Le puoi chiamare come vuoi, racconti, storie, fiabe o Fairy Tale, ad ogni modo sono quelle che, almeno una volta nella tua infanzia ti hanno fatto scrutare dentro l’armadio o nascondere sotto le lenzuola. A volte si scordano, altre volte si portano eternamente nel cuore. Mi domando se anche tu sei un viaggiatore fra i mondi, qualunque sia la tua età.
In Sardegna anticamente venivano raccontate attorno al fuoco dalla donna più anziana, si chiamavano contos de foghile. Nella mia isola, fra Janas, Surbiles, Cogas e creature liminali, di sicuro la notte c’erano battaglie da intraprendere e oscurità profonde da varcare.
Spesso le Fairy Tale rimangono incastrate fra le tele dei ricordi, altre volte sono vecchie amiche d’infanzia che appaiono, per lasciarci con lo sguardo sognante qualche istante di troppo. Avete presente quando qualcuno vi fa schioccare le dita davanti agli occhi perché scoperti a fissare il vuoto a lungo? Chissà quale mondo si cela dietro quel vuoto… Altre volte le fiabe non ci abbandonano mai e la sensazione è sempre quella di aver vissuto una grande avventura, di essere stati protagonisti di momenti unici e indimenticabili con la pelle e le ossa, oltre le pagine, oltre le parole.
Il biscotto di Alice o il tè col Cappellaio matto per me hanno costituito momenti strettamente connessi alla scoperta di possibilità creative oltre quelle terrene.
Fare amicizia con la propria testa, soprattutto quando si è piccoli porta a varcare cancelli il cui accesso sarebbe normalmente vietato, a visitare giardini mortali e danzare con creature dai contorni sfumati. E poi ancora le pagine sfogliate migliaia di volte, preoccupati di aver perso un passaggio o la chiave per l’altro regno. Quanto tempo ho trascorso nascosta nello sgabuzzino in compagnia di Bastiano Baldassarre Bucci. Arriva poi il grande maestro, il compagno di una fase più matura della vita, quella che richiede emozioni forti, che vuole brividi e notti insonni per arrivare all’ultima pagina: Stephen King.
Sono convinto che a volte sappiamo dove siamo diretti,
anche se non ce ne rendiamo conto.
Per me è impossibile non trovare uno stretto legame fra Charlie, il protagonista e la vita dello scrittore che, fin da piccolo si trovò a dover gestire le sofferenze dell’abbandono familiare e le difficoltà economiche.
Stephen King con Fairy Tale crea la favola dark, quella che molti di noi nostalgici aspettavano da tempo per creare il perfetto connubio fra brivido e desiderio di infanzia.
Un capanno, una botola verso un altro mondo ed un giovane eroe non apprezzato, sono elementi già visti in tanti racconti, l’abilità di Stephen King sta proprio nel saper tessere una tela unica su orditi già utilizzati. Fairy Tale è un lungo racconto che si concede meravigliosamente di pescare dentro le grandi fiabe, di ammantarle di oscurità e spesso di dolore, di trasformarle a tal punto da renderle bisognose di un nuovo eroe.
Quasi un gioco, o meglio ancora una danza macabra con le creature che ci hanno cresciuti.
Un ricordo prezioso,
di quelli che tiri fuori quando nessuno spende una parola gentile nei tuoi confronti,
e la vita sembra ispida come una fetta di pane raffermo.
E così con Fairy Tale mi sono ritrovata a ripercorre quel sentiero di emozioni che pensavo di aver ormai dimenticato. Ho scoperto invece di avere ancora delle briciole da lasciare nel terreno e che il mio stomaco languiva ancora per un pezzo di casa della strega.
Un tripudio di sensazioni quasi adolescenziali, quando si deve essere gli eroi della storia a tutti i costi perché questo mondo continua ad ignorarci, miste però alla disillusione .In Fairy Tale tutto può crollare da un momento all’altro, risucchiando per sempre tutto ciò che ci ha tenuti vivi.
Parlo al plurale perché so che qualcun altro sa perfettamente di cosa parlo e ha appena finito di combattere con un gigante o di cavalcare un drag
Banale? Forse, se restate in superficie, ma se avete voglia di lasciarvi trascinare dalla corrente oscura delle fiabe ancora una volta, allora leggete Fairy Tale.
Fairy Tale è stato candidato al British Book Award per la narrativa nel 2023.
Quando romanzi come questo vedono la luce, miei cari viaggiatori, apro la porta a ricordi che non mi appartengono, ed entro nel salotto di un uomo che ho inseguito col cuore e l’anima per tutta la vita : l’ultimo mago.
Ho letto e ascoltato tanto su Gustavo Rol, fin da quando si è iniziato a scrivere di lui e a registrare la sua voce. Poi è calato il sipario dell’interesse pubblico e per un po’ di tempo, il silenzio ha nascosto al mondo intero la luce e l’eleganza che quest’uomo sapeva abilmente trasmettere.
A dire il vero però, oltre alla semplice conoscenza delle gesta de l’ultimo mago, la vita mi ha donato dei momenti in cui la sua presenza e il suo ricordo sono stati per me una forte spinta ad andare avanti.
Nel 2021 mi sono ritrovata a soggiornare obbligatoriamente a casa di una splendida donna che, con gentilezza e tanto amore si è presa cura di me durante una lunga degenza. Fu un periodo particolarmente difficile, non ero abituata ai piccoli spazi, al traffico e ai ritmi della città, lontana dalla famiglia e dai miei figli. Il giorno stesso in cui il tampone è risultato negativo mi sono recata nel boschetto più vicino, il parco del Valentino, perché il mio corpo aveva necessariamente bisogno di linfa, di camminare sulle foglie secche, di guardare l’acqua scorrere.
La sera lungo la strada per rientrare, ricordo che il mio sguardo è stato attratto da qualcosa, come una calamita. Fisso un punto ben preciso e scruto le imposte di un appartamento nascosto dai rampicanti. Con sorpresa la mia amica mi dice che quella è la casa di Rol ed io finalmente, dopo ventuno giorni di tensioni e paure, mi sono sentita al sicuro.
La verità è che io faccio poco o niente: non sono che un tramite.
Francesca Diotallevi riporta alla luce il ricordo di Gustavo Rol con L’ultimo mago. Lo spolvera amorevolmente come avrebbe fatto lui con i suoi amati oggetti di antiquariato, per consegnare a questo mondo la storia di un uomo unico che è stato amato, seguito e solo parzialmente compreso.
Si può parlare di magia e spiritismo senza necessariamente appartenere al carrozzone di personaggi pittoreschi che spingono pur di raccontarci la loro grande verità.
La conoscenza è anche discrezione e l’ultimo mago ha preferito condividere con una ristretta cerchia di persone il suo sapere. Un gruppo di persone che ovviamente, rimaneva strabiliata e sconvolta dalle sue capacità.
L’ultimo mago è scritto con toni eleganti e sobri, proprio come il personaggio di cui si parla, quasi come se l’autrice volesse accompagnaci dentro la sua vita seguendo questo filo conduttore.
Una scelta di buon gusto a mio parere, in grado di accentuare ancora di più l’eleganza del dottor Rol.
Attorno a questo filo si intrecciano storie d’amore tormentate, traumi di guerra e amicizie dal sapore antico. come piccoli gioielli che ruotano attorno alla vita del L’ultimo mago.
Gustavo Rol con tocchi leggeri e con estrema discrezione, si fa tramite di messaggi che, in qualche modo sciolgono i nodi dei tormenti d’amore, placando le tempeste interiori.
Torino non sembrava cambiata,
era la stessa cittadina austera ed oscura dei suoi ricordi giovanili,
con quell’aria d’altri tempi e i mostruosi volti in pietra che si affacciavano da sotto i cornicioni,
i diavoli in bronzo a protezione dei portoni e i piccoli occhi a fessura che da terra, spiavano in superficie.
Ad accogliere la vita di un uomo tanto singolare c’è una città che, ancora oggi nasconde tanti segreti. Meravigliosa Torino, che ci accoglie fra le braccia della Grande Madre, grande polmone millenario di storia. Una città che sa raccontare ed ispirare, in grado di rimanere immobile mentre il tempo scorre inesorabile.
Dentro questa splendida corona che è Torino si incastona perfettamente Gustavo Rol che nell’attimo della sua vita, ha compreso e afferrato misteri la cui essenza sfugge alla maggioranza.
L’ultimo mago è poesia e alchimia insieme, è destrezza narrativa, un’opera d’arte che soltanto una grande scrittrice poteva comporre.
Delle vite degli altri ci sfugge sempre l’essenziale
Questo romanzo segna per me una nuova partenza, dopo un lungo silenzio. Forse non è un caso che anche questa volta la presenza dell’ultimo mago sia stata discreta ma decisiva nell’indicarmi la direzione. Finalmente riprendo a leggere, finalmente mi concedo di parlare di magia usando le parole che amo, ora lascio che sia.
Quante cose possono suscitare emozioni, trascinandoci in un vortice tumultuoso anche quando non siamo noi ad essere i protagonisti, ma vite “altre”, vite speciali come quella di Emily Dickinson.
A volte bastano delle note a risvegliare sentimenti impolverati, altre volte uno sguardo seppur fugace può essere sufficiente ad aprire mondi che, per tutta la vita possono rimanere chiusi in una stanza. Ci sono volte poi, in cui le emozioni sgorgano impetuose ed inarrestabili, come nella perfetta tessitura fa immagini e parole creata da Liuba Gabriele in Emily Dickinson.
Le parole sono prodigi.
Mai una frase fu più calzante per un’autrice così speciale, impossibile non riconoscerne immediatamente il talento straordinario.
Eppure soltanto dopo la sua morte e, forse anche contro la sua volontà, si è potuto godere delle sue magnifiche opere. La maggior parte custodite segretamente, come un tesoro talmente intimo da essere inconfessabile al mondo.
Le tavole di questa Graphic Novel trascinano dentro la vita della poetessa, sono coinvolgenti e hanno il grande pregio di essere state studiate per introdurre il lettore dentro la quotidianità del 1800. La scelta dei colori pastello, la cura nella rappresentazione di abiti, paesaggi e persino le espressioni dei personaggi accolgono il favore del mio immaginario rispetto al periodo. Ho amato le tavole in cui veniva rappresentata la vita all’interno della dimora borghese in cui risiedeva Emily con la famiglia.
La determinazione e nel contempo la fragilità di Emily Dickinson non hanno quasi bisogno di parole. Le emozioni vissute dalla poetessa emergono chiare e potenti, sta a noi accoglierle e comprenderle.
Ora sono completamente nascosta e sola, l’unica persona.
E’ tutta mia questa scoperta.
E’ stato impossibile restare indifferenti alla determinazione con cui persegue i suoi obbiettivi e alla passione con cui ha vissuto ogni istante della propria vita. Ovviamente va considerato il contesto in cui è vissuta, il periodo conservatore ed i pochissimi diritti che potevano vantare le donne.
Dalle tavole traspare persino la preoccupazione di una famiglia che vede crescere una donna non conforme ai normali canoni dell’epoca, uno spirito libero che cercava il proprio spazio di espressione. Immaginate le difficoltà per una donna fuori dal comune come lei, che preferisce volare fra le mura della propria stanza pur di non fermare i propri sogni. Dopo il diploma si aprono per lei nuove porte, i circoli letterari svelano il palcoscenico delle possibilità di scambi e crescita personale, della nascita di amori e passioni.
Tutto però è sempre ammantato da un alone di oscurità e cattivi presagi.
Un altro particolare che mi ha colpita notevolmente è stata la capacità di Liuba Gabriele di riuscire a fondere natura e sentimenti, in una danza dentro e fuori dal corpo di Emily Dickinson. Una danza quasi erotica, fatta di colori sempre più accesi e linee sempre più definite .
Metafora perfetta per indicare il rapporto speciale fra la passionale poetessa e la natura da lei tanto amata.
Profumi prepotenti,
suoni saltellanti,
stuoli d’ uccelli,
movimenti striscianti.
Il bosco srotola i suoi canti composti come a spiegarsi.
La casa editrice Becco Giallo continua a sfornare splendide biografie in versione illustrata. Un libro che ad un occhio frettoloso può apparire una lettura veloce a cui dedicare pochi attimi, vi consiglio invece di tuffarvi più volte nel caleidoscopio di colori per sprofondare nel cuore di questa grande poetessa.
Ci voleva una giornata di pioggia per inchiodarmi ad una sedia e scrivere, a volte si fa di tutto pur di sfuggire dalle proprie emozioni, oggi però le gocce d’acqua possono camuffare le lacrime e consentirmi di liberare questo torrente in piena: L’equilibrio delle lucciole. Non ho cercato questo libro, forse lui ha scovato me. Nascosta fra mondi di possibilità ho visto lucciole danzare e universi nascosti fra i rami della vita. L’ho preso senza nemmeno pensare, a volte l’istinto sa essere un buon maestro.
Questo libro non può essere valutato con stelline o apprezzamenti, non valgono le parole perché non sono sufficienti.
Ogni parola scritta è cura e tormento, ricordo e risveglio. Non tocca soltanto la pelle, va più in profondità. Arriva fino ai nervi, li tende e li riscalda, li fa fuoriuscire dal corpo fino a renderli radici consapevoli della nostra vita.
Sono le parole a custodirci: le parole custodi. Tocca averne cura e possono riportare in vita l’essenza di chi le ha pronunciate:
è un travaso importante la memoria delle parole.
Non è stato facile, ho centellinato le pagine facendole diventare rito. Mattino, mi nascondo al mondo respirando la campagna, libero dal guinzaglio i miei fedeli amici e apro la porta. Nella casetta invasa dalle foglie lascio andare i muscoli al profumo del mosto. Mi abbandono su una sedia sgangherata e mi prometto che saranno solo dieci pagine, non di più. Poi finisco col rubarne ancora qualcuna perché il respiro del paesino di montagna somiglia a quello del mio fra le colline. Sempre più stanco, sempre più curvo.
Eppure ci sono profumi di fioriture e di emozioni a cui troppo spesso non ho fatto attenzione. Me ne rammarico, ingoiando una lacrima .
Le lucciole stanno sparendo dicono tutti, forse siamo noi che non le sappiamo più osservare. Forse si sono nascoste fra le crepe dei muri scrostati o nelle cantine delle case abbandonate e creano in silenzio la rete della vita. Una rete che sembra quella di un ragno, sottile, trasparente ma perfetta, ti accorgi che esiste solo se la guardi in controluce o se ti sfiora la faccia. Quella rete è il respiro dei piccoli paesi, delle piccole vite che sono piccole luci ancora in grado di indicare il vero senso della vita. Siamo esseri di natura, siamo talmente connessi a lei che spesso la diamo per scontato. Come l’amore di una madre che si pensa di possedere per diritto.
Valeria Tron tocca le corde di questa ragnatela, lo fa con tocchi delicati e pare quasi che abbia la capacità di sciogliere i nodi della vita solamente raccontandoli. Almeno così è stato per me.
L’equilibrio delle lucciole ha bloccato il tempo nel paesino di montagna e nel mio contemporaneamente, lo ha bloccato nell’istante in cui ho aperto la porta della mia casetta in campagna, e lì io sono rimasta con tutta l’anima.
Ogni vita ha stretta alla cintura una giostra di corde tese verso le case e,
in ognuna, una strofa da sommare alle altre,
così da trasformare le esistenze in un canone da riprendere al tempo giusto.
Alle foglie secche e al vento che taglia ho fatto una promessa: avrei ripreso a parlare di emozioni anche nei libri, avrei ripreso a respirare rispettando il ritmo dei miei polmoni. Se vi aspettate dettagli de L’equilibrio delle lucciole allora andate da un’altra parte, io ho scelto di parlare di questo libro attraverso me. Sono ancora incastrata fra vite di persone che mi si sono materializzate davanti. Strappata fra Ade e Nanà, fra disillusione e piccoli gesti che costruiscono la vita. Eppure sono innamorata, piena dell’ebrezza di questo sentimento che riempie le fronde degli alberi, e le fa danzare all’unisono.
Ti auguro di trovare un’anima così piena d’amore che sappia risuonare ovunque tu sia e riportarti a casa,
verso le sue braccia, a dorso di promessa. So che è possibile solamente se avrai a cuore l’attesa. Tanto la vita è inspiegabile pure sulle altitudini e imprevedibile a ogni nebbia.
Sono io e sono loro, e per la prima volta sento fra le pagine una realtà tanto vicina da poterla accarezzare. Mi sono fatta formichina e fascina di legna, sciolta dentro una tisana calda e incastrata fra un pettinino e gli occhiali Neve. Sono loro, eppure è il mio mondo, ed è il mondo di chi ha la fortuna di vivere fra i calcinacci di un luogo antico, vivendo nell’inconsapevolezza di essere quella trave che ancora tiene il tetto. Fondamenta di un mondo semplice fatto di frutta matura e legna da ardere, fatto di lotta alle disgrazie e di spalle a cui sostenersi per andare avanti. Ade e Nanà chiudono le imposte perché si è fatta sera e io grido disperata perché non voglio che cali la notte sulle loro storie. Oscillo pericolosamente, in equilibrio su un filo che si sta staccando, lanciandomi inesorabilmente dentro il limbo di una quotidianità che non mi appartiene, costringendomi a rumori e parole a cui non sono pronta, non oggi. Nanà, Ade e le lucciole mi sorreggono, mi fanno scaldare vicino alla stufa. So che Nanà sta creando una sciarpa anche per me e che Ade sta preparando un nuovo disegno, forse sarò così fortunata da diventare il chiodo che sorregge il quadro che diverrà.
C’è un segreto enorme nelle piccole cose che fanno sopravvivere. C’è la vita stessa, quella che non sconvolge il mondo ma lo accarezza. Vita che non invade con prepotenza, ma illumina delicatamente con la luce fioca di una candela, con la delicata luce di una lucciola sopravvissuta.
C’è un silenzio integrale, nemmeno il gocciolare di una grondaia,
che qui son tutte malconce e perdono come rubinetti.
Nulla, solo il vapore del fiato che mi precede di mezzo passo.
Sono la prima a scendere in fondo alla borgata da un bel po’ di tempo;
nessuna orma, se non qualcuna di uccello sui davanzali.
Di fianco alle stalle le pietre hanno scordato il profumo del letame.
Gli scarponi sprofondano.
I muri calamitano la bufera, e così fanno i vetri e tutto, impastando i colori in un malinconico grigio.
Grazie per aver scritto questo libro, grazie per ogni dolorosa parola. Per aver saputo dare equilibrio alla follia della vita. Io resto qui ancora un po’ e qualcosa di me ci rimarrà per sempre. Chiudo la porta a chiave, piove forte ancora, richiamo i miei amici fedeli e torno a malincuore alla macchina. Prima però osservo le mie mani, sono capaci, così come la mia testa, di ritrovare il tempo e il modo giusto per vivere nella pace del cuore, dove il lavoro della terra non spaventa e i petali dei fiori disegnano pensieri. Sbatto le ciglia umide, tornerò presto con un nuovo libro nel petto ed una nuova storia, ad evocare anime ed emozioni, ma per ora voglio stare a casa di Nanà ad osservare la prima neve.
Accade spesso nella storia che le dinamiche familiari si intreccino saldamente alla politica e al futuro di un popolo, in questo caso la famiglia in questione è quella dei Medici nel romanzo di Carla Maria Russo: La figlia più amata.
Un nuovo punto di vista, non più i soliti racconti di battaglie e lotte di potere. Carla Maria Russo ci accompagna nel Gran Ducato di Toscana mettendo in luce aspetti meno conosciuti delle corti nel 500. La famiglia Medici, a partire da Cosimo I è il cuore del racconto. Un uomo che per amore delle proprie figlie ha osato sfidare le rigide convenzioni del tempo. Normalmente ci si dovrebbe aspettare un padre attento allo sviluppo e alla formazione dei suoi figli maschi, in particolar modo del futuro erede della casata; invece Cosimo preferisce coltivare l’amore profondo per le proprie figlie. Bia è la prima, nata fuori dal matrimonio a soli diciassette anni.
“Figlio mio, suvvia,
comportatevi in modo assennato e lasciate la bambina alla cura delle balie.
Siete un duca, adesso prima che un padre.
E a un duca si addice un certo distacco, non manifestazioni di affetto così esplicite.
Fosse un maschio capirei. Ma è solo una bambina…”
Solo una bambina, queste parole racchiudono l’importanza che all’epoca veniva data al sesso femminile.
Un impedimento quasi o uno strumento da poter maritare per creare nuovi intrecci fra casate importanti. Cosimo invece le amava e le viziava oltre ogni modo e oltre ogni regola. Era il figlio del famoso e conosciutissimo Giovanni dalle Bande Nere, uomo tanto famoso quanto assente; proprio l’assenza del padre e, per contro, la totale e incondizionata presenza della madre, sono stati i pilastri della sua vita, condizionando inevitabilmente le sue scelte future.
A partire da Cosimo I, Carla Maria Russo in La figlia più bella, ci accompagna a conoscere tutti i suoi discendenti, i loro ruoli nella famiglia Medici e nella politica del tempo.
Una storia fatta di intrighi pericolosi ma anche di grande tenerezza. La capacità dell’autrice di entrare nella vita dei personaggi del romanzo è straordinaria. La caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo delle donne del romanzo è talmente splendida da avere la sensazione di poter udire il frusciare delle stoffe preziosamente ricamate, i profumi delle cucine e del giardino, il palpitare dei loro cuori per le speranze e i sogni coltivati in segreto. Isabella è scaltra, ribelle e bellissima, e tutte le libertà che si prende sono dovute al fatto che è la preferita di Cosimo, il quale è completamente inebriato dall’amore che prova per questa figlia e alla quale non riesce a negare niente. Proprio per questo motivo Isabella potrà prendere decisioni che le consentiranno di ampliare le proprie passioni. Libertà che non sono concesse alle giovani donne da maritare dell’epoca, neppure se di buona famiglia.
In la figlia più amata gli agi e le libertà di Isabella sono anche il pretesto per mettere in luce le condizioni delle donne del 500.
Era normale considerarle solamente merce di scambio per matrimoni strategici, il più delle volte costituivano solamente un peso da rinchiudere quanto prima in un convento.
Ogni eccesso non consentito veniva duramente punito. Le donne venivano cresciute, o meglio plasmate in funzione del giorno in cui sarebbero divenute merce per rinsaldare i rapporti fra famiglie o ingrassare le casse di qualche signore. Le bambine venivano educate e illuse che dopo il matrimonio, avrebbero potuto guadagnare importanza, onore e libertà. Troppo spesso invece si ritrovavano nuovamente prigioniere, costrette ad accondiscendere ai voleri di un marito sconosciuto e a partorire quanti più figli possibile per il prestigio delle famiglie. E’ proprio il punto di vista femminile, raccontato con delicate sfumature de La figlia più amata che mi ha lasciato piacevolmente. Voler raccontare da una posizione scomoda, di personaggi troppo spesso dimenticati, in maniera così precisa e profonda rende, a mio parere questo romanzo qualcosa in più di un romanzo storico. Carla Maria Russo lo trasforma in un romanzo di riappropriazione (finalmente) della storia delle donne de Medici e, in un’ottica più ampia, delle donne nobili del 500.
“Spero che ti fidanzino quanto prima. Non vedo l’ora.
Così te ne andrai e non metterai più piede in questa casa”
oppure
“Quand’è che concludono un accordo matrimoniale per te e sparisci per sempre?
Prego solo che sia con uno molto lontano da qui…Un nobile tedesco, magari”
dice Francesco tutte le volte che si arrabbia con lei, ovvero sempre. “Chi ti dice che una volta sposata, me ne andrò via?” replica Isabella. “La legge: le donne abbandonano la casa del padre. Non sarai certo tu a fare eccezione.”
Non soltanto un romanzo di donne, ma anche uomini che sono andati contro le regole comuni per amore. Un ultimo pensiero va a Lucrezia, l’ultimo per colei che è stata l’ultima. La mancanza di bellezza all’epoca era già una garanzia per il convento e forse per lei sarebbe stata una soluzione di conforto. Lucrezia, che nella sua famiglia di conforto e sostegno non ne ha mai avuto. Un’ombra sempre più eterea e invisibile in una famiglia in cui l’opulenza e il bisogno di mostrare e mostrarsi erano fondamentali per assicurarsi sostegno.
Un piccolo petalo in un cespuglio di rovi. Un personaggio che mi ha profondamente commossa.
Debolezze e dolore, paure e intrighi si intrecciano nelle vite dei Medici insieme ad un destino inesorabile che arriverà a distruggere persino le fondamenta di questa nobile, grande casata.
Cari lettori, abbiamo già viaggiato nel 1600, ma questa volta vi assicuro che farete fatica a staccarvi di dosso l’odore del sangue de Le streghe di Manningtree.
Ancora un romanzo che parla di streghe?
Ebbene si, non mi stancherò mai di leggere i racconti di altre sorelle che hanno dovuto lottare per un briciolo di libertà. Questo racconto in particolare però lascia un solco profondo nella pelle. Ho terminato la lettura da diversi giorni e soltanto ora mi sono imposta di scrivere, come se compiendo questo gesto lasciassi andare il profondo disagio nel quale mi aveva portato. Le parole non sono un semplice susseguirsi di lettere, se sono in grado si trascinarti dentro la pozza fetida delle manipolazioni degli uomini. Quando poi esse sono dirette magistralmente da una mano abile come quella di Blakemore, allora ammetto di essermi lasciata soggiogare con grande piacere, anche se l’incantesimo è stato uno dei peggiori incubi della storia dell’umanità.
Dai troppo ascolto ai pettegolezzi, coniglietto.
Strega è l’offesa che affibbiano a chiunque faccia succedere le cose,
a chiunque porti avanti una storia.
Non è stata soltanto una lettura, ma piuttosto un marchio a fuoco, una brutale presa di coscienza, una discesa nei meandri della crudeltà umana. Perché quando si parla di streghe si parla di donne, e quando si parla di inquisizione si parla di abuso efferato del potere maschile, col tentativo di circoscrivere la conoscenza e plasmare a proprio piacimento la volontà delle donne.
Sfruttate, povere e ignoranti, ecco le streghe di Manningtree .
Ovviamente stiamo parlando di una categoria ben specifica di donne. Se sono maritate, serve del proprio uomo e della chiesa, se non alzano mai il capo, se non mostrano un lembo di pelle e non sono minimamente curiose e intraprendenti, allora potrebbero passare indenni allo sguardo torvo e attento dell’inquisitore.
Ma diciamola tutta, e in questo romanzo vi assicuro che la realtà non viene minimamente abbellita, sotto le mire degli inquisitori ci sono le donne a cui la vita non ha donato gli strumenti giusti per proteggersi. Vedove, orfane, povere e costrette ad arrangiarsi e a patire la fame.
Poi c’è il mistero, filo conduttore di questo romanzo. Quello che non lascia fuori il Demonio da nessuna pagina del libro. Il Demonio delle danze orgiastiche e dei sabba? Può darsi, niente lo esclude e le povere reiette sotto tortura lo ammettono, ma c’è un demonio senza zoccoli, vestito di rigore e saccenza, che al posto di forconi ha dita puntate e forche pronte ad accogliere corpi esili. Un demonio subdolo che si insinua nelle menti dei semplici, instillando diffidenza verso chi cammina nell’ombra, vergognandosi magari del proprio abito sudicio, o verso chi sorride apertamente, vittima di un corpo di donna in un cuore di bambina.
Sono loro la causa della carestia! sono le streghe di Manningtree!
Perché si è visto un gatto a macchie saltare alla vostra finestra
Perché i vostri piselli continuano a fiorire anche se sono stati devastati dai temporali?
Potremo trovarci in qualsiasi luogo del mondo e, a dirla tutta anche in qualsiasi tempo, vista la brutalità con cui ancora le donne vengono uccise, ma il romanzo è ambientato nella contea dell’Essex fra il 1644 e il 1647. I personaggi sono meravigliosi e le vicende del paese sono raccontate con una cura e un’attenzione tali da poter quasi camminare nelle vie maleodoranti. Persino il freddo pare penetrare la nostra pelle.
Non mi dilungherò a raccontare gli eventi, ma vorrei soffermarmi un secondo su un personaggio scomodo: la Beldam West. Ecco la strega, la donna che non si nasconde, che non maschera le emozioni con un sorriso ma che, con un ghigno sbeffeggiante si prende gioco di chiunque. Ecco la donna contro cui tutti punteranno il dito e contro i quali lei sputerà, temuta e odiata; splendidamente guerriera. La Beldam è l’emblema della donna che reagisce con tutte le sue forze perchè non accetta le imposizioni. E’ in grado però di amare visceralmente la figlia per la quale sarà pronta a tutto.
Poiché non hai servito l’Eterno, il tuo Dio,
con gioia e allegrezza di cuore per l’abbondanza in ogni cosa,
servirai i tuoi nemici che l’Eterno manderà contro di te,
in mezzo alla fame, alla sete,alla nudità e alla mancanza di ogni cosa;
ed egli metterà un giogo di ferro sul tuo collo, finché non ti abbia distrutto.
E se per caso vorrete proteggere le vostre anime raccontandovi che è solo un romanzo, sappiate che i fatti sulle streghe di Manningtree sono tratti da una storia veramente accaduta e che l’autrice ha fatto numerose ricerche prima di scrivere questo libro. Non vi consiglio soltanto di leggerlo, ma di viverlo.
Ringrazio la casa editrice Fazi per avermi dato la possibilità di leggere questo libro in anteprima.
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