Ho letto Povere Creature! di Alasdair Gray e, ad un certo punto, la povera creatura ero io.
Fin da subito ho capito che la lettura sarebbe stata una piacevole scoperta e che il libro mi sarebbe piaciuto.
Una scrittura ironica, guizzante, mai noiosa.
Mi è capitato di leggere le pagine di Povere Creature! anche in momenti in cui ero sfinita e la carica narrativa di questo libro mi ha resa felice di aver sottratto qualche minuto al sonno incipiente.
Povere Creature! è un capolavoro.
Ho sbagliato, all’inizio della lettura, a credere che fosse un romanzo gotico.
Ho sbagliato a credere di leggere la versione di Gray del romanzo di Mary Shelley.
La vera questione che riguarda Povere Creature!, se proprio dobbiamo trovare un punto di partenza nella letteratura passata , è da ricercare in Pirandello: Così è se vi pare.
A dispetto della realtà e dell’oggettività, a dispetto di ciò che è normale, c’è una storia e dire chi sta fornendo una versione errata è davvero difficile.
Ma, in fondo, chi può dire di conoscere la verità assoluta quando si sta affrontando un gioco di specchi?
Ho iniziato Povere Creature! e ho pensato di essere coinvolta in un’atmosfera fantozziana.
Sì, sembra tutto così fuori dai binari che suscita l’ilarità del lettore.
È tutto così ilare che si perde il punto del discorso: non c’è proprio nulla da ridere.
Bella è ingenua e totalmente libera di essere chi vuole essere.
Ma è davvero così? Dipende a quale versione della storia decidete di dare credito.
Non posso dare troppe informazioni, anche se immagino che tra i lettori ci sia chi ha già visto il film al cinema.
Io non l’ho visto e non chiedo di sapere come il regista ha deciso di raccontarmi la sua versione, quindi non vi dirò cose che dovrete scoprire leggendo questo libro.
Diversi sono i temi che si nascondono tra un cenno a Frankenstein e uno al Grand Tour vittoriano (anche se è davvero fuori dai canoni ed è una donna libera ad effettuarlo).
Le situazioni spesso sono talmente assurde che si perde sempre il fuoco del discorso: non c’è nulla da ridere, non importa quale sia la versione della verità che scegliete.
Questa storia parla di Povere Creature! ma non si sta parlando di denaro.
Anche quando tutto sfolgora è nella crepa di un sorriso che si cela la povertà, è nella fama di un regno che si scopre cosa non funziona, è nella osannata società di una Gran Bretagna all’apice del suo fulgore che non si può voltarsi a guardare altrove.
Anche se tutto è al massimo dello splendore bisogna ricordarsi che si è tutti uguali nel privato della propria esistenza.
Anche coloro che sono pronti a scagliare pietre, anche coloro che vengono lapidati.
La povera creatura sono io che credevo di poter ingabbiare questo libro in una categoria.
La povera creatura sono sempre io che sono caduta nel tranello dell’autore e mi stavo facendo trascinare da esperienze letterarie e sociali pregresse.
La povera creatura sono io che non ho ancora avuto tempo di ammirare la pellicola di cui Emma Stone è riconosciuta come indiscussa stella.
Normalmente rifuggo dai testi di cui troppo si parla ma se Yorgos Lanthimos non avesse proposto la sua visione e questa non avesse vinto numerosi premi, probabilmente, non avrei mai colto la possibilità di avventurarmi in questo libro.
Così è, se vi pare. intitolava l’opera teatrale.
Ci sarà anche la verità sullo svolgimento di questa intricata vicenda ma il punto è che la sterilità di una versione unanime non importa.
Volere conoscere la trama di Povere Creature!? Cliccate la parola LINK
“Gesù era sconvolto dall’universale crudeltà e indifferenza quanto me. Anche lui dev’essere rimasto inorridito scoprendo che doveva migliorare le persone contando solo sulle proprie forze”
La collana di cui fa parte questo volume è Memorie dal Futuro e il titolo dell’opera solista del 2023, la di cui firma è Nicola Catellani, è Futuri Inattesi.
Per chi ancora non lo sapesse, per poter far parte della collana Memorie dal Futuro è necessario essersi distinti più volte nel Trofeo RiLL.
Questa monografia di Nicola Catellani non era inattesa, anzi.
Futuri Inattesi era da me attesa anche non sapendo che sarebbe stata pubblicata.
Lo stile di Nicola, spero mi permetta di potergli dare del Tu, è camaleontico.
Non c’è Io narrante che lo metta a disagio, non esiste impostazione di linguaggio che lo intimorisca, Lui prende la penna e sferza racconti che sono intrisi di fantascienza e irrealtà a tal punto che me li vedo accadere in salotto…
Come se fossi presente anche io.
Chi non ha mai incontrato Quel signore in salotto sta mentendo e io lo so.
Il primo racconto dell’antologia è Tutto calmo, tutto lucente mi ha fatto pensare al Vangelo e non solo perché è ambientato a ridosso delle festività natalizie.
In fondo quando si parla di creature cosmiche anche il microbo spaziale più lontano è fratello del Salvatore della Cristianità, no?
“In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me.” (Vangelo secondo Matteo)
Ed è bene ricordarlo, può salvarvi la vita e non solo.
Un solo atto di gentilezza può anche risollevare una vita che aveva perso il suo significato e Il fantastico Binomio dimostra che: le parole hanno un peso ma lo ha anche lo spirito con cui le si legge e le si pronuncia.
Futuri Inattesi è un ricettacolo di vita reale ambientato in un milione di mondi che non esistono ma stazionano al di là della superficie dello specchio che riflette il nostro.
Nicola che, ormai, dopo aver più volte letto i suoi racconti, è diventato come un amico ci racconta anche di un futuro che non è affatto lontano se l’umanità continua su questa china.
Quando di noi rimarrà solo un vecchio apparecchio radio che racconta le nostre storie, forse scopriremo che l’umanità avrà bisogno, di nuovo, di essere salvata dalle parole di chi non avrà paura di osare anche solo un pochino.
Futuri Inattesi non è una sorpresa che mi è piombata in mano, non è un gioco di stile da parte del suo autore e del suo curatore ma è una un insieme di presenti di cui non possiamo rinnegare l’attualità e la necessità.
Come sempre non posso fare altro che ringraziare l’associazione RiLL e tutti gli autori per queste fantastiche opere che mi onorate di poter leggere.
Volete sapere dove trovare Futuri Inattesi? Schiacciate la parola LINK
“… tutte le storie del mondo infondo sono contenute nelle ventisei lettere dell’alfabeto. Le lettere sono sempre le stesse, sono solo le combinazioni che cambiano. E con le stesse lettere si formano parole, con le parole frasi, con le frasi capitoli e con i capitoli storie.”
Il 2023 mi ha regalato molte ose, come spesso mi capita negli anni dispari, tra queste mi trovo tra le mani, cosa ceh accade anche negli anni pari, una delle favolose antologie di racconti del Trofeo RiLL. Il racconto vincitore del Trofeo è “Le case che abbiamo perso” di Francesco Corigliano e come da consuetudine il racconto battezza l’antologia.
Le case che abbiamo perso è un racconto che va letto ben più di una volta.
In esso ci sono più significati di quelli ceh si possono contare sulle dita di una mano.
Quanti sono i pezzi di se stessi che si possono perdere prima di considerarsi davvero perduti?
Quanto può sopportare l’essere umano prima di lasciare andare alla deriva tutto quello che ritiene importante e lo ancora a questo mondo?
Voi sapete rispondere? Io no.
Ho perso molte case, ho lasciato andare delle parti di me che erano importanti e non torneranno più.
Posso ancora considerarmi una persona intera? Costruire una mia interezza che porta in sé anche i buchi delle mancanze e gli oboli pagati perché esse non mi distruggessero?
Rispondere non è semplice.
Afferrare quello che questo racconto trasmette è complicato, al termine della lettura ero come confusa.
“Questo lo ricordo. Il dolore è una buona colla per la memoria, no?”
A proposito di perdersi…
Le case che abbiamo perso nasconde molti altri racconti
Un altro racconto che mi ha colpita è La Pinza Storica di Talita Isla e vincitore del Premio Visiones 2023.
Se la Terra smettesse di muoversi e l’umanità fosse al capolinea, come si potrebbe scegliere di non morire?
Il nostro corpo dovrebbe essere conservato e la non coscienza preservata e in mondo, il nostro, in cui l’IA sta facendo passi da gigante non sembra totalmente lontano lo spazio di cui l’autrice ci parla in questo racconto.
Quando ormai si è solo una coscienza racchiusa in una stringa di codice, si potrà scegliere se avere una coscienza che può ancora essere determinante per altre vite che sono alla deriva o saremo ancora vittime dell’egoismo che non ci permetterà di accogliere l’Altro?
Ogni anno mi è difficile parlare di tutti i racconti che racchiudono l’antologia, posso solo dire che ognuno merita di essere letto e che ognuno ha un lettore che lo aspetta.
Nella sezione dedicata al concorso SFIDA non potete perdere Dove i morti viaggiano veloci che rielabora l’antica leggenda di un incontro che è prefissato e nessuno di noi può sperare di sfuggire, nemmeno tentando di cambiare strada.
Tra voi, miei lettori, so che si celano anime romantiche e allora il racconto di Laura Silvestri fa per voi: Assuntina e la Luna non vi deve sfuggire.
Purtroppo per me, lo spazio è troppo poco, mi servirebbe un server per parlarvi di ogni singola antologia ma vi lascio in fondo all’articolo l’indirizzo del sito dei RiLL dove potrete acquistare le antologie nate dal Trofeo RiLL e, perché no, scoprire come potere partecipare voi stessi al Trofeo con un vostro racconto.
Ringrazio l’associazione RiLL per avermi permesso anche quest’anno di potere addentrarmi nella meraviglia del Trofeo RiLL e dintorni.
Al prossimo anno!
Volete raggiungere l’associazione RiLL? Ecco a voi l’indirizzo che state cercando https://www.rill.it/
Ecco perchè non dobbiamo lasciare corpi negli edifici. Perchè quelli che conoscono la nostra morte, divengono dimentichi della propria; e della morte si fanno alfieri, quei cimiteri ambulanti, a ricordarci che la steppa nonè, e mai sarà, terra nostra.”
Buongiorno viaggiatori, oggi vi parlo de “ il mio omicidio “, un thriller originale, inaspettato e decisamente sorprendente che ho letto in anteprima grazie alla casa editrice.
Il mio omicidio non è solo un thriller ma anche un distopico e un romanzo che tratta argomenti importanti come la maternità e la depressione post partum e tanto altro… ma andiamo per gradi.
Lou, la nostra protagonista è una donna sposata e madre di una bimba di nome Nova.
La sua vita viene interrotta da un serial killer che le toglie la vita, ma l’autrice è pronta a stupire con il primo colpo di scena.
Perché Il mio omicidio è così particolare e originale?
Perché grazie alla commissione di replicazione, le viene data la possibilità di vivere ancora grazie alla clonazione.
Sì avete capito bene! Lou, dalle prime pagine, si ritrova a dover rivivere quello che definisce il mio omicidio, attraverso le persone che la circondano.
Ma Lou non è l’unica vittima del serial killer ad aver ricevuto una nuova vita dalla commissione.
Lei e le altre quattro “sopravvissute” si incontravano il martedì pomeriggio per condividere il ritorno alle proprie vite.
Ma le donne del gruppo non avevano reagito come mi ero aspettata. Al contrario, avevano replicato con una raffica di streotipi: Fai una pausa. Te la meriti. Hai tutta la vita per lavorare. […] Se avessi un bebè, lo amerei troppo per separarmene. E avevo sentito la vergogna invadermi fino alla pianta dei piedi…
L’autrice de Il mio omicidio ci porta ad affezionarci a Lou mentre cerca la verità sul suo omicidio. Un percorso pieno di domande, dove l’apparenza nasconde l’inaspettato e ci regala un colpo di scena dietro l’altro tra una riflessione e l’altra.
Ci racconta il suo rapporto con la maternità, ma ci permette di avere anche un punto di vista diverso come quello della madre del serial killer che affronta il dolore della condanna del figlio.
Io non sono riuscita a staccarmi dalle pagine, merito di una scrittura magnetica, un ritmo scorrevole e colpi di scena che tengono con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.
Se penso a Lou, immagino come per lei non sia stato facile gestire tutto. Proprio quando inizia a indagare si scontra con qualcosa di sconvolgente.
Nel 2021 ho letto e recensito la monografia RiLL di Valentino Poppi e me ne ero innamorata, il caso o la fortuna ha voluto che nel 2023 io e il pluripremiato vincitore del Trofeo RiLL ci rincontrassimo per il suo nuovo libro: Fuga da Amaltea, edito per Tabula Fati.
Valentino è un ingegnere elettronico e vive a Bologna, la sua specialità è la fantascienza e la sua penna è affilata quanto un rasoio.
La sua scrittura è precisa, lo vedrete anche voi quando leggerete il suo libro, ogni immagine che trasferisce sul foglio diventa realtà.
Insomma, non potete sfuggirgli!
Fuga da Amaltea è un’avventura rocambolesca dove i “buoni” sono delle figure che tendono più al grigio che al bianco nella scala ideologica dell’umanità.
Se avete amato i libri di Philip K. Dick, l’autore del libro che ha inspirato Blade Runner e la serie L’uomo nell’alto castello, sappiate che con Valentino Poppi siete in buone mani.
Torniamo a Fuga da Amaltea.
In un futuro, davvero non molto lontano, in cui il pianeta Terra è diventato depositario di una conoscenza tecnologica che ora possiamo sfiorare con l’estremità delle nostre dita, un uomo che risponde al nome di Alex Saw viene imprigionato in una struttura detentiva per aver assassinato, non in maniera del tutto volontaria, il sindaco di una città.
Fino a qui, voi amanti dei polizieschi in genere direste: nulla di nuovo sotto al sole e vi vedo che state annuendo con le vostre belle testoline.
Anche io avevo sbagliato strada.
Dovete uscire dalla modalità (quanto è bello non usare il corrispettivo in inglese) in cui dovete risolvere il caso Saw, non è questo che dovete fare.
Alex Saw sa badare benissimo a se stesso, non temete.
La situazione è molto più ingarbugliata.
Sto pensando, mentre scrivo, a come avvolgervi e intrappolarvi tra i cunicoli di questa storia senza dirvi troppo perché qualche piccolo indizio l’ho già disseminato nelle righe precedenti.
Vediamo…
Gli “eroi” di questa storia devono, come dice il titolo, attuare la loro Fuga da Amaltea ma dove si trova questo luogo?
Amaltea è uno dei satelliti naturali del pianeta Giove e potrebbe (forse in futuro) ospitare un luogo in cui i detenuti vengono inviati a fare quello che oggi chiamiamo “lavori socialmente utili”.
Questo sito però, informazione data dai computer, risulta dismesso per un incidente ma vi vengono lo stesso inviati carichi di prigionieri.
Qui inizia il mistero e la fuga.
Saw e i suoi compagni hanno a disposizione un’intelligenza artificiale piuttosto recalcitrante, dei dispositivi olografici e delle tute molecolari, una nave con un computer di bordo dalle direttive molto precise e, come sempre accade, l’attrezzo più utile di tutti in questo frangente: il cervello.
Non c’è una regola che non possa essere aggirata in una qualche maniera ma avete davvero poco tempo per pensarci e non sarà affatto facile elaborare piani sotto pressione costante, questo non è un film con Tom Cruise e non ha la psicologia romantica di Blade Runner.
Avete un solo compito: la Fuga da Amaltea!
Veloci.
Rapidi.
Ah dimenticavo: Non dovete farvi uccidere.
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Dendera è un nome che evoca antiche rovine, antiche dee e templi ricchi di reperti di rara bellezza. Ma non siamo in Egitto.
Siamo in un luogo dove la neve diventa piuma di corvo, dove il silenzio inghiotte ogni cosa e porta via gli inuditi ultimi lamenti di chi viene lasciato sulla montagna.
Yūya Satō ci trasporta in un luogo indefinito del suo Giappone, dove pennella un’atmosfera di ovattata realtà tra le nevi ma non ha paura di sporcare l’immobilità con il rosso della furiosa paura.
Una volta, tanto tempo fa, esisteva tra le popolazioni più antiche un’usanza.
Questa tradizione, ai nostri occhi potrebbe sembrare piuttosto barbara e impensabile da applicare al giorno d’oggi. Ma non esisteva una società come la nostra in quei lontani momenti di storia e per legge chi era troppo vecchio per contribuire alla società veniva…allontanato.
Il Villaggio imponeva uno stile di vita immacolato. Gli anziani, dopo aver compiuto settant’anni, dovevano compiere l’ascensione per raggiungere il paradiso.
Coloro che ascendevano indossavano uno Yukata bianco, venivano accompagnati sulla montagna dai loro familiari e poi lasciati lì.
La neve, il freddo, i corvi facevano compagnia a coloro che si mettevano in cammino per il paradiso.
Un passo alla volta.
Fino a che i piedi non erano troppo gelati. Fino a quando il corpo non si sentiva troppo intorpidito dal freddo. Fino al momento in cui ci si addormentava sognando la luce e tutti coloro che aspettavo dall’altra parte del cancello per vivere, finalmente senza più affanni, insieme per l’eternità.
Come vi sembra? È una fine poetica se solo vi sforzate di vederla sotto una determinata luce.
Dendera è un mondo tangibile e riconoscibile ma vi inonderà di sussurri e non potrete scappare.
Kayu ha accettato il suo destino, è pronta ad abbracciare la morte come una vecchia amica.
Ma…mentre la neve le sta preparando il suo ultimo giaciglio, i corvi le cantano il loro ultimo commiato e il gelo le accarezza i capelli come fosse ancora una bambina, accade qualcosa.
Quando Kayu si risveglia non è più nel bosco ma in un piccolo insediamento: Dendera.
Solo donne, tutte sopravvissute alla montagna, una piccola comunità di anziane che ha scelto di continuare a vivere a dispetto di coloro che per loro avevano deciso Morte.
Kayu voleva morire, non vivere. Questo era contravvenire alle leggi della vita e significava anche che non avrebbe più potuto ascendere al paradiso perché aveva osato rubare un esistenza che non le era più dovuta.
La comunità di Dendera è povera, le donne si adoperano senza sosta conducendo una vita funestata da una caccia scarsa, la mancanza di utensili e di raccolto ma vivono ancora.
Alcune vivono per dimenticare di essere state abbandonate e creare un luogo da poter chiamare casa; altre vivono per distruggere coloro che le volevano sole in vita e sole nella morte.
Kayu scopre presto che, nonostante quanto le altre donne si ostinino a professare una vita serena, gli equilibri all’interno di Dendera sono fragili.
Le due fazioni sono coinvolte in una lotta silenziosa.
A Dendera, ricordate, le donne sono tutte anziane e alcune di loro si apprestano ai 100 anni.
Sono poche e la possibilità di attaccare una comunità giovane, senza l’aiuto di armi, è piuttosto un suicidio che una missione.
Dendera è un microcosmo che vive nella neve immacolata.
La carestia di cibo non riguarda solo loro ma anche l’orsa che vive sulla montagna.
L’orsa e Dendera ingaggiano una battaglia che causerà una spirale di sangue, dolore e morte.
La fame, la paura, la guerra e la pestilenza sono pessime consigliere e quando la lotta inizia non c’è modo di fermarla se non pagando un tributo di morte.
Ma l’orsa non è l’unico araldo di distruzione che funesta Dendera e questa minaccia non ha un nome, non ha una forma ma uccide.
Yūya Satō è un maestro del “realismo magico”.
Dendera si compone di pagine ammantate di silenzio e urla, dove il silenzio è palpabile come la paura.
L’inquietudine ti si posa addosso come una magia, come una coperta calda a cui non riesci ad opporre resistenza e, quando il sonno sopraggiunge, non si può far altro che arrendersi.
Dendera è un romanzo di sensazioni, concetti e riflessioni vere ed è questo che lo rende speciale.
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“difficilmente mi farò ammazzare senza opporre resistenza…“. Si rese conto di come quella fosse la comune convinzione di tutte le donne che erano sfuggite all’ascesa rituale alla montagna per poi vivere a Dendera.
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