Questa è una storia dalle molte facce. È più antica delle storie che vengono narrate da uomini nei testi sacri alla nostra civiltà. È una storia che è stata un’eco ma anche la tragedia più cruenta. Un mito cantato da Aedi, uno su tutti: Omero, il cantore dalle molteplici voci. Le parole dell’Iliade soffiano vento sull’ira di Achille ma non è la trame del Pelide ad aver portato tutti lì. Tutti sono davanti alle porte oblique e sinistre di Troia per La trama di Elena.
Elena, elénaus, elandros, eléptolis.
La distruttrice di navi, di uomini e di città.
Francesca Sensini è la portavoce de La trama di Elena.
Mi piace definirla così perché il libro reca il suo nome come l’Iliade reca quello di Omero nel posto che si consegna agli autori ma è Elena a parlare.
Ho letto molto sulla guerra di Troia e ogni testo mi ha sorpreso, conquistato o delusa.
Ci sono dei personaggi, specialmente quelli femminili, soprattutto negli ultimi anni, su cui sono molto prevenuta.
Perché?
È facile chiamare in causa nomi come Briseide, Cassandra e Elena ma non è intenzione di tutti dare un corpo e uno spessore al personaggio in questione.
Non tutti sono disposti a onorare il mito e gli aedi, anzi in molti l’unico desiderio è dare voce all’ego dello scrittore ammantandosi di vaticini improbabili, trame ordite a metà e prigionie che ricordano le favole Disney.
Ho letto un saggio, qualche tempo fa, che mi ha regalato una Elena reale e immaginata ma non mi aspettato che sarebbe arrivata un’autrice a dare ulteriore spessore alla donna che diede fuoco ad Ilio.
La trama di Elena discolpa la donna più bella e odiata al mondo.
Non è un libro che vuole renderla più simpatica a chi ha scelto di odiarla e l’ha additata come l’artefice di tutte le sventure di cui le donne, da lei in poi, vengono additate e per questo condannate.
Anzi, Elena è pronta a prendersi ogni colpa.
Ogni ingiuria.
Ogni epiteto.
È pronta ad immolarsi se questo è utile e necessario.
Ma non lo farà in silenzio.
Sa benissimo che starete a sentire le sue parole, la sua voce arriva dalle profondità del tempo ed era lì ben prima di Lilith, ben prima di ogni altra donna e di tutte lei è anima e corpo, una parte del suo eco vive in tutte noi.
Se è bastato il suo nome ad imbonire un esercito di diecimila navi e la sua voce a farsi amare da una città assediata, chi siete voi per resisterle?
Quasi sembra strano che Ulisse abbia avuto bisogno di essere legato e privato dell’udito per non cadere vittima delle sirene, aveva ascoltato la voce di dee prima di loro e ne era stato ammaliato come tutti.
La trama di Elena è un arazzo tessuto tra i secoli.
La figlia di Zeus, di Leda e di Nèmesi è davanti a voi, fila un arazzo di immagini contemporanee alla sua vita ma anche scene che la catturano nei secoli a lei posteriori.
Vi è mai capitato di osservare un quadro e sentire le voci e i rumori della narrazione?
Questo è La trama di Elena: l’incantesimo della donna più bella e odiata del mondo.
Un coro di voci di cui solo lei è in grado di riprodurre il suono e non potrete fare a meno di starla a sentire.
Non ci riuscì Euripide, non ci riuscì Filostrato e nemmeno le popolazioni indigene delle Hawaii, voi comuni mortali sarete in grado di resisterle?
Io non credo.
La narrazione della Sensini è poetica come un canto di gioia e dolore ed è perentoria come un invito alla guerra.
Coercitiva come la discordia ed ineluttabile come la giustizia.
Ci sono tanti passaggi che vorrei lasciare a piè di pagina per voi lettori ma non mi è possibile metterle tutte. Farei un torto ad Elena se scegliessi qualcosa e pretendessi che questo con influenzi anche voi.
Mi limito a credere che quella che scriverò sia più adatta a quello che l’autrice ed Elena hanno cercato di nascondere tra le righe come monito a voi che leggete le sue parole.
Elena è la fiaccola che diede fuoco al cancello protetto dal baluardo che nessuno ascoltava.
Un incendio di fuoco greco che rischiara le epoche e che nessuno ha ancora compreso come spegnere.
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Adottano così liberamente la menzogna, ne hanno bisogno, come l’architrave la colonna, per non frantumarsi su se stessi.
Vi capita mai di guardare i libri che avete comprato e dire: “Questo è il momento in cui ti leggerò!”? Per me è arrivato il momento di leggere Libere. Circe e le altre di Sabina Colloredo.
Dopo aver letto qualche libro sui retelling mitologici ero, come immaginate sia ovvio, preparata all’argomento.
Circe di Madeline Miller è uno dei libri più venduti degli ultimi anni e quindi la sua protagonista è sempre sulla cresta dell’onda e, infatti, non so quanto per caso, la figlia di Helios ed esule ad Eea, è la prima delle libere della Colloredo.
Circe vive esule in un’isola in cui è regina, giudice e carnefice di coloro che approdano sulle sponde del suo regno. Ha numerose doti, di cui immagino che molti di voi siano ormai edotti.
Circe è la “strega” più famosa dell’antichità classica.
Non avete bisogno che vi dica per quale motivo fosse temuta dagli umani, volete forse essere trasformati in un qualche animale?
Gli dèi la temevano per la sua arguzia, le sue abilità con gli incantesimi e la conoscenza delle erbe. La temevano perché, nonostante fosse esule dalle sale degli dèi e donna, Circe era libera di dire quello che voleva e fare ciò che desiderava con la sua immortalità.
Fino ad un certo punto.
Tutte le ninfe le venivano inviate per ricevere insegnamenti e tornare poi ai loro compiti di immortali, piene di conoscenza e finalmente Libere.
Anche se… Libere non è la parola che io userei.
Né Circe né le altre potevano definirsi Libere.
La Libertà è cosa ben diversa dalla Consapevolezza.
La seconda donna, una delle altre dopo la maga innamorata di Ulisse e schiava del destino, è un personaggio di cui non si è ancora parlato molto nella letteratura degli ultimi anni: Ifigenia.
La ragazza era figlia di Clitennestra e Agamennone. La sua è una storia interessante e davvero triste.
Prima delle figlie del re di Micene, uno degli Atridi, il vero motore della guerra contro Troia, Ifigenia era una giovane innamorata della vita e, nonostante le asprezze dei suoi genitori, era una figlia devota.
Quando le venne presentata la possibilità di sposare l’eroe più famoso e più desiderato, dalle donne della sua epoca, la figlia di Agamennone non esitò a proclamare la sua volontà di rispondere alla chiamata del padre.
L’Atride era fermo sulle sponde di un’isola. A fare cosa? Aspettare che Artemide lo lasciasse partire per prendere le mura della città di Priamo.
Ifigenia non sapeva che non avrebbe sposato Achille e non sapeva che suo padre l’avrebbe sacrificata per avere le vele gonfie di vento.
Sappiamo come reagì Clitennestra: con una vendetta lenta ma inesorabile.
Ma questa non è la storia della regina sorella di Elena né è la storia del fratello di Ifigenia, Oreste, che uccise sua madre.
La figlia prediletta di Agamennone, quando scoprì il vero motivo della convocazione in Focide, prese consapevolezza del suo ruolo di sacrificio alla cupidigia degli uomini e accettò liberamente di offrirsi come espiazione per i delitti verso la dea Artemide.
Alcuni dissero che la dea la sostituì con una cerva e la salvò proprio nel mezzo dell’atto ma sono voci e non sono importanti ai fini della tragedia.
Di nuovo c’è, però, la voce in prima persona di Ifigenia.
Non è più un personaggio sullo sfondo di una tragedia, la vittima della lotta tra i suoi genitori e nemmeno un movente per un omicidio; è finalmente libera di essere se stessa e parlare.
Ma Libera? No, quello mai.
Seguono Cassandra, la sacerdotessa di Apollo e figlia di Priamo.
Se sua madre non fosse stata impegnata ad essere innamorata di Paride e del suo potere, forse si sarebbe accorta che dietro alle parole di sua figlia poteva celarsi un oscuro presagio.
Qualcosa di nuovo nella storia di Cassandra?
No, solo una ragazza che è libera di parlare ma che nessuno ascolta per via della maledizione ricevuta da Apollo. Aspettate, un elemento sottile potrebbe aggiungere un po’ di pepe alla narrazione.
Non fu Apollo a toglierle la facoltà di essere ascoltata ma solo l’arroganza di Ecuba. Mentre la persona che la sacerdotessa pensava fosse il dio che le sputava in bocca, altri non era che il gran sacerdote che la stuprava di notte.
Questa Cassandra è più presente a se stessa della Cassandra di Christa Wolf, ma ugualmente persa.
In Libere, sceglie di vivere in un sogno che l’ha protetta dalla scure della regina di Micene nella sua mente ma non nella realtà.
L’ultima delle donne trattate dalla Colloredo è Dafne.
La naiade, nel libro, è una delle ninfe istruite da Circe. La ragazza sconvolta dalla relazione della maga con Ulisse, decide di vivere una vita priva dalle costrizioni del suo sesso e dell’amore degli uomini.
In questa versione Dafne è figlia di Gea. Quest’ultima è una dei Titani e dea della Terra mentre, in altri miti la ragazza è figlia di una ninfa.
Succede spesso con la mitologia. Non è importante quale scegliete di seguire.
La Colloredo ci racconta della volontà di Dafne di far parte della corte di Artemide ma che la dea la rifiutò (possiamo presumere che lo fece per favorire il suo gemello), inoltre che fu proprio la naiade ad uccidere Leucippo con il suo arco da cacciatrice.
Apollo si innamora di Dafne e pur di averla gioca ad un gioco perverso. Visto le Dafne lo rifiuta come amante, il dio decide di sedurre tutte le sue compagne fino a che non sarà l’ultima.
Nonostante le profferte dell’olimpico figlio del dio degli dèi, Dafne lo sfida ad una corsa e, sul punto di essere presa invoca l’aiuto della madre Gea e questa la trasforma in alloro.
Tutti conoscete la statua di Gian Lorenzo Bernini: il momento in cui la ninfa delle acque, per sfuggire dalle mani di Apollo, si trasforma in albero. Notate l’espressione di terrore della ragazza che non immaginava che l’aiuto che l’aiuto che le sarebbe arrivato fosse quella trasformazione.
Dafne ha scelto il proprio destino con coraggio e forse è l’unica delle donne che ha davvero goduto di un certo grado di libertà fino a che, chiedendo aiuto, ha perso la vita che voleva per sé.
È Libertà scoprire tardi di dover rinunciare alla propria natura?
La parola che cercate per Dafne è Coerenza.
Ricapitolando:
Circe è libera di vivere solo sulla sua isola e ogni dio è capace di manipolarla come desidera;
Ifigenia è libera unicamente di sognare il matrimonio con Achille che non avverrà mai e di accettare il suo destino a desta alta e non come un animale da macello;
Cassandra non è libera nemmeno da se stessa;
Dafne coerente con la sua natura è libera solo di disporre del proprio potere di chiedere aiuto ad una dea che la trasforma senza davvero liberarla.
Libere. Circe e le altre è un libro che vi consiglio?
Ogni racconto è in prima persona, questo è una cosa che apprezzo visto che le donne in esame devono essere libere di usare la propria voce.
È scritto molto bene, anche se la versione in mio possesso ha qualche difetto: qualche comprensibile errore di battitura e una frase con un soggetto non molto chiaro.
Dal punto di vista di ricerca di novità nell’ambito dei retelling mitologici, la scelta di far parlare Ifigenia e Dafne mi sembra un piacevole nuovo scorcio sul tema.
È un libro piacevole con un focus non molto coerente sulla realtà dei fatti narrati. Essere libere di poter usare la voce non è un sinonimo della libertà delle protagoniste.
Sono state scomode nella loro società, sono state maltrattate ingiustamente e ne hanno pagato lo scotto ma non sono MAI Libere di Vivere.
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Mentre la pozione che mi aveva dato Calcante staccava la mia anima dal corpo e i pensieri si facevano limpidi e tersi, li vidi per quello che erano e mi fecero persino pena.
Ci sono storie, nel mito, che non smettono mai di affascinare il mondo. Incapaci di rimanere nel loro angolo riempiendo le menti e catturando l’attenzione di chiunque si volti e li ammiri, sbalordiscono e assumono significati diversi a seconda dello specchio che si sceglie di usare. Così è per la storia di Medusa, la gorgone dallo sguardo che pietrificava tutti quelli che osavano guardarla. Ma da dove è iniziata? Natalie Haynes lo racconta ne Lo sguardo di Medusa edito Sonzogno nel 2022.
Il Gorgoneion, il capo reciso di Medusa, campeggia nello stemma di Versace e anche in quello della Medusa Film ma ad indossarlo per prima fu la dea Athena che lo fece incastonare nella sua egida per terrorizzare i suoi nemici, talvolta campeggiava anche sullo scudo che la dea prendeva in prestito da suo padre.
Se la storia di questa gorgone non fosse così triste si potrebbe raccontare che fu una dea ad iniziare un brand di marketing che ha successo, nei media e non, da molto prima che la città di Priamo venisse distrutta.
Ma torniamo a noi.
Lo sguardo di Medusa di Natalie Haynes aggiunge qualcosa di nuovo al mito?
Questa autrice ci aveva deliziati con Il canto di Calliope, un romanzo corale in cui aveva messo in luce ben più di qualche ombra durante le dinamiche della guerra di Troia.
Aveva aggiunto della modernità allo sguardo sull’accampamento acheo subito dopo la conquista della città e, rispolverando Euripide e Seneca, aveva donato alle donne del respiro che nelle tragedie post Iliade non avevano ancora avuto.
Perché non ritentare l’impresa narrando un mito che ne ha intrecciati altri sul suo cammino?
Di nuovo un romanzo a più voci.
Di nuovo con attenzione alle donne e alle tematiche della diseguaglianza tra sessi aggiungendo la lotta contro i cliché tra la bellezza e la mostruosità.
Chi siamo noi, umani, per decidere cosa è bello e cosa no? Chi merita di morire e chi merita di vivere?
Per rispondere alla mia domanda di prima: Lo sguardo di Medusa aggiunge voci ad una storia che inizia ad essere abusata più che rinarrata.
Questo vuol dire che Lo sguardo di Medusa è un fallimento?
No, assolutamente. Ma tutt’ora, ormai giunta alla parola fine, non sono in grado di dire se mi è davvero piaciuto oppure mi lascia perplessa.
Come vi avevo già accennato, Medusa incontra altri miti lungo il suo cammino.
Non ci sarebbe nessun Gorgoneion se Zeus non avesse generato Perseo e nessuno avrebbe mai liberato Andromeda dagli scogli che la offrivano al mostro inviato da Poseidone.
Il mito di Perseo è la favola di un Eroe che sopportando le avversità del distino, per salvare sua madre Danae da un matrimonio forzato, compie mirabolanti imprese (con l’aiuto di Zeus, Ermes e Atena) per recuperare la testa di una delle tre gorgoni.
Perseo è un uomo, quindi sapete già che la sua storia narra del suo eroismo e mai del resto ma con un po’ di attenzione ai dettagli non è difficile capire che lui, come gli altri semidei, ha compiuto quasi un’ecatombe per essere degno dell’attenzione degli dèi.
Un merito bisogna riconoscerglielo: ha salvato Andromeda, anche se poi l’ha rinchiusa in una gabbia dorata e mi domando se lei si sia mai resa conto di cosa il “potere” avesse fatto a quel sedicente figlio amorevole.
Se dobbiamo credere che la personalità di uomo si evince dal trattamento che riserva a sua madre, a ben vedere c’era poco di che star tranquilli.
A narrare la storia di questo mito, almeno in parte, è il Gorgoneion che, una volta reciso, perde la personalità della sua portatrice e si trasforma in strumento di morte ma…
Anche se Perseo è il vero sterminatore in questa storia, la testa recisa di Medusa si rende conto del disastro che incombe e della noncuranza con cui il suo potere viene utilizzato: lei stessa ne trae un qualche piacere, ma non può farci nulla se non raccontarci quello che accade.
Mi domando se Lady Mary Crowley di Downton Abbey mentre paragonava se stessa ad Andromeda salvata da Perseo, nella prima serie del period drama, si sia accorta del paradosso insito nel fatto di essere salvata e poi sposata da un uomo che in realtà non si conosce affatto e potrebbe rivelarsi essere chiunque: anche un assassino che gode nell’uccidere.
Potrei raccontarvi la storia dell’infelice Gorgone ma la conoscete: stuprata da Poseidone e punita da Atena. A voi scegliere i motivi della punizione, c’è chi dice che sia dovuta alla sua vanità ma non è fondamentale ai fini di questa storia.
Quello che le è accaduto vi sembra proporzionale al reato? A voi il giudizio.
Avete anche la conoscenza di cosa abbia scatenato tutto questo: se gli dèi non si fossero messi a farsi i dispetti probabilmente tutto questo non sarebbe accaduto e che, soprattutto nel caso dei loro fenomenali poteri cosmici, quando tentano di mettere a posto tutto combinano disastri molto più grandi e li ammantano di eroismo.
Sensi di colpa? No, nessuno.
Quindi Lo sguardo di Medusa merita di essere letto?
Il libro è piacevole anche se a tratti può risultare lento e leggermente forzato in alcuni punti.
La voce narrante si ripete spesso: accusando Perseo di essere petulante e meschino rischia più volte di commettere la stessa colpa.
Nonostante sia più che ovvio che la storia di Medusa debba essere connessa a quella di Andromeda e che ciò che le connette sia lo sguardo del Gorgoneion, ho avuto (in più di occasione) la sensazione che alcune parti di questa storia siano di troppo e tolgano ritmo alla narrazione e al suo soggetto.
Il risultato è strano e dissonante: più che la sensazione di aver ascoltato un coro di una tragedia sembra di aver assistito ad una cacofonia di capricci e che a farne le spese siano le due donne che si volevano valorizzare.
Perseo sarà anche stato quello da biasimare, e con lui tutta la parentela divina, ma c’era la necessità di dargli tutto quello spazio?
È un dubbio che mi è venuto.
Ripeto: Lo sguardo di Medusa mi è piaciuto ma c’è anche qualcosa che non mi ha convinto e, inoltre, il mio è un parere che potete ignorare.
Di sicuro, però, non l’ho amato come ho amato Il canto di Calliope.
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“Se venissi calpestato da un gigante e da un dio – cosa che da parte nostra non sarebbe intenzionale, ma insomma, uno di noi potrebbe fare un passo falso nel pieno della battaglia, e allora tu saresti… Bè, saresti stato. In ogni caso, sarebbe del tutto indolore. Cioè, probabilmente sarebbe molto doloroso, ma solo per un attimo, poi smetterebbe.”
Non posso mai fare a meno di trovarmi agli albori della Storia Greca, deve essermi rimasta impigliata in una caviglia un giorno di tanti anni fa. Ancora una volta, sullo scaffale della mia libreria preferita, ho trovato nella sezione saggi un libro dal titolo privo di mistero: Troia di Stephen Fry, edito per Salani nel 2022.
Dico che il titolo è privo di mistero perché, ormai lo sapete tutti, sono anni che in maniera piuttosto ciclica io mi siedo nella piana tra lo Scamandro e la porta Scea e mi godo lo spettacolo.
Li ho visti tutti. Correndo avanti e indietro mi sono passati davanti tutti i guerrieri, ho visitato gli accampamenti, mi sono seduta alla tavola di Priamo e ho persino litigato con Ulisse qualche volta.
Non posso fare a meno di stare con loro 10 anni.
Dieci anni a Troia non è la condanna di Ulisse ma la mia aspettativa di esistenza ogni volta che mi trovo davanti ad un libro che ne racconta le vicende.
Ora, a detta di molti, dovrei ormai essermi annoiata di questi retelling della guerra narrata da Omero nell’Iliade. Ma non è così.
Mi annoiano i libri che cavalcano l’onda, quelli che non aggiungono sfumature sconosciute, quelli che all’ordito non aggiungono fili e trame che fanno risplendere l’arazzo.
Troia non è uno di questi.
Vi ho già detto che l’ho trovato nella sezione saggistica ma… chi dice che i saggi sono noiosi o boriosi non sa proprio che cosa ho tra le mani.
Avete presente quando davanti a voi, magari ad un evento letterario, c’è qualcuno che vi parla del suo libro ma l’unica cosa a cui è realmente interessato è sentire il suo della sua voce?
Ecco, questo capita anche nei libri. Ne ho letti di testi dove gli autori si stanno rivolgendo al loro riflesso nello specchio e si fanno anche gli applausi da soli.
Quindi, Stephen Fry è questo genere di autore?
Ma nemmeno per sogno. Avete davanti un autore che sa quello che dice e vuole che vi divertiate a scoprire con lui la guerra che rese famosi tutti gli eroi che sappiamo essere coinvolti.
Stephen Fry vuole giocare con voi e vuole che abbiate la gioia della lettura, dello scoprire nuovi dettagli, che non vi vergogniate se le vostre opinioni in merito non sono scolastiche e che giochiate con i punti di vista.
L’autore si diverte anche a ricreare i possibili dialoghi e i giochi di sguardi tra i protagonisti.
Insomma, leggere Troia è uno spasso.
Un dialogo sagace e frizzante con uno studioso acuto e appassionato, cosa si può volere di più? Io potrei andare avanti per giorni dialogando con una mente così.
Ho trovato in copertina un commento del Guardian che definisce l’autore: “Un maestro che indossa la cultura con estrema leggerezza” e io non avrei saputo spiegarvelo in maniera migliore.
Vi racconto una cosa sciocca in merito alla mi esperienza con questo libro: io tolgo sempre le sovra copertine perché non voglio rovinarle e perché mi piace tenere in mano il libro senza sentirmelo scivolare tra le mani, quindi io non ho guardato la quarta di copertina dove campeggia la foto dello scrittore.
Ho notato che conoscevo il nome ma ho pensato (perché nonostante io sia nota per la poca fiducia nel genere umano) che esistessero due Stephen Fry famosi.
Ora, mi rendo conto che facendo così ho implicitamente dato vita al clichè in cui un attore di straordinario talento non possa anche essere uno scrittore di rara abilità narrativa ma non era questa la mia intenzione.
Quando ho terminato Troia, ho fatto quello che faccio sempre: giro per casa declamando alla mia platea immaginaria quanto mi sia piaciuta l’opera e tesso le lodi dell’autore o dell’autrice.
Questa scenetta la metto in atto con il libro in mano e, in questo caso specifico, mentre davo sfoggio della mia abilità oratoria, ho rimesso la copertina al libro e ho visto il ritratto di Stephen Fry.
Sì, Stephen Fry è la persona che ha dato vita a moltissimi dei personaggi cinematografici che ho amato e detestato, è doppiatore, sceneggiatore e produttore e ha scritto libri che io adesso voglio nella mia libreria.
Perché Troia è il terzo di una trilogia, non fatevi spaventare potete leggerli separatamente ed è lo stesso autore a dirvelo in prefazione.
I primi due libri sono Mythos ed Eroi. Qualora ce ne fosse bisogno, mentre vi occupate di Troia, troverete nelle note a piè di pagina tutti i riferimenti utili per essere nel pieno della storia.
Tranquilli siete in ottime mani, tra ottime pagine e nel mezzo di una storia che non smette di parlare anche a millenni di distanza.
Troia è la storia di una città che era considerata inespugnabile, un po’ come quando ti fanno capire che la cultura non è un gioco o che non sia divertente.
Troia è stata conquistata a duro prezzo e conoscere le vicende che hanno portato il mondo a rifrangersi sulle sue coste per ottenerne i segreti e i tesori può essere avvincente.
Lo consiglio a tutti coloro che vogliono approfondire l’Iliade o avvicinarsi, ai giovani che hanno paura del greco ma che dopo questo ci si avvicineranno senza paura.
Un enorme grazie a Stephen Fry, al suo Troia. È un onore conoscere la sua penna oltre che il suo talento sulle scene.
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Qualunque sia il nostro Paese e per quanto possiamo essere orgogliosi delle nostre dichiarazioni nazionali di tolleranza, onore e dignità, non si piò escludere che gli eserciti che combattono per la nostra bandiera non si siano resi colpevoli di atrocità pari a quelle perpetrate dagli insaziabili greci quella notte.
Pat Barker, dopo Il silenzio delle ragazze (Einaudi, 2021), torna davanti alle mura di Ilio con Il pianto delle Troiane, edito da Einaudi nel 2022.
Parlare di una guerra è sempre difficile, sia essa accaduta qualche anno fa o qualche millennio prima che noi nascessimo. Non si smette mai di pensare a quanto sia entusiasmante l’Epica di Omero ma di epico ormai ci sono solo le parole di un aedo anziano abbagliato dalla luce riflessa dagli scudi degli uomini che erano presenti davanti alle mura di Troia.
La guerra più epica di tutte è spoglia delle sue armi, giace stremata sulla sabbia che puzza di sangue, alghe e della paura che trasuda dalla pelle di coloro che, dopo la vittoria, sono intrappolati lì.
Perché? Il vento o gli dei non lasciano che le navi riprendano il mare.
Priamo è stato ucciso da Pirro, il bambino prodigio figlio del guerriero più grande e amato di tutti.
È il figlio di Achille ma nessuno crede che gli somigli. Pirro cerca di essere Lui, è venuto per terminare l’impresa di un padre che non ha mai conosciuto, per guidare i mirmidoni, per staccarsi dalla gloria del padre ed essere finalmente un uomo che ha qualcosa di suo da dire al mondo.
Ma, quando è solo, lo specchio gli racconta di quanto il vuoto lasciato da Achille non lo accoglierà mai accettandolo come re.
Si tenga, questo ragazzino ingrato, le sue insicurezze, le sue paure. Non è altro che un bambino viziato che conosce solo la violenza.
Pirro vive in una realtà diversa dalla verità.
Ha paura ma il figlio di Achille non deve averne, è terrorizzato ma il figlio di Achille non ha motivo di esserlo, non conosce nulla del mondo ma il figlio di Achille non ha il permesso di essere qualcuno che non sia suo padre.
Se solo questo ragazzo intrappolato vedesse quanto in realtà somiglia ad Achille.
Se non si trincerasse dietro a quello che dovrebbe essere…
Cedere all’ira è più facile, meno spaventoso. Cedere all’ira lo fa temere da tutti gli altri ma non lo rende Achille e questo non fa altro che aumentare la violenza, la gelosia e l’inaffidabilità ma soprattutto la paura di vedere il suo riflesso che lo deride.
Priamo è morto e giace insepolto perché Pirro si rifiuta di seppellirlo.
In realtà è fatto divieto a tutti di toccare il corpo del re.
Non possono gli uomini e non possono le donne.
Briseide che, dopo la morte del Pelide, è andata in sposa ad Alcimo è la voce narrante di una storia morente, dell’insensatezza di imitare Achille, della condizione di coloro che non sono i guerrieri ma devono fare i conti con la perdita di Troia.
È lo specchio delle prigioniere degli achei, il filtro di ogni mutamento di un accampamento che di vittorioso ha solo il titolo ma non l’aspetto.
Vi aspettereste che, terminato il glorioso decennio, i grandi guerrieri siano pronti a fare festa e tronarsene a casa. Invece sono topi in gabbia che devono trovare un modo per attendere e non sbranarsi a vicenda.
Nel campo s’aggira un oscuro lamento. Ci sono pianti che anche se privi di suono sono latrati di disperazione.
Il pianto delle troiane è sommesso, nascosto ma visibile a tutti coloro che hanno occhi per vedere.
Qualcuno direbbe che la disgrazia unisce. Seguite Briseide e scoprirete che il piando delle troiane non è un coro ma una cacofonia di assoli scoordinati.
Ognuna delle prigioniere piange una Ilio diversa.
Il pianto delle troiane è l’eco della regina Ecuba che si ammanta di una regalità che le dona una dignità che solo lei vede.
Il pianto delle troiane è l’insieme delle voci che assillano Cassandra. Sono voci di morte e la sacerdotessa le ascolta come fossero vino dolce.
Il pianto delle troiane è la paura di Andromaca che ha visto suo marito trascinato da un carro e suo figlio gettato dalle mura da un ragazzo che non a malapena può chiamarsi uomo.
Non sono solo coloro che erano regine e principesse a piangere una vita che non avranno mai più ma anche coloro la cui condizione ha comportato solo un cambio di padrone.
Sì, anche le schiave di Ilio piangono e sono troiane.
La guerra di Troia è stata una storia di uomini ma anche di donne, di anziani, di bambini, di fragili, di forti, di bulli e di insicuri.
Non c’è nessuno, in una guerra, che passa in rassegna gli schieramenti colorando di nero i cattivi, di bianco i buoni e di grigio coloro che sono sacrificabili rendendoli invisibili a chi combatte.
Se è questo che credete, questo libro non fa per voi.
La penna di Pat Barker non ha sconti per gli esseri umani.
La prosa è ricercata ma spigolosa e cruda. Le parole sono i macigni di una città le cui mura inespugnabili sono cadute e i cui templi giacciono arsi dalle fiamme.
Nessun punto di questa storia è scevro da terrore, follia e oscurità.
Il pianto delle troiane è l’addio ad un’epoca, il risveglio di coloro che pensavano che una volta finita la guerra tutto sarebbe tornato come prima, la nascita di nuove vite da un corpo mutilato.
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Ero ancora troppo giovane per capire che l’irrequietezza non è che una delle facce del dolore. Tra poco avrebbe rappresentato Priamo al suo funerale, al cospetto dell’intero esercito acheo. Anzi, di più, sarebbe stata Priamo. Non è forse così che superiamo il lutto? Non c’è niente di raffinato o di civilizzato: come selvaggi, mangiamo i nostri morti.
Casa ci riserva la Vendetta degli dei di Hannah Lynn? State per scoprirlo.
Chi mi segue da un po’ sa che, ormai da tempo, mi impegno per leggere tutte le narrazioni che hanno a che fare con la rilettura del mito e, per fortuna, spesso, mi trovo coinvolta in miti che sono fedeli a loro stessi pur acquistando freschezza, potenza narrativa e nuovi significati.
Ma a questo servono i racconti che parlano di dèi e mortali: ad ispirare, a diffondere, ad insegnare, ad offrire spunti di crescita e limiti da vagliare.
Dove voglio portarvi in viaggio?
La Grecia antica è la nostra meta.
Micene è il regno coinvolto.
So che sarebbe affare di Artemide raccontarvi di quella città, in fondo, è stata lei ad essere testimone degli avvenimenti ma il compito di narrare è stato dato a me e Calliope mi ha appena prestato parte della sua ispirazione e donato il suo benestare quindi…
Miei cari fratelli e sorelle, miei amati astanti, accomodatevi e lasciate che vi parli di quando Agamennone, il re dei re, portò la sua tracotanza verso le porte della guerra più famosa della storia, del mito e della poesia epica: La guerra di Troia.
O meglio, vi parlerò della versione di Hannah Lynn della storia di Clitennestra, la sorella di Elena per cui la guerra ebbe inizio.
“Baggianate dico io”.
Torniamo a noi, il libro in questione è La vendetta degli Dei.
Agamennone offese mia sorella Artemide per una questione di caccia. Un povero daino che a lei piaceva particolarmente venne ucciso dal re di Micene e quando il vento per far partire le navi sparì Artemide capì che ad Agamennone andava forzata un pochino la mano.
Doveva decidere se per lui valesse di più l’onore della guerra o la sua famiglia.
Sapete tutti cosa scelse. Con un inganno fece credere ad Ifigenia e alla regina Clitennestra che la ragazza avrebbe sposato Achille.
“Per tutti i calici dell’Olimpo, lo avrei sposato anche io ma non è questo il punto”.
Ifigenia morì per amore dell’oro di suo padre e il vento tornò.
Nei 10 anni che quel bue vanaglorioso si prese il merito dei risultati di altri, a Micene governo la regina che si prese cura della città, della sua casa e dei suoi figli.
Lo fece come un re, di sicuro meglio del Suo re.
Furono dieci anni in cui la regina auspicò che l’uomo che l’aveva umiliata, aveva distrutto la sua vita a Sparta e ucciso il suo primo marito con il loro bambino, morisse per una ferita o una pestilenza.
Ma così non fu e non contento Agamennone portò a casa con sé anche una certa principessa troiana.
Comunque sia, mentre il re dei re era lontano, Clitennestra si innamorò della sua vita da regina libera e di Egisto cugino del sovrano.
“Non vi tedierò con la storia di Egisto, la famiglia di Agamennone è sempre stata un tantino…complicata per così dire”.
Quindi quando il magnificente vincitore di Ilio fece il suo ingresso a Micene accompagnato da Cassandra, la tragedia prende forma e soffia nel fuoco sulle ceneri di profezie, maledizioni e una rabbia che avrebbe fatto impallidire perfino Achille.
Clitennestra uccise sia suo marito che la principessa figlia di Priamo.
Quando, in questa storia, inizia la Vendetta degli dei?
Bella domanda, perché più che vendicarsi di un torto alle sacre leggi sembra che si divertano un sacco.
Decisamente più del dovuto.
Oreste, l’erede al trono miceneo, venne portato da un parente di Agamennone insieme a sua sorella Elettra che lo crebbe per avere vendetta per il loro padre.
Oreste per ordine di Apollo, interrogato a Delphi, uccise sua madre ed Egisto.
“Una vera tragedia questa antica legge che obbliga i figli a vendicare i loro padri!
Vedrete poi cosa accadrà quando il ragazzo verrà processato all’Areopago…
Certo, mio fratello Apollo era il suo difensore e mia sorella Athena fu chiamata a giudicare ma le Erinni avevano ragione: perché vendicare un padre è giusto mentre una madre non merita lo stesso?
Perché tutti i padri sono perfetti, forse?”
Questo retelling reinterpreta la storia della tragedia Orestea scritta da Eschilo con la quale l’autore vinse le Grandi Dionisie nel 458 a. C.
Il componimento era suddiviso in tre parti: Agamennone, Coefore e Eumenidi e vi era anche un poema satiresco: Proteo, creato per alleggerire l’atmosfera per il pubblico ormai provato dagli avvenimenti in scena.
Il Proteo è però perduto se non per qualche frammento e commenti posteriori alla sua stesura.
Dell’opera di Eschilo ci rimangono la sua potenza, i suoi insegnamenti e la profondità dei suoi protagonisti.
E questo libro? Cosa ci rimane de La vendetta degli dei?
Beh, ci sono molti buoni spunti, la storia la conosciamo, ma manca di…
Manca di profondità, manca l’abisso, non si sente la disperazione nella penna dell’autrice.
Non basta la tragedia già presente nella storia per rendere La Tragedia.
Quel poco di mordente che queste pagine avevano lo hanno perduto nelle ultime pagine: il processo a Oreste sembra un teatrino con una colonna sonora che ricorda programmi in onda negli anni ‘80 su quella vostra scatola animata.
L’autrice non menziona il Proteo ma se nella terza parte del libro la sua intenzione era quella di donare un po’ di leggerezza narrando con un tono da commedia i fatti del processo…l’impressione è che abbia calcato un tantino troppo la mano.
Mi è rimasto dell’amaro in bocca, il primo libro (il segreto di Medusa) era piaciuto anche ad Athena. Peccato, speriamo nelle prossime pagine sulle Amazzoni.
Volete leggere la trama de La vendetta degli dei? Seguite il questo link
Gli uomini non hanno più valore delle donne. I padri non valgono più delle madri. Pensate che un dio sarebbe qui a difendere una ragazza se questa avesse ucciso suo padre? Certo che no. Una ragazza sarebbe stata impiccata, o peggo.
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