Tra tutti i personaggi femminile della storia antica che nella mia vita da lettrice e da storica, ho conosciuto, lo ammetto: tutte mi aspettavo tranne la più improbabile di tutte. Antonella Prenner, per Rizzoli, pubblica Il canto di Messalina.
In fondo, perché no?
Perché la scandalosa imperatrice di Roma non dovrebbe aver voce, in questo periodo storico, in cui tutte le eroine delle leggende prendono voce per smascherare l’ingiusto trattamento che è stato riservato loro?
Figlia di Domizia Lepida, nipote della sorella di Augusto, e di Marco Valerio Messalla Barbato, Messalina è, se non la più famosa, una delle più famigerate matrone della casa imperiale.
Antonella Prenner, forse ha infiorettato la vita di questa giovine, ma ci restituisce una Valeria Messalina viva e ebbra di passioni.
Sapete, quando ho visto questa pubblicazione, mi aspettavo che la scrittrice mi avrebbe raccontato di una Valeria Messalina che le fonti avevano distorto, che mi avrebbe narrato un’imperatrice distrutta ingiustamente dalla tradizione che ne ha narrato le gesta.
Mi aspettavo un libro in cui non mi sarei riconosciuta come storica e che avrei storto il naso ben più di qualche volta.
Come è andata? Il canto di Messalina è un canone inverso, è una melodia dissonante e straziata.
Non sono così abile con le parole, probabilmente non riuscirò in poche righe a dirvi cosa c’è da sapere su questo personaggio ma farò quello che posso.
Valeria Messalina prende il suo nome dal padre, le ragazze del suo tempo non hanno la possibilità di ricevere un nome scelto tra milioni di possibilità.
A Roma le ragazze ereditano il nome della loro Gens paterna.
Le donne romane erano più libere delle donne greche, soprattutto quelle nate nelle famiglie più abbienti, ma non pensiate che potessero avere chissà quale margine di azione.
Non avrebbe mai potuto scegliere di sposarsi per amore, nemmeno se suo padre fosse stato vivo lo avrebbe permesso.
Era davvero molto giovane, per i canoni moderni lo sarebbe stata troppo.
Il canto di Messalina cosa vi mostra che ancora non sapete?
Suppongo che nell’immaginazione di tutti, Messalina sia quanto di più vicina ad una donna che si può definire poco virtuosa.
Famosa per i suoi complotti, per gli omicidi commissionati e per la libertà discinta nell’amministrare il suo corpo.
A suo confronto, le accuse degli storici mosse contro Livia Drusilla, Giulia e Agrippina maggiore sembrano delle reprimente per educande.
Messalina e il suo canto… non c’è giuria che possa assolverla, nemmeno al giorno d’oggi.
Il canto di Messalina, ve l’ho già detto: non è una melodia pastorale, non è un valzer.
La sindrome di Messalina è un fenomeno riconosciuto dalla psicologia e vi rimando alle pubblicazioni scientifiche per sapere di cosa si tratta ma posso dirvi che i nomi delle sindromi non spiegano la personalità della persona che dona loro l’appellativo.
Fatico a trovare le parole per questo libro che mi ha sorpreso. L’ho letto in due giorni e mi ha completamente stravolta.
Messalina NON è una vittima, l’imperatrice vive in una follia dissociativa.
È difficile accettare, per noi ma anche per le persone come Messalina, che ci sia qualcuno al mondo che non percepisce la realtà di quello che si percepisce e che si vede. Queste persone insistono di essere nella ragione e per chi sta loro attorno è un gioco al massacro.
L’atmosfera della lettura di questo spartito è dissonante.
Il canto di Messalina è la strozzata cacofonia di una musica che suona nelle orecchie di chi la canta in maniera differente di come arriva a chi la ascolta.
La danza di una menade che non ha visto finire il baccanale e ancora balla senza la musica ad accompagnarla.
Questa è una marcia di morte e la giovane Valeria Messalina non se ne accorse prima del barlume d’argento.
Vorrei che teneste a mente questo, perché nel libro è ben presente quest’atmosfera: Messalina cercherà di irretirvi alle sue ragioni ma, davanti a voi, è ben presente la realtà che lei sta distorcendo.
Potreste essere in accordo sul fatto che è stata data in sposa ad un uomo molto più anziano di lei e che lei non volesse.
Suo marito fu scelto dai suoi genitori su consiglio dell’imperatore, non è nulla di strano per quel tempo, ma Caligola non era una persona a cui si potesse dire di No.
Claudio non solo era anziano ma anche claudicante e balbuziente. Insomma, per una bellissima giovane quale era Messalina, non era quello che si dice un adone.
Roma, ahimè, non è governata da sentimenti o da favole ma da alleanze.
Chi ha mai avuto tra le mani l’Apolokyntosisdi Seneca ha un’idea di come lo zio di Caligola apparisse ai suoi detrattori.
Messalina ha molti spettri nella mente che si agitano convulsi: Valerio Messalla, Giulia e Agrippina Maggiore. La giovane imperatrice coltiva questi nomi come miti senza rendersi conto che le loro storie non sono la sua.
Messalina è arrogante, talmente da non comprendere. Non ascolta nessuno finché non sente quello che vuole lei.
Non vi confondete: Valeria Messalina NON è un eroina moderna.
Non ha bisogno di amore ma di assoggettare le volontà ai suoi capricci.
Si dice che nella gens giulio-claudia scorresse il gene della pazzia e forse è così ma…
Messalina canta alla sua cara luna una canzone non sente nessun altro.
Si è prefissa una missione che non aveva motivo di esistere, ha compiuto atti indicibili per il puro piacere di esercitare un potere che era il riflesso della luce di altri.
Lei guardava l’uomo che era stata costretta a sposare ma non vedeva Claudio.
Eternamente insoddisfatta per i motivi più volubili, tenterà di convincervi che il mondo è contro di lei.
Tenterà di essere la sirena che vi conduce nelle profondità del mare.
Non c’è davvero giuria che potrebbe assolverla. Non c’è coro che potrebbe assecondare la sua musica, nessuna Circe a comprendere i suoi incantesimi. Nemmeno Medea comprenderebbe la sua ira.
A differenza delle donne che Messalina prende ad esempio per giustificare la sua condotta, Livia Drusilla e Tiberio non avrebbe dovuto mandare nessuno a metterla a tacere: non c’è bisogno di far uccidere chi si distrugge da solo.
Volete sapere dove acquistare Il canto di Messalina? Cliccate sulla parola LINK
Era felice perchè vedeva il suo proposito vicino, le mani sulla pelle di suo marito flaccida, pallida, fredda di morte, lo avrebbe accarezzato, trafitto da una spada o rosso di sangue ancora fresco, oppure livido al collo per il segno della corda, gli occhi sbarrati in cerca del respiro interrotto, e gli avrebbe dato un bacio sulle labbra esangui, l’ultimo, l’unico vero. Ma possibile che felicità significasse dare la morte?
Vi capita mai di guardare i libri che avete comprato e dire: “Questo è il momento in cui ti leggerò!”? Per me è arrivato il momento di leggere Libere. Circe e le altre di Sabina Colloredo.
Dopo aver letto qualche libro sui retelling mitologici ero, come immaginate sia ovvio, preparata all’argomento.
Circe di Madeline Miller è uno dei libri più venduti degli ultimi anni e quindi la sua protagonista è sempre sulla cresta dell’onda e, infatti, non so quanto per caso, la figlia di Helios ed esule ad Eea, è la prima delle libere della Colloredo.
Circe vive esule in un’isola in cui è regina, giudice e carnefice di coloro che approdano sulle sponde del suo regno. Ha numerose doti, di cui immagino che molti di voi siano ormai edotti.
Circe è la “strega” più famosa dell’antichità classica.
Non avete bisogno che vi dica per quale motivo fosse temuta dagli umani, volete forse essere trasformati in un qualche animale?
Gli dèi la temevano per la sua arguzia, le sue abilità con gli incantesimi e la conoscenza delle erbe. La temevano perché, nonostante fosse esule dalle sale degli dèi e donna, Circe era libera di dire quello che voleva e fare ciò che desiderava con la sua immortalità.
Fino ad un certo punto.
Tutte le ninfe le venivano inviate per ricevere insegnamenti e tornare poi ai loro compiti di immortali, piene di conoscenza e finalmente Libere.
Anche se… Libere non è la parola che io userei.
Né Circe né le altre potevano definirsi Libere.
La Libertà è cosa ben diversa dalla Consapevolezza.
La seconda donna, una delle altre dopo la maga innamorata di Ulisse e schiava del destino, è un personaggio di cui non si è ancora parlato molto nella letteratura degli ultimi anni: Ifigenia.
La ragazza era figlia di Clitennestra e Agamennone. La sua è una storia interessante e davvero triste.
Prima delle figlie del re di Micene, uno degli Atridi, il vero motore della guerra contro Troia, Ifigenia era una giovane innamorata della vita e, nonostante le asprezze dei suoi genitori, era una figlia devota.
Quando le venne presentata la possibilità di sposare l’eroe più famoso e più desiderato, dalle donne della sua epoca, la figlia di Agamennone non esitò a proclamare la sua volontà di rispondere alla chiamata del padre.
L’Atride era fermo sulle sponde di un’isola. A fare cosa? Aspettare che Artemide lo lasciasse partire per prendere le mura della città di Priamo.
Ifigenia non sapeva che non avrebbe sposato Achille e non sapeva che suo padre l’avrebbe sacrificata per avere le vele gonfie di vento.
Sappiamo come reagì Clitennestra: con una vendetta lenta ma inesorabile.
Ma questa non è la storia della regina sorella di Elena né è la storia del fratello di Ifigenia, Oreste, che uccise sua madre.
La figlia prediletta di Agamennone, quando scoprì il vero motivo della convocazione in Focide, prese consapevolezza del suo ruolo di sacrificio alla cupidigia degli uomini e accettò liberamente di offrirsi come espiazione per i delitti verso la dea Artemide.
Alcuni dissero che la dea la sostituì con una cerva e la salvò proprio nel mezzo dell’atto ma sono voci e non sono importanti ai fini della tragedia.
Di nuovo c’è, però, la voce in prima persona di Ifigenia.
Non è più un personaggio sullo sfondo di una tragedia, la vittima della lotta tra i suoi genitori e nemmeno un movente per un omicidio; è finalmente libera di essere se stessa e parlare.
Ma Libera? No, quello mai.
Seguono Cassandra, la sacerdotessa di Apollo e figlia di Priamo.
Se sua madre non fosse stata impegnata ad essere innamorata di Paride e del suo potere, forse si sarebbe accorta che dietro alle parole di sua figlia poteva celarsi un oscuro presagio.
Qualcosa di nuovo nella storia di Cassandra?
No, solo una ragazza che è libera di parlare ma che nessuno ascolta per via della maledizione ricevuta da Apollo. Aspettate, un elemento sottile potrebbe aggiungere un po’ di pepe alla narrazione.
Non fu Apollo a toglierle la facoltà di essere ascoltata ma solo l’arroganza di Ecuba. Mentre la persona che la sacerdotessa pensava fosse il dio che le sputava in bocca, altri non era che il gran sacerdote che la stuprava di notte.
Questa Cassandra è più presente a se stessa della Cassandra di Christa Wolf, ma ugualmente persa.
In Libere, sceglie di vivere in un sogno che l’ha protetta dalla scure della regina di Micene nella sua mente ma non nella realtà.
L’ultima delle donne trattate dalla Colloredo è Dafne.
La naiade, nel libro, è una delle ninfe istruite da Circe. La ragazza sconvolta dalla relazione della maga con Ulisse, decide di vivere una vita priva dalle costrizioni del suo sesso e dell’amore degli uomini.
In questa versione Dafne è figlia di Gea. Quest’ultima è una dei Titani e dea della Terra mentre, in altri miti la ragazza è figlia di una ninfa.
Succede spesso con la mitologia. Non è importante quale scegliete di seguire.
La Colloredo ci racconta della volontà di Dafne di far parte della corte di Artemide ma che la dea la rifiutò (possiamo presumere che lo fece per favorire il suo gemello), inoltre che fu proprio la naiade ad uccidere Leucippo con il suo arco da cacciatrice.
Apollo si innamora di Dafne e pur di averla gioca ad un gioco perverso. Visto le Dafne lo rifiuta come amante, il dio decide di sedurre tutte le sue compagne fino a che non sarà l’ultima.
Nonostante le profferte dell’olimpico figlio del dio degli dèi, Dafne lo sfida ad una corsa e, sul punto di essere presa invoca l’aiuto della madre Gea e questa la trasforma in alloro.
Tutti conoscete la statua di Gian Lorenzo Bernini: il momento in cui la ninfa delle acque, per sfuggire dalle mani di Apollo, si trasforma in albero. Notate l’espressione di terrore della ragazza che non immaginava che l’aiuto che l’aiuto che le sarebbe arrivato fosse quella trasformazione.
Dafne ha scelto il proprio destino con coraggio e forse è l’unica delle donne che ha davvero goduto di un certo grado di libertà fino a che, chiedendo aiuto, ha perso la vita che voleva per sé.
È Libertà scoprire tardi di dover rinunciare alla propria natura?
La parola che cercate per Dafne è Coerenza.
Ricapitolando:
Circe è libera di vivere solo sulla sua isola e ogni dio è capace di manipolarla come desidera;
Ifigenia è libera unicamente di sognare il matrimonio con Achille che non avverrà mai e di accettare il suo destino a desta alta e non come un animale da macello;
Cassandra non è libera nemmeno da se stessa;
Dafne coerente con la sua natura è libera solo di disporre del proprio potere di chiedere aiuto ad una dea che la trasforma senza davvero liberarla.
Libere. Circe e le altre è un libro che vi consiglio?
Ogni racconto è in prima persona, questo è una cosa che apprezzo visto che le donne in esame devono essere libere di usare la propria voce.
È scritto molto bene, anche se la versione in mio possesso ha qualche difetto: qualche comprensibile errore di battitura e una frase con un soggetto non molto chiaro.
Dal punto di vista di ricerca di novità nell’ambito dei retelling mitologici, la scelta di far parlare Ifigenia e Dafne mi sembra un piacevole nuovo scorcio sul tema.
È un libro piacevole con un focus non molto coerente sulla realtà dei fatti narrati. Essere libere di poter usare la voce non è un sinonimo della libertà delle protagoniste.
Sono state scomode nella loro società, sono state maltrattate ingiustamente e ne hanno pagato lo scotto ma non sono MAI Libere di Vivere.
Volete sapere dove trovare Libere. Circe e le altre? Cliccate sulla parola LINK
Mentre la pozione che mi aveva dato Calcante staccava la mia anima dal corpo e i pensieri si facevano limpidi e tersi, li vidi per quello che erano e mi fecero persino pena.
C’era una volta in un reame molto lontano nel tempo una fiaba. La fiaba diventò un eco nel tempo e quest’ultimo la trasformò in una danza. Ovviamente sto parlando di Schiaccianoci e il Re dei Topi.
Scritta da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann nel 1816 è diventata una delle fiabe natalizie più amate di tutti i tempi, per tacere delle numerose opere che sono state ispirate dalle pagine di questo autore eclettico e dai mille interessi.
Chi è Hoffmann, l’autore della celeberrima fiaba Schiaccianoci e il Re dei topi?
Se dovessi descrivervi l’autore con una sola parola fallirei nella missione e non è cosa che io possa risolvere con una sciabola argentata.
Figlio di una famiglia dedita alla religione e alla politica è lui stesso avvocato, non solo non si limita alla professione legale ma si dedica a tutto quello che è arte.
Durante i suoi studi, in una scuola luterana, inizia lo studio della musica e affronta gli studi classici. La sua non è una famiglia convenzionale: quando i suoi genitori di separano, viene affidato alla famiglia di sua madre e di conseguenza a suo zio che avrà cura della sua istruzione.
Hoffmann è scrittore, compositore, pittore e altre centinaia di cose ma da chi avrà preso il suo talento?
Nel 2023 comincia ad essere un po’ sciocco pensare che qualcuno diventi famoso solo perché deve aver “barato” con una genetica fortunata. Quello che, però, posso dirvi è che suo padre si dilettava di musica ed era compositore quando la sua opera di pastore nella chiesa luterana e il lavoro di avvocato a Königsberg gli lasciavano del tempo libero.
La passione, quella sì, deve avergliela trasmessa suo padre ma il talento… quello è qualcosa che non puoi rubare a nessuno.
Mi sembra che nel 2023 sia ancora indiscusso il successo delle sue opere, ho ragione?
Conoscete tutti la trama di Schiaccianoci?
La famiglia Stahlbaum, composta da: padre ufficiale medico, madre e i due figli Fritz e Marie si appresta a passare il Natale in famiglia.
È usanza che i bambini vengano tenuti lontano dal salone della casa per tutta la giornata della vigilia per poter permettere ai loro genitori di imbastire il tavolo dei regali e gioire dell’autentica meraviglia sul viso dei loro figli.
Complice in questi regali, dal sapore fiabesco e meravigliosi, è il padrino dei bambini Drosselmeier.
Funzionario dell’Alta Corte di Giustizia (davvero mi domando da chi l’autore abbia preso spunto…) Drosselmeier è orologiaio e un personaggio pieno di misteri.
Tra i numerosi regali ricevuti dai bambini ci sono un plotone di Ussari, che dovete tenere a mente, e uno Schiaccianoci dall’aspetto umano, in uniforme, che svolge il suo ovvio compito di aprire le noci con la sola forza della sua mascella.
A dispetto della bellezza di tutti i regali che Marie riceve, la ragazzina si innamora di questo soldato apri noci. Presa da una bramosia che solo i bambini di qualche epoca fa potrebbero comprendere, Marie difende Schiaccianoci da chiunque e lo annovera nel salotto delle sue bambole più preziose.
Quello che Marie non sa è che sta compiendo l’atto più rivoluzionario dell’umanità.
Qual è il significato de Lo schiaccianoci?
Marie scopre presto che esiste un mondo oltre a quello che conosce e che anche lì esiste un personaggio che è disposto a tutto per la vendetta.
Non ho intenzione di dirvi tutto io, dovete leggere il libro se non lo avete ancora fatto.
Sono certa però che chi ha dei bambini ha visto Barbie e lo Schiaccianoci di Owen Hurley; gli amanti del teatro hanno assistito al celeberrimo balletto “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij; mentre l’ultimo adattamento (2018) è Lo schiaccianoci e i quattro regni con la regia di Lasse Hallström e Joe Johnston.
Vi ricordo che questa fiaba inspirò anche Andersen e ora vi svelerò quale fu l’atto rivoluzionario compiuto da Marie.
Schiaccianoci non era certo il regalo più bello che si potesse ricevere ma qualcosa nei suoi occhi destò l’amore in Marie.
Non era certo, per tutti gli altri e una certa principessa, il caso di amare una creatura brutta e soprattutto chi mai vorrebbe rinunciare ai propri tesori per un giocattolo di questa risma?
Oltre ogni pregiudizio, oltre ogni raccomandazione, Marie sceglie di amare senza farsi condizionare da nessuna regola.
Ho usato la parola amore che è un preludio al lieto finale della storia ma non è solo di quello che si parla. Lo schiaccianoci parla di lealtà, di tenacia e amicizia.
Come vi ho già detto questa è una storia di tanto tempo fa ma ogni anno torna sotto le feste natalizie a deliziarci con il suo mondo incantato.
Il 2022 ci ha donato una delle edizioni più belle che io abbia mai visto. Con la traduzione di Alessandra Valtieri, Iacopo bruno ha illustrato un gioiello di inestimabile bellezza che è stato pubblicato per Rizzoli.
Iacopo Bruno è illustratore di enorme fama, infatti come non ricordare le illustrazioni di Canto di Natale e di Pinocchio sempre per Rizzoli.
Ma soffermiamoci su Schiaccianoci.
Io nutro sempre una reverenziale ammirazione nei confronti di chi sa come dare volto alle storie e anche un po’ di invidia, io non so nemmeno come si tiene una matita, figuriamoci mettere al mondo un’opera d’arte.
La sensibilità con cui I. Bruno illustra questo mondo è… strabiliante. Le bambole di Drosselmeier, presenti nei orologi e nei carillon, prendono vita in queste pagine e il padrino dalla marsina gialla sa bene che se gli ingranaggi non permettono ai teatranti di muoversi in libertà o a comando dei bambini, la fantasia e il cuore possono fare quello che vogliono se lo desiderano.
Le illustrazioni di questa edizione sono personaggi di zucchero, bambole che richiamano infanzie passate e speranze future per tutti quelli che si attarderanno tra queste immortali pagine.
Ho trovato un neo nella edizione de lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Rizzoli?
Ad un mese appena dalla sua pubblicazione, il libro è sparito dalle librerie e con sparito non intendo solo terminato.
Ordinarlo in un negozio è stato impossibile, ho dovuto ricorrere alle maniere forti e finalmente godere di questa edizione.
Volete sapere dove trovare Schiaccianoci e il Re dei Topi? Clicca sulla parola LINK
Questo 2023 inizia con un’antologia: Willie lo strambo e altre storie della collana Macabre edita da Sperling & Kupfer.
Vi piacciono i racconti?
A me molto ma non sempre amo le antologie nel loro insieme.
Ogni anno aspetto le mie due preferite di cui vi parlerò a breve (piccolo spoiler? Andate a dare un’occhiata al sito dell’associazione RilL) e se ho fortuna, come in questo caso, me ne capitano tra le mani un altro paio di eloquente magnificenza.
Perché mi piacciono le antologie come Willie lo strambo?
È presto detto: mi permettono di scoprire scrittori che non avevo ancora avuto il piacere di leggere e di innamorarmi di autori che conosco in altri generi letterari ma di cui non avevo avuto modo di apprezzare i lati nascosti.
Questa antologia ospita penne che conoscete tutti bene, solo che non sapete ancora di cosa sono capaci quando assecondano il loro lato “oscuro”.
A legare i racconti di Willie lo strambo è l’Inquietudine e ad aiutarla c’è anche la Paura.
Non quella paura che vi fa temere le ombre nelle cantine e nemmeno quella che vi ammantata di terrore quando i personaggi iniziano a morire in situazioni che sono il cliché della letteratura horror.
La paura e l’inquietudine di cui vi parlo sono quelle viscerali, quelle inspiegabile, quelle che vivono nelle pieghe della vita di tutti i giorni e a cui non sapete dare un nome.
I movimenti al margine del campo visivo, i dèjà vu, l’irrazionalità dell’inspiegabile, la banalità di una frase lasciata cadere in una conversazione e nel comportamento non comune di un parente…
Esatto, vi immagino mentre leggete e so che sapete di cosa sto parlando: piccoli e semplici episodi che sono in grado di innescare la follia.
Io ho paura dei tombini, dei palloncini rossi.
Posso dare la colpa è di uno dei signori qui presenti. Anche se forse lui ha solo scatenato qualcosa che mi viene dal profondo.
Probabilmente mi serve un bravo psichiatra ma non è questo il punto.
Guarda caso l’autore di cui vi parlo ha vergato il racconto che guida e dona il titolo all’antologia.
Non ha bisogno di presentazioni ed è il maestro di questo genere di storie.
Ovviamente parlo di Stephen King.
Il signor King dorme bene? Me lo chiedo da anni. Sicuramente meglio di me che leggo avidamente i suoi scritti e poi ho il terrore della vecchietta che casualmente ha un Impermeabile giallo appeso fuori.
Sono le cose banali a diventare il Male.
Ma dopo Willie lo strambo?
Miei lettori, lettrici e tutti coloro che hanno la pazienza di leggermi, ho scoperto che io sospettavo della vecchietta della porta accanto ma non avevo affatto intuito che l’altro vicino di casa (anche se non in maniera letterale), che conoscevo come saggista, ha una vena nera che gli scorre nella penna.
Eraldo Baldini, per una ravennate, è una sorta di istituzione e ora so che anche lui vede le case abbandonate nella stessa maniera in cui le guardo io.
Il viaggio di un ispettore in una vallata può diventare l’insopprimibile pensiero fisso in un intero arco vitale e al contempo dare una prospettiva nuova anche alla selva dantesca, ci avevate mai pensato?
Ai confini del reale di solito troviamo le storie di Dylan Dog e anche la penna di Paola Barbato…ma se la sua penna vi raccontasse di un personaggio innocuo e quasi invisibile nella nostra vita frenetica?
Sapete, quel genere di persona che non sarebbe un pericolo nemmeno per una mosca. Esatto, proprio quello che stamattina ha raccolto i fazzoletti o le chiavi che vi erano caduti e ve le ha restituite augurandovi buona giornata.
Chi è? Ve lo siete chiesto?
Delle volte non c’è bisogno di trovarsi in un vicolo oscuro per carpire una dissonanza nella pace.
“Mio fratello” parla di amore ed è il racconto di Antonella Lattanzi. La famiglia non è una scelta e può capitare che con un fratello si senta un’affinità elettiva che travalica qualsiasi senso logico.
Lo sapete che qualcosa non va, conoscete la profondità di quell’abisso di desolazione che è un po’ anche vostro ma…come in uno specchio, se voi non avete il coraggio di saltare nel buco, il vostro riflesso invece ce l’ha ed è capace di tutto vestendo solo un sorriso e l’abisso.
È difficile parlarvi di Willie lo strambo e altre storie!
Tutti i racconti mi hanno distrutto l’anima perché sono l’alter ego del mio sentire e non so se esserne spaventata.
Chi non conosce Loredana Lipperini deve porre rimedio. Ho avuto un’illuminazione sulla via di Damasco quando mi è saltato tra le mani il primo libro suo che io abbia mai letto e poi ho deciso che dovevo convertire tutti alla sua scrittura.
Loredana Lipperini è tante cose ma soprattutto vive d’immenso e il suo racconto buca le certezze che ognuno ha della vita.
A me capita, non sempre ma succede, di non avere la cognizione esatta di cosa mi stia spaventando in una sequela di coincidenze al limite della candid camera. Capirlo a volte può essere la vostra salvezza e credetemi, piuttosto che trovarmi al posto di questa protagonista preferisco di gran lunga i fantasmi di Scrooge.
Seguono un racconto di Marco Peano che vi farà rivalutare il disagio verso gli allarmi che suonano per i motivi più disparati. Potrebbe capitare che uno di questi sia il proverbiale gommone mandato per salvarvi.
Sapete quale penna è davvero stata una rivelazione per me in questa antologia?
Sì, lo so. Tutti conoscete il suo talento e la apprezzate per i suoi libri che narrano di donne forti come le montagne, io avevo bisogno di una spinta in più.
E la scossa di cui avevo bisogno si intitola “Scura come la notte“.
Vari temi sono stati affrontati in queste pagine: la discriminazione razziale, la violenza di genere in un culture diverse dalla nostra, la voglia di essere più che un numero nel conteggio umano e a condire tutto questo c’è l’ignoto, la scienza e l’universo oscuro e meraviglioso.
Dovete proprio leggerlo.
Se non volete ascoltare me, ascoltate Galileo. Lui lo sapeva prima di tutti noi.
Ci sono storie, nel mito, che non smettono mai di affascinare il mondo. Incapaci di rimanere nel loro angolo riempiendo le menti e catturando l’attenzione di chiunque si volti e li ammiri, sbalordiscono e assumono significati diversi a seconda dello specchio che si sceglie di usare. Così è per la storia di Medusa, la gorgone dallo sguardo che pietrificava tutti quelli che osavano guardarla. Ma da dove è iniziata? Natalie Haynes lo racconta ne Lo sguardo di Medusa edito Sonzogno nel 2022.
Il Gorgoneion, il capo reciso di Medusa, campeggia nello stemma di Versace e anche in quello della Medusa Film ma ad indossarlo per prima fu la dea Athena che lo fece incastonare nella sua egida per terrorizzare i suoi nemici, talvolta campeggiava anche sullo scudo che la dea prendeva in prestito da suo padre.
Se la storia di questa gorgone non fosse così triste si potrebbe raccontare che fu una dea ad iniziare un brand di marketing che ha successo, nei media e non, da molto prima che la città di Priamo venisse distrutta.
Ma torniamo a noi.
Lo sguardo di Medusa di Natalie Haynes aggiunge qualcosa di nuovo al mito?
Questa autrice ci aveva deliziati con Il canto di Calliope, un romanzo corale in cui aveva messo in luce ben più di qualche ombra durante le dinamiche della guerra di Troia.
Aveva aggiunto della modernità allo sguardo sull’accampamento acheo subito dopo la conquista della città e, rispolverando Euripide e Seneca, aveva donato alle donne del respiro che nelle tragedie post Iliade non avevano ancora avuto.
Perché non ritentare l’impresa narrando un mito che ne ha intrecciati altri sul suo cammino?
Di nuovo un romanzo a più voci.
Di nuovo con attenzione alle donne e alle tematiche della diseguaglianza tra sessi aggiungendo la lotta contro i cliché tra la bellezza e la mostruosità.
Chi siamo noi, umani, per decidere cosa è bello e cosa no? Chi merita di morire e chi merita di vivere?
Per rispondere alla mia domanda di prima: Lo sguardo di Medusa aggiunge voci ad una storia che inizia ad essere abusata più che rinarrata.
Questo vuol dire che Lo sguardo di Medusa è un fallimento?
No, assolutamente. Ma tutt’ora, ormai giunta alla parola fine, non sono in grado di dire se mi è davvero piaciuto oppure mi lascia perplessa.
Come vi avevo già accennato, Medusa incontra altri miti lungo il suo cammino.
Non ci sarebbe nessun Gorgoneion se Zeus non avesse generato Perseo e nessuno avrebbe mai liberato Andromeda dagli scogli che la offrivano al mostro inviato da Poseidone.
Il mito di Perseo è la favola di un Eroe che sopportando le avversità del distino, per salvare sua madre Danae da un matrimonio forzato, compie mirabolanti imprese (con l’aiuto di Zeus, Ermes e Atena) per recuperare la testa di una delle tre gorgoni.
Perseo è un uomo, quindi sapete già che la sua storia narra del suo eroismo e mai del resto ma con un po’ di attenzione ai dettagli non è difficile capire che lui, come gli altri semidei, ha compiuto quasi un’ecatombe per essere degno dell’attenzione degli dèi.
Un merito bisogna riconoscerglielo: ha salvato Andromeda, anche se poi l’ha rinchiusa in una gabbia dorata e mi domando se lei si sia mai resa conto di cosa il “potere” avesse fatto a quel sedicente figlio amorevole.
Se dobbiamo credere che la personalità di uomo si evince dal trattamento che riserva a sua madre, a ben vedere c’era poco di che star tranquilli.
A narrare la storia di questo mito, almeno in parte, è il Gorgoneion che, una volta reciso, perde la personalità della sua portatrice e si trasforma in strumento di morte ma…
Anche se Perseo è il vero sterminatore in questa storia, la testa recisa di Medusa si rende conto del disastro che incombe e della noncuranza con cui il suo potere viene utilizzato: lei stessa ne trae un qualche piacere, ma non può farci nulla se non raccontarci quello che accade.
Mi domando se Lady Mary Crowley di Downton Abbey mentre paragonava se stessa ad Andromeda salvata da Perseo, nella prima serie del period drama, si sia accorta del paradosso insito nel fatto di essere salvata e poi sposata da un uomo che in realtà non si conosce affatto e potrebbe rivelarsi essere chiunque: anche un assassino che gode nell’uccidere.
Potrei raccontarvi la storia dell’infelice Gorgone ma la conoscete: stuprata da Poseidone e punita da Atena. A voi scegliere i motivi della punizione, c’è chi dice che sia dovuta alla sua vanità ma non è fondamentale ai fini di questa storia.
Quello che le è accaduto vi sembra proporzionale al reato? A voi il giudizio.
Avete anche la conoscenza di cosa abbia scatenato tutto questo: se gli dèi non si fossero messi a farsi i dispetti probabilmente tutto questo non sarebbe accaduto e che, soprattutto nel caso dei loro fenomenali poteri cosmici, quando tentano di mettere a posto tutto combinano disastri molto più grandi e li ammantano di eroismo.
Sensi di colpa? No, nessuno.
Quindi Lo sguardo di Medusa merita di essere letto?
Il libro è piacevole anche se a tratti può risultare lento e leggermente forzato in alcuni punti.
La voce narrante si ripete spesso: accusando Perseo di essere petulante e meschino rischia più volte di commettere la stessa colpa.
Nonostante sia più che ovvio che la storia di Medusa debba essere connessa a quella di Andromeda e che ciò che le connette sia lo sguardo del Gorgoneion, ho avuto (in più di occasione) la sensazione che alcune parti di questa storia siano di troppo e tolgano ritmo alla narrazione e al suo soggetto.
Il risultato è strano e dissonante: più che la sensazione di aver ascoltato un coro di una tragedia sembra di aver assistito ad una cacofonia di capricci e che a farne le spese siano le due donne che si volevano valorizzare.
Perseo sarà anche stato quello da biasimare, e con lui tutta la parentela divina, ma c’era la necessità di dargli tutto quello spazio?
È un dubbio che mi è venuto.
Ripeto: Lo sguardo di Medusa mi è piaciuto ma c’è anche qualcosa che non mi ha convinto e, inoltre, il mio è un parere che potete ignorare.
Di sicuro, però, non l’ho amato come ho amato Il canto di Calliope.
Volete leggere la trama de Lo sguardo di Medusa? Cliccate sulla parola LINK
“Se venissi calpestato da un gigante e da un dio – cosa che da parte nostra non sarebbe intenzionale, ma insomma, uno di noi potrebbe fare un passo falso nel pieno della battaglia, e allora tu saresti… Bè, saresti stato. In ogni caso, sarebbe del tutto indolore. Cioè, probabilmente sarebbe molto doloroso, ma solo per un attimo, poi smetterebbe.”
Non posso mai fare a meno di trovarmi agli albori della Storia Greca, deve essermi rimasta impigliata in una caviglia un giorno di tanti anni fa. Ancora una volta, sullo scaffale della mia libreria preferita, ho trovato nella sezione saggi un libro dal titolo privo di mistero: Troia di Stephen Fry, edito per Salani nel 2022.
Dico che il titolo è privo di mistero perché, ormai lo sapete tutti, sono anni che in maniera piuttosto ciclica io mi siedo nella piana tra lo Scamandro e la porta Scea e mi godo lo spettacolo.
Li ho visti tutti. Correndo avanti e indietro mi sono passati davanti tutti i guerrieri, ho visitato gli accampamenti, mi sono seduta alla tavola di Priamo e ho persino litigato con Ulisse qualche volta.
Non posso fare a meno di stare con loro 10 anni.
Dieci anni a Troia non è la condanna di Ulisse ma la mia aspettativa di esistenza ogni volta che mi trovo davanti ad un libro che ne racconta le vicende.
Ora, a detta di molti, dovrei ormai essermi annoiata di questi retelling della guerra narrata da Omero nell’Iliade. Ma non è così.
Mi annoiano i libri che cavalcano l’onda, quelli che non aggiungono sfumature sconosciute, quelli che all’ordito non aggiungono fili e trame che fanno risplendere l’arazzo.
Troia non è uno di questi.
Vi ho già detto che l’ho trovato nella sezione saggistica ma… chi dice che i saggi sono noiosi o boriosi non sa proprio che cosa ho tra le mani.
Avete presente quando davanti a voi, magari ad un evento letterario, c’è qualcuno che vi parla del suo libro ma l’unica cosa a cui è realmente interessato è sentire il suo della sua voce?
Ecco, questo capita anche nei libri. Ne ho letti di testi dove gli autori si stanno rivolgendo al loro riflesso nello specchio e si fanno anche gli applausi da soli.
Quindi, Stephen Fry è questo genere di autore?
Ma nemmeno per sogno. Avete davanti un autore che sa quello che dice e vuole che vi divertiate a scoprire con lui la guerra che rese famosi tutti gli eroi che sappiamo essere coinvolti.
Stephen Fry vuole giocare con voi e vuole che abbiate la gioia della lettura, dello scoprire nuovi dettagli, che non vi vergogniate se le vostre opinioni in merito non sono scolastiche e che giochiate con i punti di vista.
L’autore si diverte anche a ricreare i possibili dialoghi e i giochi di sguardi tra i protagonisti.
Insomma, leggere Troia è uno spasso.
Un dialogo sagace e frizzante con uno studioso acuto e appassionato, cosa si può volere di più? Io potrei andare avanti per giorni dialogando con una mente così.
Ho trovato in copertina un commento del Guardian che definisce l’autore: “Un maestro che indossa la cultura con estrema leggerezza” e io non avrei saputo spiegarvelo in maniera migliore.
Vi racconto una cosa sciocca in merito alla mi esperienza con questo libro: io tolgo sempre le sovra copertine perché non voglio rovinarle e perché mi piace tenere in mano il libro senza sentirmelo scivolare tra le mani, quindi io non ho guardato la quarta di copertina dove campeggia la foto dello scrittore.
Ho notato che conoscevo il nome ma ho pensato (perché nonostante io sia nota per la poca fiducia nel genere umano) che esistessero due Stephen Fry famosi.
Ora, mi rendo conto che facendo così ho implicitamente dato vita al clichè in cui un attore di straordinario talento non possa anche essere uno scrittore di rara abilità narrativa ma non era questa la mia intenzione.
Quando ho terminato Troia, ho fatto quello che faccio sempre: giro per casa declamando alla mia platea immaginaria quanto mi sia piaciuta l’opera e tesso le lodi dell’autore o dell’autrice.
Questa scenetta la metto in atto con il libro in mano e, in questo caso specifico, mentre davo sfoggio della mia abilità oratoria, ho rimesso la copertina al libro e ho visto il ritratto di Stephen Fry.
Sì, Stephen Fry è la persona che ha dato vita a moltissimi dei personaggi cinematografici che ho amato e detestato, è doppiatore, sceneggiatore e produttore e ha scritto libri che io adesso voglio nella mia libreria.
Perché Troia è il terzo di una trilogia, non fatevi spaventare potete leggerli separatamente ed è lo stesso autore a dirvelo in prefazione.
I primi due libri sono Mythos ed Eroi. Qualora ce ne fosse bisogno, mentre vi occupate di Troia, troverete nelle note a piè di pagina tutti i riferimenti utili per essere nel pieno della storia.
Tranquilli siete in ottime mani, tra ottime pagine e nel mezzo di una storia che non smette di parlare anche a millenni di distanza.
Troia è la storia di una città che era considerata inespugnabile, un po’ come quando ti fanno capire che la cultura non è un gioco o che non sia divertente.
Troia è stata conquistata a duro prezzo e conoscere le vicende che hanno portato il mondo a rifrangersi sulle sue coste per ottenerne i segreti e i tesori può essere avvincente.
Lo consiglio a tutti coloro che vogliono approfondire l’Iliade o avvicinarsi, ai giovani che hanno paura del greco ma che dopo questo ci si avvicineranno senza paura.
Un enorme grazie a Stephen Fry, al suo Troia. È un onore conoscere la sua penna oltre che il suo talento sulle scene.
Volete leggere la trama di Troia? Cliccate sulla parola Link
Qualunque sia il nostro Paese e per quanto possiamo essere orgogliosi delle nostre dichiarazioni nazionali di tolleranza, onore e dignità, non si piò escludere che gli eserciti che combattono per la nostra bandiera non si siano resi colpevoli di atrocità pari a quelle perpetrate dagli insaziabili greci quella notte.
This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.
Cookie strettamente necessari
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.