ma un modo c’è sempre e supera ogni limite imposto.
Non smettere mai di credere, di conoscere, di essere.
La sua voce è un fruscio, un rombo, un sussurro; è la voce del libro, la voce degli antichi luoghi della Madre, la voce di Naiadi, driadi, sibille, veggenti, sfingi, sacerdotesse, profetesse, è la voce di Madre Chiara, di tutte le nostre madri, della Madre.
Arrivano silenziose la notte ed in silenzio portano il loro fardello, non è fatto soltanto di panni da lavare, ma di un eterno dolore da espiare; con Le terrificanti scoperte del Dottor Kraus. Le Panas , il nostro esploratore è tornato per parlarci di una nuova terrificante scoperta!
Questa volta il nostro esploratore non morto ci accompagna in Barbagia, precisamente ad Ollollai .
Il Dottor Kraus ci accompagna dentro una leggenda antica quanto la nostra isola: le Panas.
Quanto pesa il cuore di una madre? Non è possibile da calcolare, specialmente se questa madre è stata separata dal suo bambino.
Il suo cuore gronderà lacrime nella vita e nella morte, trasformandosi in pietra verso chiunque oserà incrociare il suo cammino.
Le madri sono capaci di grandi cose, nel bene e nel male, sono in grado di compiere anche i gesti più efferati se vengono private del proprio amato figlio.
Le Panas sono donne e madri, morte nel momento in cui mettevano al mondo la propria ragione di vita e per questo non sono in grado di darsi pace.
Non troveranno il riposo eterno prima dei sette anni, numero mistico che in Sardegna ricorre molto spesso.
Durante questo periodo di espiazione sono condannate a vagare sulla terra, indossando dei lunghi veli bianchi.
La notte sostano lungo il fiume, dove lavano i panni fino all’alba.
Instancabili intonano una nenia che il loro bambino non potrà mai ascoltare:
Anninnia, anninnia Drommi l’asettu meu Chi pal te soccu molta eu Drommiti lu me bè Chi soch’eu molta pal te
Che dolore immenso ristagna dentro il cuore di queste donne-spirito!
Viene quasi voglia di consolarle o di correre lungo la riva ad aiutarle nel loro lavoro. Per donare loro un po’ di sollievo che non hanno avuto nella vita.
In Sardegna però si sa che l’anima delle Panas è irrimediabilmente corrotta dal dolore, e nessuno si deve avvicinare lungo le rive del fiume di notte.
Sono crudeli e vendicative, costrette ogni notte a scontare la propria pena e non accettano di essere interrotte o la loro vendetta sarà terribile!
Ilenia Loddo con Le terrificanti scoperte del Dottor Kraus. Le Panas, anche questa volta ci trascina dentro l’antico immaginario sardo e lo fa in modo quasi tangibile.
Ci catapulta dentro i borghi silenziosi, nelle chiese in cui le donne piangono la perdita di una giovane madre, per poi irretire i nostri sensi lungo le rive del fiume silenzioso.
Quello stesso fiume dove, una notte dopo l’altra , per i prossimi sette anni, una giovane donna morta laverà i panni insanguinati del suo bimbo con le lacrime, in attesa del momento in cui potrà anche lei, finalmente, riposare in pace.
Ilenia loddo è colei che ha saputo dare la forma a questi racconti, è un’eclettica illustratrice e amante della letteratura gotica nonché di storie horror e crime, la sua matita mi affascina e mi ipnotizza pagina dopo pagina.
Sorrido mentre ripongo il secondo volume accanto al primo e mentalmente preparo lo spazio per il prossimo, sorrido, dicevo, ma è il sorriso amaro di chi sa, che fra i silenzi di questa isola, fra i racconti sussurrati e disegnati, si cela una grande verità; fatta di poche parole ma di tante anime.
Viaggiatori allacciate le cinture, questa volta la direzione è il Messico, quello brutale dei signori della droga, della violenza più efferata; sarà un cammino difficile e tutto al femminile: Bastarde disperate.
Forse, come scrive Dahlia de la Cerva, è meglio raccomandarsi al Diavolo in questo luogo dimenticato da Dio, e forse occorre armarsi di pelo sullo stomaco nel momento in cui si decide di affrontare questa lettura.
Mi sembra doveroso fare un’ammissione : ho avuto non poche difficoltà ad entrare nel vivo di Bastarde disperate, a sentirlo a livello empatico.
La scrittura è sicuramente molto schietta e cruda, non c’è l’intento di indorare la pillola di una società corrotta e manipolata dalla malavita, ma il vero problema per me è stata la visione di un universo femminile altrettanto corrotto, che pur di sopravvivere si adegua, accetta e si appropria di stili di vita oltre il limite.
Per buona parte del libro non ho fatto che pensare “ Ma non c’era davvero un’alternativa?” .
Mi sono posta questa domanda mentre leggevo il racconto di una giovane donna il cui futuro, come erede diretta di un cartello della droga, non viene nemmeno messo in discussione.
Un mondo in cui l’apparenza domina sulla sostanza.
Fra sparatorie, intrighi e traffici vari si intrecciano vite di donne il cui scopo primario pare essere il numero di follower, il nuovo ritocco dal chirurgo estetico e avere abiti e borse sempre alla moda.
Ancora donne, streghe, con pagine facebook e migliaia di like che non si fanno scrupolo ad utilizzare qualsiasi forma di magia pur di ottenere ciò che desiderano, schiacciando senza alcun pudore la volontà altrui.
Della faccenda estetica mi sono già occupata:
a ventidue anni ho già all’attivo un fottio di operazioni chirurgiche.
Tutto quello che vedi è operato perché è chiaro che a me i soldi non mancano.
Ho avuto un momento di sbandamento, lo giuro.
Un libro lontano anni luce dalla letteratura femminista e dalla lotta al patriarcato che sono abituata a leggere.
La prospettiva però è cambiata nel momento in cui ho compreso che, ciò che stavo facendo era porre la mia visione occidentale-europea in un contesto completamente, totalmente diverso.
Questo libro non ha la pretesa di dire ciò che è giusto o sbagliato, questo libro racconta ciò che accade in Messico, quali sono le vicissitudini delle donne in quei luoghi dove il femminicidio tocca picchi sconvolgenti.
In bastarde disperate si parla di vita estrema, in un contesto in cui la fortuna primaria è sopravvivere ancora un giorno.
Guadare il libro sotto questa prospettiva mi ha aiutato a comprenderne le dinamiche violente, spesso animalesche che ho incontrato nei racconti.
Il Messico è un enorme mostro che divora le donne (…) L’ha ammazzata perché era incinta. L’ha ammazzata perché non ha voluto abortire. L’ha ammazzata perché voleva abortire. Maternità usa e getta. Donne usa e getta. L’ho ammazzata perché l’amavo. L’ho ammazzata perché era mia. Come si fa a dimostrare la misoginia se l’assassino dice che l’amava?
I Contenuti sono graffianti, smorzati spesso da una macabra ironia, tutto è avvolto da tossicità e ossessione.
Tutto racconta di quanto sia più complicato nascere in un contesto estremamente violento ed intriso di patriarcato. Dahlia de la Cerda, scrittrice ed attivista, co-fondatrice del collettivo femminista Morras Help Morras, con questo suo esordio ha vinto il Premio Nacional Comala.
Siamo dentro una partita a scacchi già decisa, nonostante l’avversario provi debolmente ad opporsi, in questa scacchiera i bianchi prendono tutto: Il Continente bianco.
Occorre stomaco per leggere questo romanzo e occorre tanta curiosità, quella apparentemente innocente che rischia quasi di ucciderti.
Sicuramente a farsi male saranno soprattutto gli altri, quelli che decidiamo di annientare, di sopraffare non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente.
l gioco del gatto col topo è chiaro, la via di scampo lo è sempre meno.
Schiacciare la minoranza colpevole di occupare i luoghi scartati dalla razza eletta, disgregare e separare goccia dopo goccia i popoli immigrati.
Sporchi, scuri, detentori di una lingua che qui non viene capita, occupanti di posti di lavoro che spetterebbero sempre e solo ad un italiano puro.
Allora ci appostiamo di nascosto, nei luoghi dove la luce non arriva, fino all’arrivo della puttana nera e del cliente bianco. Paura, botte, sangue.
Disgusto dentro il disgusto.
Tutto avviene sotto gli occhi cavi del Duce che, anche se non c’è più, tutto sa.
Il continente bianco è un libro che fa molto male.
Sanguino nel leggere di ciò che accade al giorno d’oggi.
Poi mi dico che è solo un libro e che è tutto inventato, mi illudo, cerco attenuanti inesistenti pur di non accettare che una parte oscura della storia venga inneggiata e usata per commettere delitti.
Un libro sporco di fango e liquidi corporei, intriso del male più oscuro.
Proprio della fascinazione del male ci parla mirabilmente Andrea Tarabbia, e di quella morbosa voglia di scoprirne l’origine, ciò che porta alla creazione del Continente Bianco.
Fare il male, e pensare a qualcosa che si ama persino.
Tarabbia affascina, la sua narrazione non lascia scampo, trascina a fondo senza farci rendere conto che il baratro ci sta ingoiando.
Ho gridato “ Stronzo, cosa diavolo stai facendo?” tante volte dentro questa sadica storia.
Il continente bianco crea la sua narrazione da un romanzo incompiuto: L’odore del sangue di Goffredo Parise.
Incontriamo infatti lo psicologo, la moglie dello psicologo e il giovane estremamente affascinante e consapevole del suo potere.
Una parte della narrazione si svolge proprio all’interno della casa e dello studio dello psicologo e di sua moglie. Le sedute di terapia sono uno scambio talmente intenso e profondo che ad un certo punto non c’è più un confine netto fra il dolore e la morbosità dei due.
Fino a che punto ci si può lasciare affascinare dal male, fino a che punto si può arrivare credendo di potersi tirare fuori.
Il Continente bianco indaga il male ammantandolo di purezza, estremizza la morbosità e striscia come il serpente che appare più volte nel racconto.
Striscia e scava alla ricerca dell’estremo, della dominanza, del plagio.
Marcello Croce, luminoso nella sua bellezza quasi eterea, è il detentore del potere.
Un maestro degli scacchi, muove esseri umani gonfi di ideali, sottomette e schiaccia in nome dell’amore.
Nella blasfemia più estrema Tarabbia plasma una creatura quasi divina, gli attribuisce un cognome che ci riconduce sempre al pensiero di purezza e lo trasforma nel diavolo tentatore.
Si , quel ragazzo era bello di una bellezza insolita,
insieme nordica e nevrastenica,
e l’incontro con questa bellezza per qualche motivo mi inquietò … Il suo nome era, come avrei saputo di lì a pochi giorni, Marcello Croce.
Un bianco atroce, che ingoia ed elimina tutto ciò che non combacia perfettamente all’ideale di purezza e ai valori decantati dagli appartenenti al Continente bianco. Niente deve rischiare di macchiare il bianco assoluto, nemmeno il sangue delle zecche.
La purezza mette una linea bianca tra ciò che è nostro e ciò che è altrui,
tra ciò che può continuare a vivere e ciò che, invece, può e deve morire.
La lotta al diverso però non si concentra soltanto verso i popoli che si trovano ai margini del sistema sociale, anche la borghesia, a cui il Continente bianco non appartiene, viene derisa e abusata.
Ne è la personificazione Silvia, sfruttata, plagiata e violata fino alla fine.
Un libro che ci parla di sfida oltre i limiti, di continua ricerca dell’estremo in nome di valori e perfezione, nel nome di quell’amore oscuro e deforme che amore non è.
Si può amare ed odiare profondamente un libro?
Il Continente Bianco ha suscitato in me questa dicotomia.
Ne ho amato follemente la narrazione che ammalia e spinge la curiosità ad approfondire argomenti e situazioni dalle quali, nella realtà preferirei evitare.
Un libro candidato al premio Strega che si colloca tra i primi posti nella mia personale lista delle preferenze. A Proporre il Continente bianco è stata Daria Bignardi con la seguente motivazione:
“È un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere. La storia di Silvia, la moglie perduta del dottor P. rubata a Goffredo Parise dell’Odore del sangue e reinventata con un’operazione raffinata e – mi viene da dire – pericolosa quanto affascinante, da Andrea Tarabbia, penso meriti l’attenzione del Premio.”
Che ci possa essere levità, e risa, e gioia, in chi compie qualcosa che per noi è orribile e violento- ecco è una cosa che non è tollerabile, che fa più male del male stesso perché dice che la vita,la vita di chi compie il male è, in fondo, nella gioia e nel dolore, non troppo dissimile dalla nostra.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un importante risveglio del femminile, numerosi libri portano a conoscenza le gesta di donne altrimenti destinate al dimenticatoio; Le RIBELLI che stanno cambiando il MONDO va ben oltre.
Lo dice il titolo stesso, stanno cambiando Adesso il mondo, ed è proprio per questo che trovo il libro di Rula Jebreal innovativo ed assolutamente da non perdere.
Sono storie straordinarie, interessanti ed uniche, storie che passano troppo spesso in sordina proprio perché storie di donne.
Giornaliste, scienziate, sportive, artiste e politiche, sono nove Ribelli che hanno lasciato un segno importante in questa epoca.
Rula Jebreal ritorna, dopo Il cambiamento che meritiamo, come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro per proseguire il discorso sul femminile. Conferma l’importanza di un tessuto sociale costituito da donne che lottano costantemente per farsi ascoltare, per contribuire al benessere dell’umanità, per lottare contro i pregiudizi di una società che ci vuole sempre ai margini.
Il libro ha inizio con un racconto davvero emozionante, Rula ci parla di sua sorella, del grande esempio della sua vita. Rauia è la donna che ha usato tutte le sue forze, fino alla morte, per portare avanti le sue lotte per la giustizia.
Dal letto di ospedale Rauia ha combattuto senza risparmio.
Ignorando lo sforzo che richiedeva anche soltanto articolare le parole,
inchiodava i medici sulla soglia della sua stanza,
chiedendo loro di poter decidere la propria morte e
spronandoli ad esprimere pubblicamente il proprio dissenso
di fronte a una legge civile che non lo consentiva.
Donne unite da intenti comuni: quelli di costruire un mondo migliore.
Oggi come ieri, sono donne che tengono per mano tutte quelle che hanno finora lottato per porre le basi, e ora è giusto parlare anche di loro.
In Ribelli che stanno cambiando il mondo incontriamo chi attraverso la rete, è stata in grado di costruire sistemi di ascolto e sostegno per una nazione intera, chi ha saputo farsi spazio nella ricerca scientifica donando all’umanità intera il suo contributo .
E ancora fotografe e reporter che rischiano la vita per portare alla luce ingiustizie e violenze nel mondo e chi ha saputo usare il cibo come strumento di protesta per mettere in atto la propria forma di rivoluzione.
Forti e a testa alta, pronte a lottare contro pregiudizi ancorati da molto tempo alla quotidianità.
E’ stata una sorpresa, finalmente un libro in grado di restare profondamente radicato nel nostro secolo.
Perché anche in questo secolo si stanno creando dei cambiamenti epocali.
Quelle di cui si parla in Le Ribelli donne che stanno cambiando il mondo,sono donne che ce l’hanno fatta.
Non si sono lasciate fermare dagli ostacoli e hanno resistito fino alla fine.
Sono le donne di cui dovremo parlare alle nostre figlie e ai nostri figli, perché rappresentano la concreta speranza verso il cambiamento. Sono la nostra ispirazione e l’esempio per le nuove generazioni, cambiare le regole, senza arrendersi mai.
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