Ho conosciuto Annalena Benini in una serata d’estate, all’interno di uno degli eventi dello ScrittuRa (Festival di letteratura organizzato a Ravenna-Lugo). In quella serata veniva presentato I racconti delle donne, edito per Einaudi, e mi ha folgorata. Torno oggi alla penna della Benini per leggere Annalena, il suo ultimo libro, sempre per Einaudi.
L’antologia con i racconti delle donne, che sono artiste e scrittrici conosciute e molto amate, mi aveva folgorata: sulla via di Damasco ho avuto la certezza che non sarò mai in grado di scrivere in nessuno di quei modi incisivi e mi sono sentita piccola di fronte alla grandezza della letteratura.
Annalena, invece, mi ha strappato il cuore.
Non sarò mai la Didion o la Yourcenar, ma la mia indole umana non sarà mai nemmeno vicina a quella di Annalena Tonelli, cugina di terzo grado della Benini.
Annalena è un libro biografico, almeno in parte, perché della sua vita di cui la Tonelli non voleva si parlasse è solo parte dell’immensità della vita che questa donna e minuta è riuscita a salvare, coinvolgere e toccare con la sua sola esistenza.
Anche la vita della Benini ne è stata toccata, non solo per la parentela che le lega, ma anche perché quando insegui la vita di qualcuno finisci per capitolarci dentro.
Puoi quasi toccare la pelle del tuo soggetto, entra a far parte di te. Lontane ma vicinissime, solo ad un sussurro.
La prima parte del racconto di questo libro mi ha fatta sorridere più di una volta.
Io e la Benini non ci conosciamo personalmente, ma la sua esperienza con la vita quotidiana mi ha permesso di credere che forse abbiamo qualche piccola cosa in comune.
Se non per altro almeno per una certa questione su di un naso che potrebbe essere, o non essere, ereditario.
Annalena Tonelli è stata uccisa nel 2003, in Somalia, con un colpo di fucile.
Aveva sessant’anni e il motivo della sua uccisione è stato una cosa (ben più di una in realtà) piccola, banale, e buia: l’ignoranza, la paura, Il Male.
Questa piccola donna avrebbe potuto scegliere di vivere negli agi di una vita borghese, facendo beneficienza a Forlì. Invece, ha scelto di partire per ovunque ci fosse bisogno di lei.
Il Kenya, la Somalia e molti altri.
Ha scelto una vita mortale. Ha preso la sua intera esistenza e l’ha donata a coloro che desiderava.
Ovvero tutti coloro che sono gli ultimi, gli abbandonati, i dimenticati.
Perdonatemi la parafrasi di una famosa frase de Il Signore degli Anelli, nella trasposizione cinematografica di Peter Jackson, ma non avrei saputo descrivere meglio di così quello che la Tonelli ha compiuto della sua vita.
La “Santa Annalena Tonelli” è l’epiteto con cui Il Corriere della Sera ha dato notizia della sua morte.
Epiteto che non sarebbe stato affatto amato dalla stessa poiché credeva che non servisse a nulla parlare di coloro che soffrono, occorreva fare qualcosa di concreto.
Immergersi nella sofferenza, donare ogni briciolo della propria vita, dare fino a svuotarsi e amare fino al limite delle proprie forze.
È una cosa bellissima da dire ed è fortissimo lo slancio che tutti sentiamo di fronte a questo appello, ma quanti di noi lo farebbero realmente?
Ne avremo la forza?
Ad un certo punto, io come la Benini, come tutti, ci troviamo a dover rispondere all’annosa questione: quando smetteremo di cercare di essere altri che non siamo noi stessi?
Non possiamo essere tutti grandi. Non saremo mai tutti dei giganti ma siamo forze, magari meno brillanti o meno forti rispetto ad altri.
Il nostro compito è vivere al massimo delle nostre possibilità, Vivere essendo coscienti di farlo, accettare quello che non possiamo cambiare per non disperdere le energie che ci consentono di compiere le grandi opere che sono destinate a noi e non ad altri.
Annalena Benini intreccia la sua vita a quella di un’anima inarrivabile, ce la restituisce attraverso i libri che la Tonelli amava e che le davano forza quando si sentiva sola e non compresa.
Ha esaltato la vita di colei che avrebbe detestato i nomi con cui la stampa e il piccolo mondo la identificava.
L’ha resa immensa facendoci vedere anche quelle che sono i lati umani che noi tutti nascondiamo per non sentirci molto più vulnerabili.
L’autrice ha “infranto il dogma” secondo cui non si sarebbe dovuto scrivere della Tonelli e, anche se in piccolo, l’ho fatto anche io per rendere omaggio al suo ritratto così abilmente delineato.
Volete conoscere la trama di Annalena? Cliccate sulla parola LINK
Lei voleva essere nessuno, ma la vita è anche mancare qualcosa, non riuscire in qualcosa, non colmare la misura fino all’orlo. Lei che è stata la dismisura in tutto, non è riuscita a colmarela misura dell’essere nessuno.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un importante risveglio del femminile, numerosi libri portano a conoscenza le gesta di donne altrimenti destinate al dimenticatoio; Le RIBELLI che stanno cambiando il MONDO va ben oltre.
Lo dice il titolo stesso, stanno cambiando Adesso il mondo, ed è proprio per questo che trovo il libro di Rula Jebreal innovativo ed assolutamente da non perdere.
Sono storie straordinarie, interessanti ed uniche, storie che passano troppo spesso in sordina proprio perché storie di donne.
Giornaliste, scienziate, sportive, artiste e politiche, sono nove Ribelli che hanno lasciato un segno importante in questa epoca.
Rula Jebreal ritorna, dopo Il cambiamento che meritiamo, come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro per proseguire il discorso sul femminile. Conferma l’importanza di un tessuto sociale costituito da donne che lottano costantemente per farsi ascoltare, per contribuire al benessere dell’umanità, per lottare contro i pregiudizi di una società che ci vuole sempre ai margini.
Il libro ha inizio con un racconto davvero emozionante, Rula ci parla di sua sorella, del grande esempio della sua vita. Rauia è la donna che ha usato tutte le sue forze, fino alla morte, per portare avanti le sue lotte per la giustizia.
Dal letto di ospedale Rauia ha combattuto senza risparmio.
Ignorando lo sforzo che richiedeva anche soltanto articolare le parole,
inchiodava i medici sulla soglia della sua stanza,
chiedendo loro di poter decidere la propria morte e
spronandoli ad esprimere pubblicamente il proprio dissenso
di fronte a una legge civile che non lo consentiva.
Donne unite da intenti comuni: quelli di costruire un mondo migliore.
Oggi come ieri, sono donne che tengono per mano tutte quelle che hanno finora lottato per porre le basi, e ora è giusto parlare anche di loro.
In Ribelli che stanno cambiando il mondo incontriamo chi attraverso la rete, è stata in grado di costruire sistemi di ascolto e sostegno per una nazione intera, chi ha saputo farsi spazio nella ricerca scientifica donando all’umanità intera il suo contributo .
E ancora fotografe e reporter che rischiano la vita per portare alla luce ingiustizie e violenze nel mondo e chi ha saputo usare il cibo come strumento di protesta per mettere in atto la propria forma di rivoluzione.
Forti e a testa alta, pronte a lottare contro pregiudizi ancorati da molto tempo alla quotidianità.
E’ stata una sorpresa, finalmente un libro in grado di restare profondamente radicato nel nostro secolo.
Perché anche in questo secolo si stanno creando dei cambiamenti epocali.
Quelle di cui si parla in Le Ribelli donne che stanno cambiando il mondo,sono donne che ce l’hanno fatta.
Non si sono lasciate fermare dagli ostacoli e hanno resistito fino alla fine.
Sono le donne di cui dovremo parlare alle nostre figlie e ai nostri figli, perché rappresentano la concreta speranza verso il cambiamento. Sono la nostra ispirazione e l’esempio per le nuove generazioni, cambiare le regole, senza arrendersi mai.
Femministe o Femminucce? Un libro che fa discutere.
Questo era il titolo di un articolo della Repubblica di alcuni giorni fa.
Sotto il titolo, invece del nome e cognome dell’autrice, soltanto il nome che usa su instagram, il numero di follower e il fatto che si tratti di un’influencer-attivista.
Storco inevitabilmente il naso e mi domando se questo libro può veramente fare per me.
Il femminismo e la letteratura femminista sono indissolubilmente legati alla mia vita.
Indimenticabili sono le emozioni donatemi dalla Woolf, le poesie di Audre Lorde e potrei proseguire con gli studi rivoluzionari della Gimbutas, giusto per citarne alcune.
Non sono ancora riuscita a comprendere la necessità di sottolineare l’attività di influencer, all’interno di un libro che racconta il percorso intrapreso da Federica Fabrizio, nella conoscenza di donne che hanno scritto un pezzo di storia femminista.
Ci tengo però a sottolineare che forse, la mancata comprensione di questo meccanismo associativo, sia soltanto un mio limite.
C’è un nuovo mondo di attiviste che dei social hanno fatto il mezzo principale di divulgazione dei loro pensieri.
Un mezzo veloce e immediato e, proprio per la sua prerogativa frettolosa, a rischio di superficialità.
Voglio essere più chiara: Instagram può essere un mezzo per farsi conoscere, per divulgare briciole di pensiero, ma non può essere fine a se stesso, piuttosto un veicolo che, con quella briciola può attirare il pubblico alla pagnotta.
Federica ci propone infatti una “pagnotta” fatta di diversi impasti: quelli delle vite di alcune grandi donne che hanno portato avanti la loro lotta consapevolmente e altre che lo hanno fatto con molta meno consapevolezza.
Ecco allora che incontriamo bell hooks (il minuscolo non è un errore) e Rosalind Franklin accanto a grandi imprenditrici come Luisa Spagnoli.
E ancora icone come Frida Kahlo, Janis Joplin e Raffaella Carrà.
Non mi dilungherò sui personaggi descritti, sarà un’interessante scoperta.
Inoltre, chi deciderà di intraprendere la lettura, si troverà di fronte ad un’ampia bibliografia per proseguire le proprie ricerche.
Femminucce nasce esattamente con questo scopo:
mettere in comunicazione diverse generazioni di persone femministe,
per condividere le lotte e la rabbia.
Femminuccia, fighetta, principessina e molti altri termini, non appartengono soltanto al panorama dei sesso opposto.
Spesso vengono usati per sminuire altri uomini non “conformi ai parametri”, a riprova di quanto lavoro ci sia da fare anche dentro queste ferite.
Troppo spesso vengono usati con molta leggerezza anche nel panorama femminile a sottolineare una “debolezza storica”, dovuta a secoli di esclusione dalla vita sociale, lavorativa, artistica, sportiva ecc.
Femminucce fa del suo punto di forza la volontà di creare una svolta attraverso il linguaggio. lo stesso che troppe volte ha appoggiato diversi stereotipi che ci vogliono sesso debole e indifeso.
Federica si allontana con decisione dalla visione dualista della donna: forte e decisa o debole e vittima, preferendo racconti di esperienze, sottolineando l’individualità del singolo.
Questo pensiero prende forma anche nella sua lotta come femminista intersezionale, abbracciando nella lotta comune tutte le persone che si riconoscono nel genere femminile.
Ecco credo che questa sia la più giusta definizione per questo libro: un personalissimo viaggio all’interno del panorama femminista.
Un libro appello per le nuove generazioni , un invito alla conoscenza delle generazioni femminili passate, nella speranza che il loro pensiero e le loro azioni vengano comprese in profondità.
Poichè, è indiscutibile, di continuare a lottare c’è ancora molto bisogno.
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