Le puoi chiamare come vuoi, racconti, storie, fiabe o Fairy Tale, ad ogni modo sono quelle che, almeno una volta nella tua infanzia ti hanno fatto scrutare dentro l’armadio o nascondere sotto le lenzuola. A volte si scordano, altre volte si portano eternamente nel cuore. Mi domando se anche tu sei un viaggiatore fra i mondi, qualunque sia la tua età.
In Sardegna anticamente venivano raccontate attorno al fuoco dalla donna più anziana, si chiamavano contos de foghile. Nella mia isola, fra Janas, Surbiles, Cogas e creature liminali, di sicuro la notte c’erano battaglie da intraprendere e oscurità profonde da varcare.
Spesso le Fairy Tale rimangono incastrate fra le tele dei ricordi, altre volte sono vecchie amiche d’infanzia che appaiono, per lasciarci con lo sguardo sognante qualche istante di troppo. Avete presente quando qualcuno vi fa schioccare le dita davanti agli occhi perché scoperti a fissare il vuoto a lungo? Chissà quale mondo si cela dietro quel vuoto… Altre volte le fiabe non ci abbandonano mai e la sensazione è sempre quella di aver vissuto una grande avventura, di essere stati protagonisti di momenti unici e indimenticabili con la pelle e le ossa, oltre le pagine, oltre le parole.
Il biscotto di Alice o il tè col Cappellaio matto per me hanno costituito momenti strettamente connessi alla scoperta di possibilità creative oltre quelle terrene.
Fare amicizia con la propria testa, soprattutto quando si è piccoli porta a varcare cancelli il cui accesso sarebbe normalmente vietato, a visitare giardini mortali e danzare con creature dai contorni sfumati. E poi ancora le pagine sfogliate migliaia di volte, preoccupati di aver perso un passaggio o la chiave per l’altro regno. Quanto tempo ho trascorso nascosta nello sgabuzzino in compagnia di Bastiano Baldassarre Bucci. Arriva poi il grande maestro, il compagno di una fase più matura della vita, quella che richiede emozioni forti, che vuole brividi e notti insonni per arrivare all’ultima pagina: Stephen King.
Sono convinto che a volte sappiamo dove siamo diretti,
anche se non ce ne rendiamo conto.
Per me è impossibile non trovare uno stretto legame fra Charlie, il protagonista e la vita dello scrittore che, fin da piccolo si trovò a dover gestire le sofferenze dell’abbandono familiare e le difficoltà economiche.
Stephen King con Fairy Tale crea la favola dark, quella che molti di noi nostalgici aspettavano da tempo per creare il perfetto connubio fra brivido e desiderio di infanzia.
Un capanno, una botola verso un altro mondo ed un giovane eroe non apprezzato, sono elementi già visti in tanti racconti, l’abilità di Stephen King sta proprio nel saper tessere una tela unica su orditi già utilizzati. Fairy Tale è un lungo racconto che si concede meravigliosamente di pescare dentro le grandi fiabe, di ammantarle di oscurità e spesso di dolore, di trasformarle a tal punto da renderle bisognose di un nuovo eroe.
Quasi un gioco, o meglio ancora una danza macabra con le creature che ci hanno cresciuti.
Un ricordo prezioso,
di quelli che tiri fuori quando nessuno spende una parola gentile nei tuoi confronti,
e la vita sembra ispida come una fetta di pane raffermo.
E così con Fairy Tale mi sono ritrovata a ripercorre quel sentiero di emozioni che pensavo di aver ormai dimenticato. Ho scoperto invece di avere ancora delle briciole da lasciare nel terreno e che il mio stomaco languiva ancora per un pezzo di casa della strega.
Un tripudio di sensazioni quasi adolescenziali, quando si deve essere gli eroi della storia a tutti i costi perché questo mondo continua ad ignorarci, miste però alla disillusione .In Fairy Tale tutto può crollare da un momento all’altro, risucchiando per sempre tutto ciò che ci ha tenuti vivi.
Parlo al plurale perché so che qualcun altro sa perfettamente di cosa parlo e ha appena finito di combattere con un gigante o di cavalcare un drag
Banale? Forse, se restate in superficie, ma se avete voglia di lasciarvi trascinare dalla corrente oscura delle fiabe ancora una volta, allora leggete Fairy Tale.
Fairy Tale è stato candidato al British Book Award per la narrativa nel 2023.
Redemptor è il seguito dell’amato Raybearer ed è il compimento di tutte le trame intessute nel primo libro.
Tarisai non è più solo membro del consiglio degli unti di Dayo.
Tarisai, adesso, è una imperatrice.
Il suo titolo, assegnato a lei che è una ragazza, è qualcosa che la popolazione non ha più visto da molti anni; da quando il potere ha separato fratelli e sorelle nelle questioni di potere.
Perché quando si tratta di potere non sono mai le donne ad avere la meglio, tutto è affidato agli uomini.
Tarisai viene in parte amata ma anche odiata e temuta.
I nobili della corte la deridono, la trattano come fosse indegna e non sono gli unici.
Tarisai è la sovrana redentrice, da qui il titolo Redemptor, ha promesso che sistemerà gli anni di ingiustizie che sono stati nascosti da suoi antenati, che darà pace alle anime che sono state sacrificate in nome di un trattato iniquo atto a mantenere una pace forzosa e fragile come il cristallo.
Gli Ojiji le impongono di ricordare che si è offerta come sacrificio per tutti i redendoti che sono stati mandati a morire.
“Hai aiutato loro ma non hai aiutato noi. È troppo tardi…troppo tardi. Fai di più. Paga per le nostre vite.”
Per farlo la giovane sovrana ha due anni.
Due anni in cui deve ungere il suo consiglio che deve essere formato dai sovrani degli stati del regno.
Tarisai dovrà convincerli ad amarla, a rispettarla.
Ma non è facile come potrebbe sembrare. Ogni regnante ha i suoi interessi e condizioni per accettare l’unzione.
Dietro ad ogni regnante c’è un popolo che vive con bisogni che i Tarisai in realtà non conosce, ogni stato subisce ingiustizie di cui la ragazza non era a conoscenza.
L’innocenza di pensare che tutto sia come il piccolo mondo dorato in cui si vive verrà soppiantata dalla conoscenza che tutto è molto più complicato.
Molti sono i torti che vanno raddrizzati.
“Hai aiutato loro ma non hai aiutato noi. È troppo tardi…troppo tardi. Fai di più. Paga per le nostre vite.”
La sua famiglia la supporta, persino Dayo la sostiene presentandosi come primo tra i nuovi unti.
La redentrice è assillata dal pensiero del fallimento, dai sensi di colpa per essere Una contro un milione di ingiustizie mai cancellate.
Il cambiamento comporta sacrifici, spesso fa credere di essere i soli a comprendere cosa va fatto per riportare le cose in una condizione di equità per tutti.
Ma c’è una cosa che Tarisai non ha ancora compreso a pieno: lei non è sola.
Scendere negli inferi farà comprendere alla giovane Obabirin chi è davvero, cosa è davvero capace di fare e soprattutto…
Dovete leggere Redemptor per saperlo.
Dove trovare Redemptor? Cliccate sulla parola LINK
“Non chiederti quante persone salverai”, dissi. “Chiediti in quale modole salverai. In quale modo vale la pena di sopravvivere?” Feci.
Nella vita dei burattini è l’ultimo romanzo di TJ Klune edito per Oscar Vault e, questa volta, al contrario dei primi due che ho amato, non sono sicura se queste pagine mi siano piaciute.
La casa sul mare celeste è una perla rara, Sotto la porta dei sussurri è davvero bello, Nella vita dei burattini…
Zoppica.
La qualità migliore della scrittura di TJ Klune è quella di trattare argomenti di attualità dandogli quello che meritano: la naturale normalità.
Storie di crescita, di affermazione e di amore non diverse ma ambientate in contesti fantastici; forse per alcuni sono aliene ma non sono diverse da quelle che tutti nella vita viviamo, a dispetto del mondo che a volte si finge incredulo senza nessuna ragione apparente.
Ecco, questo elemento in Nella vita dei burattini un po’ è andata persa.
Dalle prime pagine, in cui il lettore si trova ad aver a che fare con un ritmo di narrazione piuttosto lento, questo volume ha proceduto a carponi e poi ha iniziato a zoppicare.
Perché?
La storia alle prime battute ha qualcosa che rimanda alla favola.
Questo è un po’ il contrario di quello che accade nelle altre due opere di questo autore: si inizia con una favola tenera per poi addentrarsi nella parte cruda della storia.
O almeno, immagino fosse quella l’intenzione dell’autore ma questa è una mia speculazione. Posso solo dire che nei ringraziamenti Klune fa accenno al fatto che il libro pubblicato è una sorta di addolcimento di quello che in realtà Klune voleva scrivere:
“Avrei voluto che questa fosse la storia di cui avevamo parlato, ma a quanto pare il mondo non è ancora pronto.”
Mio Carissimo TJ, se questa è la rielaborazione di qualcosa che non hai potuto scrivere, ti prego di avere fiducia nel mondo e scrivila perché questa che ho davanti è carina (che in Italia sta per passabile) ma non ti rende giustizia.
Ad un certo punto, una favola che racchiude in sé le storie più famose della letteratura: da Pinocchio a Il mago di Oz, da Moby Dick a Ma gliAndroidi sognano pecore elettriche? (titolo originale di Blade Runner), ha iniziato a prendere il carattere di tutta quella carta stampata che PER FORZA deve essere zuccherosa; PER FORZA deve narrare la questione sociale più “di moda” del momento.
E quale carattere può mai avere una storia così? Lo stesso di un filetto di platessa bollito.
La questione sociale tanto cara all’autore è importante.
La parità di diritti e la libertà di poter essere tutto quello che si vuole e per questo non essere discriminati è fondamentale.
La necessità di mostrare che esiste una scala di grigi e questa non toglie niente alla normalità imperfetta dell’universo. E se questo non scalfisce la dignità il mondo figuriamoci quelle di coloro che si affermano oltraggiate.
Questa è una necessità vitale per l’esistenza di tutti.
Ma questo libro non è all’altezza né dello scopo né di chi lo ha scritto.
Le Grandi Storie a cui prima accennavo, e da cui l’autore ha attinto per le sue fantastiche citazioni, hanno lati fortemente tragici. Sono ricche di hybris e miseria umana, hanno un forte impatto sull’immaginazione del lettore e lo spingono in direzioni in cui il lettore spesso non vuole andare.
Costringono a farsi domande di cui non si conosceva l’esistenza e lo fanno in maniera brutale, in alcuni casi al limite del vessatorio.
Nella vita dei burattini il Pathos lo ha perso il giorno del risveglio di Hap sul tavolo di Victor.
Il fulcro della narrazione dovrebbe essere chiaro e lo si intravede, è lì a portata di mano dietro alle cortine di panno leggero del dietro le quinte ma, ad un certo punto, capire non è più fondamentale perché la storia d’amore è molto più importante.
E ciao ciao alla forza della storia.
Salutiamola tutti dall’alto di uno dei monologhi più famosi della storia del cinema:
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.» (Blade Runner, Roy Batty)
Mi è piaciuta, come al solito, la penna dell’autore.
Nella vita dei burattini è una storia che fa amare i suoi personaggi minori e il mondo in cui è ambientata ha un mondo di potenzialità che sono lì e pronte da scoprire, ma mi servirebbero un po’ di sale e di pepe in più.
E con pepe non intendo aggiungere dettagli rosa, ne abbiamo già più che in abbondanza.
Apprezzo, e lo farò sempre, la poesia di linguaggio dell’autore.
Dove altri per incidere sul lettore userebbero avverbi inutili e disturbanti, Klune e le due abili traduttrici adoperano un linguaggio ricco e pulito.
Mi sono chiesta se il mio punto di vista sia influenzato dalla mia età. Forse sono troppo adulta per il target a cui questa opera può essere dedicata.
Ma non sono estranea agli argomenti trattati, toccano tutti a prescindere dall’età, quindi non posso che pensare che non sia questa la ragione per cui non amo questo libro.
È carino, dolce, quasi melassoso e non è quello che mi aspettavo da questa storia.
Volete leggere la trama de Nella vita dei burattini? Cliccate la parola Link
La bellezza di alcuni libri sta nella capacità di condurre il lettore in quel confine liminale, in cui gli universi razionalmente separati, della fantasia e della realtà, si fondono perfettamente: Weyward.
Cavalchiamo i tempi tra le pagine, imprigionate in catene familiari che ci conducono dritti sotto la pelle delle donne, dentro il cuore dei loro misteri, nelle piaghe dei loro dolori.
Tre donne danzano tra cinque secoli, si sfiorano nei sogni, si consegnano eredità partorendosi.Sono le donne Weyward.
Potrebbe essere difficile intendere il tempo come una linea proiettata verso il futuro, poiché queste donne hanno la capacità di trasformare la linea in una ruota, danzando in cerchio dentro il tempo.
Era piuttosto facile scomparire tra le pieghe della storia.
(da Il giardino segreto)
Le donne Weyward si rifiutano di stare fra le pieghe composte di una società che, in ogni tempo cerca di incasellarle nel ruolo che si addice al loro sesso.
Sono dotate di una sensibilità particolare e di curiosità selvaggia, quella spinta che porta a scavare pur sapendo che, ciò che è nascosto, non sempre andrà a loro beneficio.
Altha, Violet e Kate, ma non solo. Sono il simbolo di tutte le donne che hanno lottato per seguire il proprio istinto.
Strega.
E’ una parola che sguscia dalla bocca di un serpente,
gocciola dalla lingua densa e nera come catrame.
Non avevamo mai pensato a noi in questi termini, mia madre e io.
(…)Dopotutto mi aveva chiamato Altha.
Non Alice, che significa “nobildonna”,
né Agnes, “agnello di Dio”.
Altha. “Guaritrice”.
Strega, come donna, sono parole brutalmente strumentalizzate, nelle menti più perverse richiamano qualcosa di sporco, sordido, oscuro e proibito. Nel cuore delle donne Weyward invece evocano unione, sostegno, conoscenza, guarigione.
Altha, Violet e Kate, ma non solo. C’è anche un piccolo cottage, appartenuto alle donne da generazioni che trasuda secoli di lotte e studi, di solitudine e lacrime.
Un piccolo luogo fisico ma senza tempo, un’ancora di salvataggio che accoglie le donne di questa famiglia che hanno bisogno di riprendere in mano la propria vita.
Le violenze scorrono fra i secoli, sono radicate nelle strutture sociali ed è difficile riuscire a divincolarsi, se non portandosi dietro un bagaglio pesante di accuse.
il continuo tentativo di plagiare le donne Weyward serpeggia attraverso le catene del tempo, si stringe attorno alla loro gola pur di piegarle e renderle conformi alle leggi degli uomini.
Strega, prostituta, madre degenere, continui e costanti sono i tentativi per tarpare loro le ali, per circoscrivere le loro capacità.
Sono state costrette a cambiare per amore o per violenza, e spesso le due cose hanno combaciato perfettamente. Altha,Violet e Kate. Un corvo, una damigella, un’ape.
Tutto è creato dalla magia,
le foglie e gli alberi, gli uccelli e i fiori, i tassi e le volpi, gli scoiattoli e le persone …
Quindi la magia deve essere intorno a noi .
Non è soltanto un romanzo di rivendicazione femminile, tutto è pervaso da una delicatezza vibrante. E se ci fermiamo ai piedi di un albero, in riva al fiume, nei luoghi incontaminati lo possiamo sentire anche noi.
E’ leggero come il battito d’ali di un insetto, profuma di terra umida e muschio: è il respiro della natura, è la magia che tutto pervade e che ci hanno insegnato a temere.
Possiamo idealmente allungare la mano e toccare quelle delle protagoniste di questo racconto. Non sono diverse da molte di noi, hanno soltanto bisogno di essere ricordate, perché riportando alla luce l’archetipo della donna/guaritrice/dea, possiamo trovare nuova forza e nuova spinta per risvegliare la magia anche in questo secolo.
Ringrazio la casa editrice Fazi per avermi dato la possibilità di leggere in anteprima questo prezioso libro.
Questa è una storia antica, viene dal vento gelido degli Urali ma nel suo risospingersi tra le montagne dell’est Europa ha più volte preso sfumature diverse. Racconta di un tempo antico, di un misticismo che è andato perduto. Le pagine raccontano de L’immortale e l’autrice che ha deciso di farcela conoscere è Catherynne M. Valente, sotto l’egida, per l’Italia, di Fazi editore.
Questa è una fiaba antica come antichi sono gli incantesimi che raccontano storie e, come ogni incantesimo che si voglia funzioni, la sua formula comporta una componente aspra e dura da digerire.
L’autrice de L’immortale ha fatto tesoro delle storie che il marito e la sua famiglia le hanno raccontato e ne ha tratto la sua versione della storia di Koščej l’Immortale e Marija Morevna.
L’Immortale è una storia diversa anche se è sempre la stessa.
Una storia che si ripete nonostante tutto, a dispetto della volontà dei suoi attori.
In fondo, chi mai è riuscito a sfuggire al destino?
Né la vita né la morte ci possono riuscire, voi?
“Le cause della grande guerra furono diverse. In primo luogo, lo studente appassionato deve essere consapevole che il mondo conosceva solo sette cose quando era giovane: l’acqua, la vita e la morte, il sale, la notte, gli uccelli e la durata di un’ora. Ognuna di queste cose aveva zar e zarine, e i principali tra questi erano lo zar della Morte e lo zar della Vita.”
Questa narrazione è un incantesimo, ritmato da un antico carillon russo e dai fucili di due conflitti mondiali e di una rivoluzione civile, dalla deposizione di un regime e dalla perdita di un mondo fatato che è diventato talmente patriota da essersi sfilacciato e poi soffiato via dal vento.
Ma nonostante questo, anche se non si può parlare di quello che è stato e di come era prima, la storia è destinata a ripetersi.
L’immortale è la storia di uno scrigno senza coperchio, né chiave ma al suo interno cela una fiaba e una verità intera.
L’immortale è una storia d’amore ma è anche una storia di paura e terrore.
Dentro ad ogni scrigno c’è una realtà e dentro ad ogni realtà ce n’è un’altra.
È così che funziona la vita ed è così che funziona la morte dalla stella argentata.
Tutto inizia a San Pietroburgo, quando ancora la città non si chiamava così e nel mentre che la città cambiò nome alcune volte.
“Una tessera annonaria dice: – la vita che ti abbiamo assegnato è tanta che possiamo tenere una certa quantità di morte lontana dalla tua porta. Ma non di più -. Dice: – A Leningrado c’è solo tanta vita da distribuire-. Dice: – L’unica cosa a non essere razionata a Leningrado e la morte –”
Una ragazza di nome Marija Morevna guardava fuori dalla finestra e tra le pieghe di un mondo in mutamento e, un giorno, il mondo in cui ella guardava le rispose e la trascinò via.
L’immortale è una fiaba di segreti e rivelarli potrebbe essere la rovina del mondo.
“Custodiscimi e obbediscimi, le disse il segreto, perché io sono tuo marito e posso distruggerti.”
La storia originale è raccontata nei Racconti popolari russi di Alexander Afanassiev e diversi autori ne hanno percepito la magia tramandandola, ognuno con un qualcosa di diverso ma uguale.
In fondo, chi può affermare con certezza se è nato prima l’uovo o l’uccello?
Se siete interessati vi lascio un paio di link da seguire:
Ammetto che quando ho scoperto questo titolo ero curiosa ma non ero preparata a questo gioiello tagliente come cristallo e magico come un canto suonato con la balalaika.
L’immortale porta in occidente una storia che è vera in ogni nazione e che rischiava di non essere conosciuta ma non solo DEVE esserlo ma le auguro di venire cantata per ancora molti secoli a venire.
Dove trovare la trama e la vostra copia de L’immortale? Clicca qui.
“Accadono perché la Vita consuma tutto e la Morte non dorme mai, e tra loro si muove il mondo. L’inverno diventa primavera. E ogni tanto recitano una strana, triste pantomima, solo per vedere se qualcuno ha già vinto. Se il mondo si muove ancora come una volta”
Trovare le parole giuste, quando un libro riesce a trascinare nell’intima e sacra profondità umana non è compito facile: Il libro di Eva.
Ci sono viaggi e viaggi, spesso le brusche virate e i cambiamenti di rotta a cui può condurre una storia, mi lasciano priva dell’equilibrio che consente di tenere i piedi ben ancorati a terra.
Le vertigini della consapevolezza sono pericolose e necessarie, ma spesso mi spingono a parlare di emozioni e sensazioni, più che di storie.
E sono ancora stordita da questo libro che ho finito di leggere diverse settimane fa, ma alle volte il seme per germogliare ha bisogno del momento e delle condizioni giuste.
Capita allora che svariate centinaia di pagine costituiscano il fulcro centrale di pensieri insonni e di dialoghi intimi. Frasi condivise soltanto con chi può veramente comprendere l’essenza. Con le poche persone che hanno sentito il peso della privazione della libertà sulle proprie spalle.
Suor Beatrice conosce bene il significato di queste ultime parole.
Le porte del convento per lei, come per molte altre, si sono aperte per necessità più che per vocazione. Le regole e i sacrifici per il culto del Padre però non sfiniscono la sua mente che oltrepassa le mura.
La libertà ha per molte donne il profumo della carta e dell’inchiostro, figlie di Eva nel bene e nel male, fameliche della mela della conoscenza.
Beatrice ha molta fame e i testi accettati dalla legge del Padre non bastano, vuole sporcarsi le mani scavando anche in quei luoghi proibiti.
I libri possiedono una voce, non è vero Beatrice?
Ci blandiscono, ci seducono, i libri.
Penso al seme che germoglia dentro questo libro, un seme che non avrebbe possibilità di crescere se non ci fosse stato il prezioso concime della curiosità oltre ogni paura.
Se la mente di Beatrice non si fosse spinta ad infrangere certe barriere, per raggiungere il pensiero dei grandi filosofi del passato, se non avesse osato sviluppare radici solide di conoscenza, intrecciando dialoghi e scambi, allora il seme avrebbe trovato un terreno arido.
Vi starete domandando se Il libro di Eva è una storia che parla di libri. No, parla di libertà, di lotta, di sorellanza.
Siamo nel XVI secolo, in un convento e siamo in mille epoche diverse, nel cuore di mille donne oppresse dal patriarcato.
L’arrivo del libro misterioso e segreto è la condizione fantastica, ma non troppo, che porta alla luce culti antichi e mai dimenticati.
Un libro senza parole e senza storia, fatto di mille parole e antico quanto Eva.
Il libro di Eva non racchiude formule magiche, si espande dentro il cuore di chi già possiede la magia antica e il coraggio per riscrivere la storia.
Torture, roghi di libri, privazioni e dominazione psicologica sono il vessillo dei seguaci del Padre. Essi premono la mano per soffocare ogni forma di pensiero proveniente da un corpo femminile.
Silenzio, sottomissione e preghiera.
Quando il Figlio risorge, le donne, le Tre Marie, tornano dal sepolcro e raccontano agli uomini, ai discepoli del figlio, quel che è successo, ma loro non ci credono.
Non ci credono perché la parola è quella di una figlia di Eva.
La religione assume la forma di dittatura che mira a dominare ed estremizzare, ed io non posso fare a meno di pensare in quante epoche storiche si possono sovrapporre gli eventi del Libro di Eva, fino ad arrivare ai giorni nostri. Eppure …
La ruota gira. Lei risorgerà.
L’alternativa all’oppressione è nel passato volutamente celato, è nella Verde Madre.
Colei che ama i suoi figli sotto ogni forma e che non è stata mai dimenticata.
Forse lo è stato il suo nome, ma il suo seme è stato tramandato con lievi sussurri fra le donne nel lavatoio, nel profumo delle erbe curative messe ad essiccare, nei racconti delle madri alle figlie prima di dormire, nell’amore donato senza niente in cambio.
Lei è sparita ed è sempre stata davanti ai nostri occhi, lei è il pensiero del cambiamento e della lotta ai soprusi , lei è la grande magia, è la Verde Madre, è la Dea Madre, è la donna, è Eva, è tutte noi.
Ho versato molte lacrime, mi sono a volte sentita sopraffatta dal dolore e ho avuto paura di non trovare la via d’uscita, ma un modo c’è sempre e supera ogni limite imposto.
Non smettere mai di credere, di conoscere, di essere.
La sua voce è un fruscio, un rombo, un sussurro; è la voce del libro, la voce degli antichi luoghi della Madre, la voce di Naiadi, driadi, sibille, veggenti, sfingi, sacerdotesse, profetesse, è la voce di Madre Chiara, di tutte le nostre madri, della Madre.
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