L’identità di un popolo affonda le sue radici nella sua storia e nella propria lingua, attraverso un viaggio in un’isola nell’isola, La Colonia ci accompagna all’interno delle dinamiche subdole della violenza coloniale.
I pensieri che leggerete di seguito, cari viaggiatori, scaturiscono dalla comunione fra la lettura di questo libro e il bisogno di sfogare dei sentimenti che sono legati anche al mio popolo, seppur appartenente ad una diversa isola; con una diversa storia, ma con lo stesso bisogno di essere riconosciuto.
Riconoscersi nella vita isolana non è una passeggiata, o meglio lo è per chi ha solo l’esigenza di spalmarsi la crema solare e di raggiungere la prima spiaggia affollata da altri turisti.
La vita quotidiana sull’isola è ben altra cosa, i giorni trascorrono nel tentativo di sopravvivere mentalmente alla monotonia di confini fin troppo calpestati.
Lo sguardo dei più giovani si stanca nel vedere all’orizzonte soltanto mare sconfinato.
La ricerca del nuovo, dell’illusoria modernità, li trascina spesso verso nuove scoperte.
L’importante è non dimenticare dove è stato piantato il seme e dove risiede la radice della storia del proprio popolo.
Il mare ruba ogni anno un pezzetto di costa e i voraci visitatori con la pretesa di uniformare il mondo, rubano pezzi di identità.
C’è molta rabbia nelle mie parole, lo so, ma l’isola , nel mio caso quella in cui vivo, è il grido acuto di dolore storico e contemporaneamente è il canto d’amore eterno.
L’isola non perdona, ma dà sempre un’altra possibilità.
Ho stretto spesso i denti mentre leggevo le pagine de La Colonia, c’è dentro tanta ricerca e voglia di raccontare la silenziosa e millenaria lotta di un popolo che vive accontentandosi di ricordare, finché si può, finché almeno le parole rimangono intatte come quelle antiche.
Parole tramandate, a volte solo sussurrate, per paura di venire additati come appartenenti a quella “specie” che ormai è quasi in via di estinzione, che è stata domata pian piano, a volte con il bastone e le bombe, altre volte con le leggi.
No, domata mai, ma smussata e depredata.
Dentro il cuore si insinua il bisogno di stare nell’ombra e ci si capisce soltanto con uno sguardo.
Perennemente in difesa per custodirsi dai predatori.
Irlanda come Sardegna, fa male al cuore.
Arrivano in tanti come moderni Lloyd, alla ricerca dell’emozione e dell’avventura ma solo a certe condizioni.
A volte vogliono solo immortalare la magia di certi tramonti, altre volte il tramonto lo vogliono proprio portare a casa e mettere in bella vista sul mobile all’entrata.
Altre volte sono alla ricerca dell’esperienza mistica, ripassando storia e leggende dell’isola in un opuscolo turistico e hanno la pretesa di spiegarci cosa è meglio.
Quando ci si preoccupa di chiedere agli abitanti dell’isola come la pensano? Quando si ha il tempo di stare ad ascoltare invece che pretendere risposte?
Audrey Magee ne La Colonia pone silenziosamente tutte queste domande.
Un racconto per chi non ha bisogno di colpi di scena , ma preferisce immergersi nella vita di una piccola isola del nord Irlanda, quasi completamente spopolata, che può offrire soltanto autenticità.
Masson le accarezzò la mano per incoraggiarla a proseguire:
” Gli uomini dell’isola pescano ancora, ma le donne e i bambini non scendono più a riva,
non raccolgono più niente,ed è un gran peccato, mi rende molto triste, perché laggiù c’è moltissimo cibo,
tanto buono tra le alghe e i molluschi che possono difenderci dalle malattie.
Una narrazione malinconica e indimenticabile, un sapore amaro che porto dentro da sempre e che ritrovo in queste pagine.
La storia che si svolge ad un ritmo tutto suo nella piccola isola, viene intervallata da fatti di cronaca molto pesanti che riportano l’attenzione sugli attacchi terroristici e sulle continue lotte che insanguinano l’Irlanda.
Uno schiaffo ad ogni capitolo che rompe l’apparente, ribadisco soltanto apparente, immobilità dell’isola.
Oggi cari viaggiatori voglio rompere la consueta routine di racconti, per invitarvi a fluire dentro il disegno senza parole: Sketchbook vol.1.
Si tratta di un’opera di Elena Albanese, artista già conosciuta per The goddess temple Oracle cards e per i meravigliosi lavori su commissione che rappresentano gli archetipi delle Dee.
Dedicarmi ad un sentire puro e, se vogliamo istintivo, è stata una splendida avventura.
Mi sono ritrovata a riflettere spesso su quanto siano necessarie le parole dentro le pagine e sono giunta ad una conclusione estremamente personale. La lettura implica un necessario ragionamento, riflessioni sui fatti e anche tanta voglia di lasciarsi guidare dall’autore verso la meta da lui definita. Questo ovviamente è intercalato da tutta quella serie di pause, durante la lettura, che portano la mia fantasia molto lontano, spesso creando nuove situazioni e possibili finali; è sempre un viaggio molto emozionante per me.
Un viaggio che non sempre si conclude con la fine del libro.
E quando il libro non parla nel modo consueto?
Avere fra le mani un libro fatto esclusivamente di immagini porta la mia mente a voler vestire la pelle del serpente, questo perché il serpente è un animale estremamente istintivo e leggendariamente potente.
Striscio lungo il tratto, saggiandone lo spessore e l’intensità.
Circondo l’immagine con occhi, pelle e sensi estremamente acuiti.
E poi mi lascio afferrare dall’emozione e ne divoro l’essenza.
Faccio in modo di divenire parte di quei corpi sacri che Elena sa così meravigliosamente sacralizzare.
C’è qualcosa di ferino nei suoi disegni, un’eco antica che si risveglia e inizia a pulsare forte e prepotente. Un pulsare così importante che niente è più lo stesso, mi fondo come una macchia di colore nel dipinto e in un attimo…
Io sono lei e lei è me.
Ciò di cui vi ho appena parlato è il tumulto di emozioni che ho attraversato ad ogni pagina, dentro gli occhi di ogni creatura disegnata da Elena.
Non ho però gli strumenti adatti per parlare di tecnica, quindi ho deciso di lasciare che sia proprio la creatrice dello Sketchbook vol.1 a raccontarvi delle sue scelte e del suo percorso partendo innanzitutto dalla definizione di Sketchbook
Elena:
Uno schizzo, bozza o sketch è l’unione di quei primi segni esplorativi nella traduzione in immagine di un pensiero o visione. Porta in sé la freschezza e l’immediatezza di un gesto istintivo che va man mano approfondendosi e affinandosi. Lo sguardo si rivolge verso una direzione ad osservare e pian piano, attraverso lo scorrere della matita, si entra nell’ambiente, nella scena, completamente aprendo una relazione e un dialogo attivo con il soggetto incontrato.
Ricordo e tengo caro il giorno in cui udii delle parole molto simili a queste ultime, relative al dialogare, da John Howe uno dei miei artisti preferiti da cui ho avuto l’onore di poter apprendere qualcosa direttamente durante un workshop che tenne al Lucca Comics di un po’ di anni fa in una maniera totalmente delicata eppure estremamente potente. Ne ricordo lo stupore, l’emozione, le lacrime e il mio guardare in maniera incredula la mia collega e amica poichè sentivo che stava provando ad esprimere qualcosa di molto profondo, che avevo provato e relazionato in maniera forte con alcune pratiche spirituali di viaggio, che avevano mosso emozioni molto profonde in me, conducendomi verso i contenuti che tento di esprimere.
Le sue parole e il modo in cui le espresse avevano smosso e consapevolizzato delle cose in maniera chiara.
Quell’incontro attivato, quel dialogo, è più prezioso del risultato finale dell’opera stessa e attraverso la condivisione dell’opera si può attivare un altro dialogo che si apre al mondo.
Perché Scegliere lo Sketchbook?
Ho sempre amato molto gli sketchbook dei vari illustratori e illustratrici che seguo e ne colleziono diversi, ognuno con la sua impronta personale assieme ai vari libri illustrati e non.
Adoro perdermi nelle loro esplorazioni che diventano talvolta dei carnet de voyage, dove si rivela parte della direzione del loro sguardo, del loro modo di vedere e interpretare, della loro emozione.
L’idea di produrre un primo volume che raccogliesse parte dei miei sketch e matite nacque intorno al 2013, dopo la produzione del mio primo libro illustrato.
Avevo iniziato a raccogliere e conservare le bozze migliori, a selezionare, impaginare, disfare, rifare da zero.
Poi il ritmo si è allentato per dar spazio ai progetti e lavori in corso, ma le immagini hanno continuato a muoversi quotidianamente.
Hanno bussato la porta, talvolta nei momenti più inaspettati, e richiedendo qualche ora di tempo rubato qua e là per sedermi e dare spazio a quel momento di relazione.
Questo libro contiene molta parte di quegli incontri e delle esplorazioni di questi anni.
Parte dagli elementali per muoversi attraverso alcuni dei volti della Dea.
Incontra donne medicina, mitologie (come ad esempio la Vǫluspá), il cammino spirituale, alcune tematiche esoteriche come il tarocco, il tema della morte.
Tutte tematiche a me care e fondamento della ricerca personale che incontra la mia espressione artistica.
Si riposa e rilassa poi su alcune pagine più prettamente fantasy, tra creature immaginarie ibride, liberando la mia parte più giocosa e fanciullesca.
Mi piace pensare che tra te, me e i soggetti ritratti nel libro si instauri un nuovo dialogo.
Un punto di incontro caldo come quel racconto attorno al fuoco di cui abbiamo parlato,
dove potersi guardare negli occhi e nell’anima con apertura di cuore e delicatezza.
Sono qui, sei qui… cosa ti ispira e tu come vedi, come senti, dove si dirige il tuo sguardo?
E se stiamo guardando nella stessa direzione cosa osserva il tuo cuore?
Se interessati all’acquisto, vi prego di contattare Elena Albanese nei social Facebook e instagram
Ci sono patti silenziosi, sussurrati nella penombra, inneggiano creature malvagie che emergono solo se evocate, come l’accordo sancito tra il demonio e il fabbro Biscornet che diede origine alla Maledizione Notre-Dame.
Biscornet è il fabbro divenuto famoso per aver creato le serrature delle porte di Notre-Dame, ma dentro quei meccanismi intricati pare si nasconda lo zampino del diavolo.
A quanto pare i servizi di Biscornet non si sono esauriti mentre era in vita.
Filippo il Bello è disposto a tutto pur di riuscire a salvare il proprio regno, persino ad attraversare quella porta nella notte il cui la luna è completamente nascosta.
Barbara Frale, storica esperta di Medioevo e storia dei Templari, ci trascina nel 1300 per farci assaporare la vita di grandi personaggi come Bonifacio VIII, Dante Alighieri e Filippo il Bello, re di Francia.
Maddalena viene rapita, panico e rabbia si diffondono mentre tante persone iniziano a costruire congetture sul mandante. Lei non è una donna qualunque, bensì la nipote del Papa e questo pare essere un gesto di sfida verso il suo potere. Un ordito fatto di ricerca storica e grande passione si intreccia ad una trama interessante ed avvincente.
Intrighi, suspance e piani segreti giocano una partita con la storia.
Maledizione Notre-Dame ci porta dentro il tornado provocato dallo scontro tra il potere temporale e quello spirituale.
I detentori di questi poteri sono: Filippo il Bello, re di Francia e il suo nemico Bonifacio VIII, che alla mera spiritualità preferisce il gioco politico e strategico.
Attorno a loro ruotano personaggi estremamente affascinanti, oltre al Sommo Poeta, si avvicendano uomini di grande saggezza, cultori della conoscenza, alchimisti, medici straordinari al confine fra scienza e magia.
Maledizione Notre-Dame è il quarto di una serie di romanzi storici che per il momento vede il suo epilogo con la morte dell’ultimo Templare e di Francesco il Bello , ma tutto lascia presagire un seguito.
La caratterizzazione di questi personaggi è ciò che ha attirato maggiormente la mia attenzione, insieme alle descrizioni minuziose dei luoghi, degli abiti e delle usanze del tempo.
Quest’ultimo punto, seppur interessante, ha però rischiato di allontanarmi dal racconto, costringendomi a tornare spesso indietro, superando le minuziose descrizioni, per potermi concentrare esclusivamente sui fatti.
Ripercorrere parti di un periodo storico, magari poco conosciuto, ha comunque un grande fascino.
Maledizione Notre-Dame è sicuramente un libro che ameranno gli amanti del genere.
Un libro in cui storia e fantasia sanno mescolarsi insieme come il più prezioso elisir alchemico!
Cari viaggiatori, quello di cui vi voglio parlare oggi è un viaggio molto atteso, attraverso l’universo della parola scritta, tutta al femminile: Parole d’altro genere. Come le scrittrici hanno cambiato il mondo. A cura di Vera Gheno.
Vi parlo di “viaggio tanto atteso” non perché si tratta di un libro originale, ma per la maestria e la serietà con cui esso è scritto.
Diciamo che in questi ultimi anni le raccolte di autrici pullulano all’interno del mercato editoriale. Ne troviamo di tutte le salse e, a dire il vero, trovo che facciano tutte il giusto lavoro di conoscenza e divulgazione che troppo spesso è stato volontariamente omesso.
C’è però una parte importante del libro che credo vada particolarmente presa in considerazione: tutti i discorsi che vengono fatti intorno alla vita, alle opere o a determinati scritti citati nel libro.
E in questo Vera Gheno eccelle.
Se sei una scrittrice,
prima o poi,
da qualche parte, ti chiederanno:
“ Ti consideri prima una scrittrice o una donna?”.
Attenzione. Chi lo chiede odia e teme sia la scrittura che le donne.
Margaret Atwood
Per chi ancora non la conosce, Vera Gheno è una sociolinguista, specializzata in comunicazione digitale, ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca. Insegna all’università di Firenze ed è una Donna Femminista intersezionale.
Parole d’altro genere non si limita alla mera elencazione e presentazione di scrittrici passate. Con grande originalità si sofferma sul modo in cui queste donne sono riuscite a lasciare il segno, soprattutto dentro il nostro modo di pensare.
La diversità, ci racconta nell’introduzione, è la parola chiave del libro.
Infatti l’autrice cerca di diversificare riguardo la cultura, le etnie, ma anche le disabilità.
Vera Gheno assegna ad ognuna di loro una parola che in qualche modo ci indica la strada verso la scoperta del pensiero dell’autrice.
Una carrellata di scrittrici mirabilmente precedute da un lemma e dal pensiero dell’autrice.
Termina poi con una serie di preziosissimi consigli di lettura contemporanei. Uno spazio interessantissimo per chi desidera ampliare la propria conoscenza.
Ed è nello spirito della sorellanza che ho affrontato la costruzione di questo libro,
che adesso non attende altro che di essere letto.
Saffo, Sulpicia, Chiara d’assisi, Mary Wollstonecraft, Matilde Serao, insieme a molte altre vi delizieranno con i loro pensieri controcorrente.
Non mi dilungherò volutamente su di loro perché non vorrei rischiare di svelare troppo, proprio perché val la pena prendersi del tempo, magari ogni giorno, per leggere ciò che questo libro ci propone su ciascuna.
Sono pagine pungenti ed interessanti quelle che troviamo in Parole d’altro genere.
Esplorano il mondo femminile in ogni epoca e cercano di sfondare a colpi di parole i muri imposti dal patriarcato
Non dovremo dimenticare mai che queste scrittrici sono state volutamente messe in disparte.
Oscurate da una letteratura maschile che ha dominato soprattutto all’interno dei testi scolastici, precludendo ai giovani la possibilità di godere di nuove forme di pensiero.
E’ il momento di diventare ponte verso una più ampia conoscenza e di dare alle parole di queste autrici il posto che meritano.
Lo scopo è quello di riuscire a riscrivere il passato e di offrire un nuovo futuro con una prospettiva di possibilità più ampia.
Vera Gheno compie un prezioso lavoro di ricerca e riesce a dare voce a donne che per troppo tempo sono state messe a tacere. Invece sono esistite, hanno scritto, lottato e rischiato.
Parole d’altro genere le riporta alla luce, le colloca nel giusto posto e ci dona uno strumento prezioso per osservare il passato con un grandangolo, non un cambio di prospettiva ma un ampliamento; quello che poi ci darà la capacità di scelte diversificate per il futuro.
Il viaggio dentro la vita di una famiglia è sicuramente affascinante e al contempo estremamente pericoloso, vengono svelate delle intime quotidianità che a volte risultano essere la miccia in grado di innescare la distruzione della stessa: Con i denti.
Parlare di questo libro non è semplice, gli argomenti stessi di cui parla toccano delle parti vive dentro di me, portandomi a riflettere profondamente su dinamiche poco salutari che appartengono alla famiglia.
Kristen Arnett scrive un romanzo familiare spaventosamente amaro e crudelmente ironico.
Una famiglia composta da Sammie, Monika e il loro figlio Samson, tanto desiderato.
Ho avuto modo di leggere diversi racconti sulle dinamiche familiari di questi tempi, ma questo è diverso dagli altri.
All’inizio pensavo che la diversità fosse perché si parla di una famiglia queer, ma in realtà ciò che mi ha colpito maggiormente è il modo in cui la Arnett riesce magistralmente a parlare dei disagi della vita familiare.
il perbenismo che vuole la famiglia perfetta e felice crolla rovinosamente man mano che le pagine scorrono.
E’ difficile ritagliarsi momenti di vera intimità, è difficile sopportare la definizione di ruoli ben precisi, ma la realtà è che è difficile vivere la famiglia.
Con i denti parla in maniera diretta, non descrive la famigliola felice ma analizza attraverso le fragilità dei personaggi le problematiche che spesso portano alla rovina della stessa.
Facendo questo non fa altro che descrivere, anche se in maniera esacerbata, la famiglia reale.
Primo grande problema è la definizione di ruoli senza margine di elasticità.
Monika va a lavorare, è un avvocato di successo, è sempre elegante, ben vestita e rientra la sera stanca e con poca voglia di collaborare alla vita che si svolge fra le quattro mura di casa.
Sammie ha portato in grembo il figlio tanto desiderato da entrambe e ora si trova incastrata dentro un ruolo che ama, ma che riesce ad accettare solo parzialmente, poiché non le lascia spazio per nient’altro, nemmeno per se stessa.
Proprio quest’ultima si trova a fare i conti con il cambiamento del suo corpo e con gli sbalzi ormonali, con la sua fragilità e anche con l’accettazione di un figlio che le appartiene soltanto per metà.
E’ lei che soffre maggiormente la vita familiare ed è lei che, anche all’interno di una famiglia queer, porterà alla luce la fatica estenuante e la frustrazione che spesso una madre a tempo pieno si trova a vivere.
Sammie rilegge la stessa pagina del libro per giorni, questo ci fa rendere conto del suo grande affaticamento mentale, non riesce ad avere amiche e si ritrova spettatrice della sua stessa vita mentre la guarda trascorrere inesorabilmente.
E pian piano si rende conto che tutto le si sta sgretolando intorno.
Madre, donna delle pulizie, perennemente impegnata e sempre più lontana dal suo sogno di famiglia, ma decisa a lottare con le unghie e con i denti.
La repressione continua del proprio malessere non può durare a lungo.
Forse l’amore è sempre al confine con la violenza. Una prigione di solitudine, rabbia e silenzi.
Samson è un bambino singolare, ha un mondo tutto suo e delle dinamiche di socializzazione molto particolari.
Il libro si apre con una Sammie distratta ed estremamente affaticata e con un episodio che farebbe accapponare la pelle a qualsiasi genitore.
Un episodio che viene sminuito nel tempo, fin quasi a mettere in dubbio il fatto che sia realmente accaduto.
Questo particolare fa già comprendere quanto le preoccupazioni di Sammie vengano prese in considerazione.
L’adolescenza di Samson non rende la vita più semplice, anzi, il ragazzo inizia a comprendere alcune dinamiche della vita ed inizia a demolire sistematicamente le scelte delle madri.
Anche se ho preferito soffermarmi sulla descrizione di un personaggio in particolare che mi ha davvero colpita, ci tengo a dirvi che non ci sono vincitori in questo romanzo, semmai sono tutti prigionieri dello stesso vortice di dolore.
La scrittura sottile ed ironica, crudele e realista è il perno trainante di questo doloroso libro.
Un romanzo che fa aprire gli occhi sulle difficoltà di qualsiasi famiglia, uno spaccato di vita e di dura realtà.
Le donne che poco alla volta stavano riempiendo il locale erano tutte vestite come quella dietro al bancone…
E Dio quanto erano giovani. Così giovani che lei si sentiva invecchiare con il passare dei minuti, come se ad ogni secondo di orologio le spuntasse un nuovo capello bianco, o un’altra ruga, o i denti le ingiallissero fino a dientare color caramello.
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