Pioggia Sottile. Il labirinto dei fraintendimenti e’senza uscita.

Pioggia Sottile. Il labirinto dei fraintendimenti e’senza uscita.

Le famiglie , seppur nella loro grande eterogeneità, hanno particolarità che somigliano, a volte belle, a volte meno; molto spesso alcune situazioni vengono portate all’estremo, lasciando che i ricordi ci diano sempre ragione: Pioggia sottile.


Luis Landero ci porta a Madrid, ma potrebbe trattarsi di un qualsiasi luogo nel mondo, poiché è di una famiglia qualsiasi che ci parla.


Quante volte la quotidianità viene percepita in maniera differente dai componenti di una stessa famiglia?

A volte siamo troppo colmi di rancore, altre volte insoddisfatti o con un dolore talmente grande che questo riesce a fare da lente ad ogni situazione, ammantandola irrimediabilmente di tristezza.


Altre volte siamo semplicemente troppo piccoli per riuscire a comprendere, le situazioni familiari allora scorrono attraverso occhi innocenti.


Infine si diventa grandi e guardando indietro ci si rende conto di quanto certi episodi, abbiano irrimediabilmente condizionato le scelte che ci hanno condotto fino ad oggi.


La mamma sta per compiere ottanta anni e i sentimenti sono estremamente contrastanti riguardo la possibilità di farle una festa.


Pioggia sottile un intreccio familiare che vomita dolore e risentimento.

Spesso accade anche nelle migliori famiglie.

Un padre allegro e cantastorie che con i suoi racconti ha ammaliato l’infanzia dei figli.


E una madre che, una volta perso il marito, ha trasformato il clima familiare in un incubo.


Tutti da quel giorno hanno vissuto nella costante attesa di una tragedia.


Pioggia sottile è una matassa impossibile da districare e i nodi sono fatti dalle diverse percezioni che i figli hanno avuto della stessa situazione.


I punti di vista capovolgono le questioni.


Accade così che una madre impegnata ma amorevole si trasformi in una donna senza pietà per le sue figlie, costringendole a prendere decisioni contro la loro volontà.


Pioggia sottile è la tela di un ragno.


Tu sai tutto, vero Aurorita?

Perchè sei tu che ascolti in silenzio gli sfoghi di tutta la famiglia.


Tu che ascolti ma raramente commenti, parole sempre equilibrate e attente a non cadere mai nel giudizio.


Ho spesso provato ad immaginarti: dietro la cornetta del telefono o seduta ad ascoltare pazientemente la persona che ti stava di fronte.


Ho visto quindi tutte quelle parole raggiungerti e penetrare dentro la tua pelle fino a gonfiarti, quasi ad esplodere, ma tu non hai mai sbagliato, non sei mai esplosa.


Pioggia sottile è un quadro che descrive la stessa scena, ma gli occhi che guardano vedono cose diverse.

Al centro di quella scena c’è Aurora, colei che tiene il filo narrativo dei numerosi dialoghi e sfoghi.


Le pennellate sono le incomprensioni e i fraintendimenti familiari.


Aurora però è quasi impossibile da immaginare, ma senza lei il racconto stesso imploderebbe.


Eppure non è nemmeno un personaggio risolutore, perché, si sa, quando una famiglia si trascina silenzi per anni, certi rancori diventano impossibili da risolvere.


E ancora una volta non c’è un buono o un cattivo, un vincitore e un vinto.

C’è la famiglia.

C’è qualcosa nelle parole che,

di per sé,

comporta un rischio,

una minaccia,

e non è vero che il vento se le porta via facilmente come dicono.

Un racconto intricato e non molto semplice da seguire, interessante ma impegnativo e pregno di profonda amarezza.


Se amate i racconti familiari, vi invito ad entrare nel labirinto di Pioggia sottile.

Pioggia Sottile

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Ti interessano i racconti familiari ? Ti suggerisco questi libri:

Cose che non ho buttato via

Una minima infelicità

Del nostro meglio

Nuoto Libero

Baci all’inferno

E capita, ogni singola volta, che le storie

o le parole riemerse dagli oscuri anfratti della memoria

tornino con intenzioni bellicose,

cariche di rimostranze,

bramando rivendicazione e discordia…

Femminucce. Nuove frontiere per il femminismo?

Femminucce. Nuove frontiere per il femminismo?

Femministe o Femminucce? Un libro che fa discutere.

Questo era il titolo di un articolo della Repubblica di alcuni giorni fa.

Sotto il titolo, invece del nome e cognome dell’autrice, soltanto il nome che usa su instagram, il numero di follower e il fatto che si tratti di un’influencer-attivista.

Storco inevitabilmente il naso e mi domando se questo libro può veramente fare per me.

Il femminismo e la letteratura femminista sono indissolubilmente legati alla mia vita.

Indimenticabili sono le emozioni donatemi dalla Woolf, le poesie di Audre Lorde e potrei proseguire con gli studi rivoluzionari della Gimbutas, giusto per citarne alcune.

Non sono ancora riuscita a comprendere la necessità di sottolineare l’attività di influencer, all’interno di un libro che racconta il percorso intrapreso da Federica Fabrizio, nella conoscenza di donne che hanno scritto un pezzo di storia femminista.

Ci tengo però a sottolineare che forse, la mancata comprensione di questo meccanismo associativo, sia soltanto un mio limite.

C’è un nuovo mondo di attiviste che dei social hanno fatto il mezzo principale di divulgazione dei loro pensieri.

Un mezzo veloce e immediato e, proprio per la sua prerogativa frettolosa, a rischio di superficialità.

Voglio essere più chiara: Instagram può essere un mezzo per farsi conoscere, per divulgare briciole di pensiero, ma non può essere fine a se stesso, piuttosto un veicolo che, con quella briciola può attirare il pubblico alla pagnotta.

Federica ci propone infatti una “pagnotta” fatta di diversi impasti: quelli delle vite di alcune grandi donne che hanno portato avanti la loro lotta consapevolmente e altre che lo hanno fatto con molta meno consapevolezza.

Ecco allora che incontriamo bell hooks (il minuscolo non è un errore) e Rosalind Franklin accanto a grandi imprenditrici come Luisa Spagnoli.

E ancora icone come Frida Kahlo, Janis Joplin e Raffaella Carrà.

Non mi dilungherò sui personaggi descritti, sarà un’interessante scoperta.

Inoltre, chi deciderà di intraprendere la lettura, si troverà di fronte ad un’ampia bibliografia per proseguire le proprie ricerche.

Femminucce nasce esattamente con questo scopo:

mettere in comunicazione diverse generazioni di persone femministe,

per condividere le lotte e la rabbia.

Femminuccia, fighetta, principessina e molti altri termini, non appartengono soltanto al panorama dei sesso opposto.

Spesso vengono usati per sminuire altri uomini non “conformi ai parametri”, a riprova di quanto lavoro ci sia da fare anche dentro queste ferite.

Troppo spesso vengono usati con molta leggerezza anche nel panorama femminile a sottolineare una “debolezza storica”, dovuta a secoli di esclusione dalla vita sociale, lavorativa, artistica, sportiva ecc.

Femminucce fa del suo punto di forza la volontà di creare una svolta attraverso il linguaggio. lo stesso che troppe volte ha appoggiato diversi stereotipi che ci vogliono sesso debole e indifeso.

Federica si allontana con decisione dalla visione dualista della donna: forte e decisa o debole e vittima, preferendo racconti di esperienze, sottolineando l’individualità del singolo.

Questo pensiero prende forma anche nella sua lotta come femminista intersezionale, abbracciando nella lotta comune tutte le persone che si riconoscono nel genere femminile.

Ecco credo che questa sia la più giusta definizione per questo libro: un personalissimo viaggio all’interno del panorama femminista.

Un libro appello per le nuove generazioni , un invito alla conoscenza delle generazioni femminili passate, nella speranza che il loro pensiero e le loro azioni vengano comprese in profondità.

Poichè, è indiscutibile, di continuare a lottare c’è ancora molto bisogno.

Femminucce

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Cose che non ho buttato via. La vita degli oggetti.

Cose che non ho buttato via. La vita degli oggetti.

Quando si perde qualcuno che in un modo o nell’altro, ha lasciato un segno nella nostra vita, non ci si abitua alla mancanza e si ricerca in ogni modo il ricordo, in questo a volte ci vengono in aiuto le Cose che non ho buttato via.


I ricordi per me hanno tante forme, un piccolo quadernetto con simboli della cabala, un cristallo, una foto sgualcita, un anello.


Ciascuno di quegli oggetti intrappola un frammento di anima a cui ho annodato un ricordo, a volte prendendoli in mano sorrido, altre volte piango.


In realtà sono una persona talmente legata ai ricordi che ho scelto di vivere in una casa che respira vite passate ad ogni mattonella, che custodisce ricordi in ogni crepa.


In questa casa ho poi aggiunto altri ricordi: i libri di mio padre.

Ogni tanto li sfoglio con la pretesa di una rivelazione, sperando di pescare un ricordo sommerso dalla polvere o di percepire un odore, una sensazione.


Alle volte mi sembra di vedere le sue dita che voltano la pagina, la forma delle unghie, la maniera unica e particolare di percepire lo spessore del foglio.


Anche per me sono tante le Cose che non ho buttato via e delle quali non mi disferò mai.


Il titolo mi ha colpito proprio per tutti i motivi che vi ho appena raccontato, avevo voglia di immergermi nella vita di qualcuno che ha saputo legare frammenti di vita ad oggetti vissuti.


Marcin Wicha ci racconta di sua madre, di attimi di vita vissuta insieme e del suo essere una donna particolarmente risoluta ed ingombrante.


Lo fa attraverso gli oggetti della sua casa.

Non scompariremo senza lasciare traccia.

E persino quando scompariremo,

rimarranno le nostre cose,

polverose barricate.

La grande libreria faceva da cornice alla vita della famiglia e ne ha assorbito le varie sfumature.


Il profilo delle copertine invecchiate, gli odori della quotidianità che il libri hanno assorbito al loro interno fondendoli insieme ai racconti.

Tutto diventa un pretesto per perdersi in un istante passato.


Wicha in Cose che non ho buttato via, ci fa conoscere i vari aspetti della madre attraverso l’analisi dei libri e si troverà a dover decidere di quali disfarsi e quali tenere.


La scelta risulta spesso molto ardua perché la madre si dilettava nel dispensare commenti per molti dei libri letti.


Scelte complicate, anche perchè il timore è quello di perdere una parte di quei ricordi oltre agli oggetti.

Ed ecco che fra le pagine l’autore si ritrova a soffermarsi su episodi a volte ironici, che aiutano a disegnare il quadro della madre.

Una donna ferma nelle sue decisioni, ma figlia di un’epoca difficile che le ha fatto indossare la corazza, che non abbassa lo sguardo di fronte a nessuno.


Si respira l’amore immenso di un figlio per la madre, la voglia di renderla felice anche dopo la sua morte, di non deluderla mai.

Mia madre non ha lasciato massime,

perle di saggezza o comandamenti.

Troppo prudente per esordire con una prima opinione,

esplodeva invece nelle risposte.

Nelle reazioni.

Nelle derisioni.

Sempre pronta a intervenire quando qualcuno si dava troppe arie.


Non pensate però che questo sia un libro triste.

Le pagine scorrono con la sensazione che lo scrittore sia sereno del descriverci i vari episodi, spesso si percepisce una velata ironia.


Devo dire che questa scelta narrativa mi ha lasciato un po’ perplessa almeno all’inizio.

Questo però è un libro fatto di sensazioni crescenti, come se l’autore stesso, nella stesura del libro, scelga di lasciare andare le briglie delle emozioni gradualmente.


Fino a raggiungere l’apice nel racconto finale.

In cui il dolore non è più velato ma diventa quasi tangibile.

La scelta narrativa di alternare i suoi pensieri confusi ai fatti che stavano accadendo, aiuta il lettore ad entrare con maggiore empatia nel suo animo.


Un libro da esplorare con i sensi più che con gli occhi e che descrive un legame che va ben oltre la vita.

Cose che non ho buttato via

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Le biblioteche sono la testimonianza delle nostre sconfitte di lettori. Sono pochi i libri che davvero ci sono piaciuti. Ancora meno quelli che ci continuano a piacere anche dopo una sucessiva lettura. La maggior parte sono ricordi delle persone che volevamo essere. Che facevamo finta di essere.

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Ecco il libro che ha segnato le scelte letterarie di questi primi mesi del 2023: Una minima infelicità.
Ci si può innamorare follemente di un libro?

Certamente. L’ho letto il primo giorno di questo nuovo anno e ci ho messo quasi due mesi per digerirlo, per questo pubblico la mia recensione soltanto adesso.


Le emozioni non rispettano il calendario, a volte si sente il bisogno di esternare immediatamente, nel timore che esse sfuggano via come la sabbia tra le dita e siano difficili da ritrovare attraverso il tumulto emotivo quotidiano.


Altre volte invece si insinuano sotto la pelle e strisciano in profondità, come una spina dolorosa che si fa spazio lentamente e ha bisogno di tempo prima di essere espulsa.


Questo è l’effetto che ha provocato in me Una minima infelicità: un libro dolorosamente perfetto.

Perfetto a partire dalla copertina, dolce e insignificante solo all’apparenza, a riprova che questo è un libro per chi non ha fretta.


Se ti prendi il tempo per osservarla noterai occhi profondi, duri e velati da una tristezza eterna.

Occhi che si mescolano ai gesti quotidiani del caffè al mattino, del maglione che pizzica, della vita che scorre silenziosa e inesorabile.


Infatti Annetta è proprio così: silenzioso personaggio che nessuno guarda veramente, lei per me è la portavoce della categoria degli anonimi, di tutte quelle persone che al primo sguardo non degneresti di una minima attenzione eppure …


Annetta è tanto, è un microcosmo racchiuso in un piccolo, esile corpo che si rifiuta di crescere, è il silenzio di chi dentro di sé nutre un amore sconfinato e si accontenta di raggiungere anche solo l’ombra della sua mamma amata, di sentire il suo fiato la notte
.

Imparai negli anni a stare come una cosa piccola e morta sotto gli occhi immobili di mia madre.

La più piccola e morta di tutte le cose.

In realtà lei non desidera altro: non dare fastidio pur di starle accanto.

Al contrario Sofia Vivier, sua madre, è tanto grande e luminosa agli occhi del modo, bella e vivace, circondata da una luce che però non riesce a celare la sua tristezza.

Sofia è infatti creatrice di una vita che la fagociterà pian piano, lasciando un guscio vuoto che Anna non smetterà mai di amare.


Le foto di momenti della sua vita scorrono fra le pagine e i ricordi si confondono alle emozioni.

In questa, una donna che non conosco guarda in basso,

verso di me.

E i miei occhi sembrano dire: dove sei mamma?

Che senso ha questo tormento?

Annetta non sa espandersi in questo mondo anzi, preferisce rimpicciolirsi, ridurre i suoi spazi, limitare il suo orizzonte, vivere assaggi della vita degli altri e quando gli altri scompaiono diventare sempre meno, fino a ridursi al nocciolo, fino a diventare fine.


Un nocciolo che ha racchiuso in se la perfezione, ho amato Annetta e la sua nonna che danzava senza pudore, forse perché in cuor mio, amo profondamente chi sa essere puro, senza corruzione esterna, senza lasciarsi influenzare dal mondo che ci vuole tutti simili, performanti, in continua competizione e scalata verso il successo.


Non ci sono scalate per Anna, ma un sottoscala nel quale si può essere autentici nel proprio immenso, perfetto universo.


Carmen Verde con Una minima infelicità ha creato una meravigliosa opera, ciò che ho amato follemente ( come se non bastasse l’amore viscerale che ho provato per questa storia) è la scelta di uno stile narrativo privo di fronzoli, estremamente diretto e curato anche nel mostrarci “la rinuncia sulla pagina”.


Questo è il suo libro di esordio, mi aspetto veramente tanto dal genio di questa scrittrice.

Una minima infelicità è candidato al Premio Strega, qui le motivazioni.
Io faccio il tifo per lei!

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Se sei interessato a recensioni di libri che trattano dinamiche familiari, ti invito a leggere queste:

Del nostro meglio di Carmela Scotti

Nuoto libero di Julie Otsuka

Baci all’inferno di Ariana Harwicz

Lasciate che i giaggioli siano gialli,

che gli iris siano azzurri,

che i piccoli restino piccoli per l’eternità.

 

Del nostro meglio. Di famiglia, amore e violenza.

Del nostro meglio. Di famiglia, amore e violenza.

Non siamo noi a scegliere il viaggio più importante, quello della vita; spesso determinati fattori ne condizionano irrimediabilmente gli eventi, lasciando solchi indelebili e troppo difficili da scavalcare, a noi non resta che fare Del nostro meglio.

Una narrazione che trascina senza mezzi termini dentro il mondo di Claudia e non c’è modo di sfuggire agli appiccicosi tentacoli della sua vita.


Si può essere figli di un piano prestabilito e non del desiderio amare, di un’ossessione delirante che antepone ogni sentimento ad un bisogno unico e costante.

Più che di passionali notti d’amore, Claudia è figlia di una partita a Risiko, di una pianificazione perfettamente calcolata, pur di imbrigliare l’uomo che le sta pian piano sottraendo la vita.

Una famiglia benestante, lezioni di violino, rigore e severità da parte di mamma, amore e carezze da parte di papà, quando era presente.


La mamma sempre impeccabile e truccata fin dal mattino, arrabbiata col mondo, arrabbiata con Claudia che con la sua nascita non ha risolto il suo problema.


Eppure Claudia non sa che il trucco della mamma é perfetto perché ogni mattina deve nascondere i lividi delle percosse, delle mani che le stringono il collo fino a toglierle il fiato.


Claudia bambina si nasconde dentro la sua bolla, fatta di Peter Pan che la porta lontano, la rassicura sussurrandole che il papà le vuole bene, che i tonfi sordi che si sentono nella camera accanto non sono niente che le interessa.


Poi la bolla scoppia, le perle di mamma si spargono nel pavimento, l’odore di alcool è insopportabile e papà muore.


Claudia da quel giorno si chiama Colpa.

Da allora non ho voluto altro che qualcuno che mi chiamasse mamma

solo per estrarre dalle macerie quella parola e darle una bella lucidata,

per sentirmela attribuire, visto che io non sapevo più pronunciarla.

Il cuore della bambina non ha più posto per altro dolore e si nasconde dietro corazze di sballo e tatuaggi, di smalto nero ed eccessi, alla ricerca di nuove emozioni, alla ricerca di se stessa, alla ricerca di un sogno che la tenga lontana da tutta la merda che si sente attaccata addosso.


Del nostro meglio è un romanzo dal grande impatto emotivo, mentre lo leggevo il mio subconscio continuava ad offrirmi vie di fuga consigliandomi di leggere romanzi fantasy, perché spesso il dolore era troppo forte da sopportare.


Non ci sono né vincitori né vinti in Del nostro meglio, ci sono persone lacerate dal dolore, dipendenti e deviate mentalmente che finiscono con l’essere carnefici più o meno consapevoli.


Claudia e Caterina, figlia e madre, vittima e carnefice, ma non solo, c’è molto di più.

C’è chi sceglie la vita, nonostante questa le abbia riservato solo grandi sofferenze e c’è chi sceglie la morte, trasformandosi in un’enorme bolla di dolore e risentimento.

No,

l’amore deve avere ossa dure per la cattiva sorte,

perché nella buona sono bravi tutti.

Una partita molto dolorosa che pagina dopo pagina mi ha fatto sprofondare e riflettere sulle dinamiche morbose di una famiglia.
Ci sono poi dei personaggi di cui mi sono innamorata perdutamente, come la zia Dora e i suoi folli completi!

Del nostro meglio è candidato al Premio Strega, leggi qui le motivazioni.

leggi qui la trama

         Anche questa ennesima ferita,

esposta ai raggi del tempo,

finì per asciugarsi

La vita intima. fra ironia e trasformazione si cela il quesito di chi siamo veramente.

La vita intima. fra ironia e trasformazione si cela il quesito di chi siamo veramente.

Mi domandavo cari viaggiatori, se vi è mai capitato di non decidere la meta, di lasciavi semplicemente trasportare; io questa volta ho deciso di lasciar fare ai libri e la corrente mi ha portato verso La vita intima di Nicolò Ammaniti.

Un 2023 che ha inizio all’insegna di letture inusuali, mi sono trovata coinvolta e a volte torbidamente impantanata all’interno di nuovi stili narrativi, intricate emozioni che spesso spolverano aspetti di un vissuto volutamente lasciato in un angolo.


La vita intima
arriva a sorpresa, un sussurro di un’amica che mi dice “Prova, secondo me ti piace molto e almeno molli per un attimo certi mallopponi!”


Ho provato e ancora assaggio dalle mie dita il sapore del mare.


Niccolò Ammaniti sorprende con una prosa eccellente e ironia pungente, spesso mi sono ritrovata a sorridere con gli occhi fissi al cielo, altre volte il sorriso diventa un ghigno amaro che fa sollevare soltanto un lato della bocca.


Ci si può illudere di essere felici senza sospettare minimamente di affogare nell’infelicità, vero Maria Cristina?

Chi meglio di te, la donna fra le donne: bellezza, posizione, denaro, tutto ciò che desideri viene esaudito in un attimo.


Eppure Maria Cristina non pensa, galleggia nella vita dentro una bolla che mitiga gli urti e le emozioni.


I ricordi dell’infanzia sono nebbiosi e lontani, quasi quelli di un’altra vita, come se non gli appartenessero.
Maria Tristina la chiamano, la donna più bella del mondo, la moglie del presidente del consiglio, ricercatissima dalla stampa e dai gossip.


Avete presente quando si sta sott’acqua?

I suoni sono ovattati e distanti. Così sono gli eventi per questa donna, sembra che niente le appartenga veramente.


Ammaniti però la spoglia pian piano e un velo dopo l’altro la costringe a mettersi completamente nuda di fronte a quel passato che si trascina come un peso.


Le tornano alla mente i motivi che la spingono a galleggiare passivamente:

“ Ricorda Maria Cristina che la vita ti ha fatto dono di un bel corpo, ma dentro sei piena di acqua minerale, dunque giocati questa carta finché puoi”


Nella vita intima l’autore sembra divertirsi molto nel caratterizzare questa donna così perfetta e fragile, ma sconosciuta perfino a se stessa. Una donna che verrà spinta da una potente sberla a sporcarsi le unghie per scavare nella melma dei suoi ricordi.

Quante volte nella vita sappiamo di essere così prossimi alla verità da poter allungare una mano,

afferrarla e come una farfalla chiuderla nel palmo.

E invece facciamo un passo indietro certi che tra quei due petali colorati si nasconda l’orrore di quelle antenne ramificate,

di quelle zampette di mosca, di quella proboscide da zanzara.

Ed è giusto così.

Altre volte la verità urla,

ci chiama e ci implora di ascoltarla,

ci chiede di restituite senso alle cose e far luce a una vita orba.

E allora rischiamo tutto per amore suo.”

Perché nella tua agenda fitta di impegni, cara Maria Cristina, di sedute dal parrucchiere, di ore di fitness e serate di gala, volutamente non trovi lo spazio per affondare dentro ciò che eri?


Per ricordare di quell’estate in barca, della pelle bruciata e dei desideri spinti al limite, di tuo fratello che per vincere una nuova sfida con se stesso non è più tornato a galla?


Dov’è adesso tuo fratello? E tutti i tuoi sogni?


Forse sono stretti tra le chele di una grande aragosta che da quando eri poco più che bambina, non smette di stringere il tuo collo?


Maria Cristina guarda avanti e cerca di non sentire dolore, di non pensare, diventa lo strumento indispensabile di chi la vuole mettere in mostra.


Non mi spingerò oltre nella descrizione di questo splendido romanzo anche perché non sono gli eventi ciò che mi hanno colpito maggiormente, bensì una narrazione incredibile, una satira esplosiva e nel contempo non eccessiva, irriverente, tagliente ed umanamente erotica da rendere ogni pagina un frutto succoso nel quale affondare le labbra.

Clicca qui per leggere la trama

Le storie, quelle importanti, quelle che cambiano i destini, sono fiumi impetuosi, difficili da imbrigliare.

Tu gli metti un ostacolo e loro deviano, trovano un’altra via per fluire.