L’Aggiustacuori è sicuramente un libro capriccioso, sono sicura che non saprà stare in perfetto ordine nella mia libreria, ma salterà fuori ogni volta che lo riterrà opportuno.
L’Aggiustacuori non è un libro qualsiasi, è la fiaba dell’amore e come tutte le fiabe contiene in se una grande dose di ingredienti magici: sogni, silenzio, oblio e nuvole, tutte racchiuse dentro i barattoli nel laboratorio di Mattia.
Mattia intreccia fili, regola le lancette dell’orologio del cuore e aiuta le persone a lenire le loro pene d’amore.
tic, tac, tic, tac Mattia ha un segreto…
Nell’oscurità l’aggiustacuori lavora per realizzare il suo più grande sogno. E’ instancabile ed ispirato, ogni sua creazione racchiude in se qualcosa di veramente prezioso.
Mattia lavora con gioia e come tutte le persone innamorate,non si perde d’animo, anche se il suo valore non viene apprezzato, non demorde, in ogni istante l’unico desiderio è raggiungere il suo sogno.
Allora torna a casa con il petto sempre un pò più vuoto e ad ogni sconfitta il vuoto si fa sempre più grande, mentre Mattia diventa sempre più piccolo.
Un incantesimo non terminato,un laboratorio confuso e personaggi quasi eterei, danzano come marionette fra le pagine di questo libro.
I disegni sussurrano, non urlano mai, ma arrivano diretti a toccare certe corde.
Visi delicati in uno sfondo blu che muta seguendo il filo conduttore del cuore.
Jana, mia figlia ha letto e sognato con me,intingendo il dito nel blu profondo e assaggiando la delicatezza di questo racconto. Un libro in grado di regalare momenti di dolcezza semplice ma profonda.
Da leggere più volte per assaporarne tutte le sfumature, per imparare e ricordare: c’è sempre un motivo per continuare a credere nell’amore.
La Jackson si conferma ancora una volta maestra dell’inquietudine, in Abbiamo sempre vissuto nel castello riesce a far nascere nel lettore un oppressivo senso di smarrimento, pur descrivendo normalissimi gesti quotidiani.
Immaginate un semplice paese del nord america circondato dalla campagna: gente che chiacchiera al bar, bambini che giocano e intonano filastrocche, donne indaffarate tra panni e pranzo.
Ora spostate lo sguardo verso la periferia, proprio dove inizia il bosco, dove la grande casa della famiglia Blackwood troneggia da tempo immemore. Il cancello è chiuso, nessuno si avvicina più e le canzoncine intonate dai bambini del paese si riferiscono sempre alla grande casa in periferia.
I maschi del paese si mantenevano giovani spettegolando,
e le femmine invecchiavano aspettando in silenzio che figli e mariti tornassero a casa,
mentre una grigia stanchezza malvagia si impossessava di loro.
Se trattenete un attimo il fiato, potrete sentire il suono di un pendolo.
Ritmicamente, giorno dopo giorno,egli scandisce i vari compiti della giornata:
Merricat vai a fare la spesa, è tempo di preparare il pranzo, è la giornata da dedicare alle pulizie del grande salone. Tutto perfettamente calcolato, giorno dopo giorno, come una danza sicura e confortevole, i cui passi non cambiano mai.
Merricat, Costance e lo zio invalido.
Dimenticavo Jonas,il fedele gatto, questa è la famiglia Blackwood, o ciò che ne resta.
Fra le righe di Abbiamo sempre vissuto nel castello si cela una malsana armonia che si imprengna nelle mura della grande casa, una coltre di illusione fatta di dolcetti appena sfornati e lenzuola pulite.
Tic tac, tic tac, pare quasi di osservare un delicato dipinto: due giovani sorelle e uno zio che sorridono nel loro castello.
La strenua difesa dell’immobilità è il segreto per preservare quella gioia innocente, o folle.
Accade però che il nostro pendolo a volte si fermi, e allora qualcosa rompe inevitabilmente la pace quotidiana.
Anche il nostro viaggio si ferma per un attimo, in uno spazio temporale in cui la comprensione dei fatti non coincide più con l’immagine dei personaggi, sembra quasi impossibile eppure il male si annida dentro le case silenziose, allora rimaniamo attoniti, in preda ad una strana inquietudine mista ad incomprensione, nell’osservare lo stravolgimento dei perni portanti del racconto, tutto è esattamente ciò che non dovrebbe essere.
Conosci il sapore dell’arsenico?
Per fortuna quasi sempre il pendolo riprende il consueto ticchettio riportando tutto nell’apparente ordine, o forse la nostra psiche è ormai irrimediabilmente scossa.
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita Phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
Shirley Jackson, indiscussa signora del male,è stata in grado di creare un romanzo delicato come la pelle di un serpente, dove il male non si identifica con il canonico cattivo, ma con turbamenti cuciti sulla pelle viva, in grado di confondere e annebbiare la mente, ci avvelena pagina dopo pagina, con piccole gocce di sospetto ben dosate, perché vuole farci arrivare fino alla fine, confusi e storditi, senza riuscire a comprendere il confine fra bene e male, follia e giudizio, senza sapere più chi sono i veri mostri.
Abbiamo sempre vissuto nel castello è un libro scritto da Shirley Jackson ed edito da Adelphi nel 2009
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