Cose che non ho buttato via. La vita degli oggetti.

Cose che non ho buttato via. La vita degli oggetti.

Quando si perde qualcuno che in un modo o nell’altro, ha lasciato un segno nella nostra vita, non ci si abitua alla mancanza e si ricerca in ogni modo il ricordo, in questo a volte ci vengono in aiuto le Cose che non ho buttato via.


I ricordi per me hanno tante forme, un piccolo quadernetto con simboli della cabala, un cristallo, una foto sgualcita, un anello.


Ciascuno di quegli oggetti intrappola un frammento di anima a cui ho annodato un ricordo, a volte prendendoli in mano sorrido, altre volte piango.


In realtà sono una persona talmente legata ai ricordi che ho scelto di vivere in una casa che respira vite passate ad ogni mattonella, che custodisce ricordi in ogni crepa.


In questa casa ho poi aggiunto altri ricordi: i libri di mio padre.

Ogni tanto li sfoglio con la pretesa di una rivelazione, sperando di pescare un ricordo sommerso dalla polvere o di percepire un odore, una sensazione.


Alle volte mi sembra di vedere le sue dita che voltano la pagina, la forma delle unghie, la maniera unica e particolare di percepire lo spessore del foglio.


Anche per me sono tante le Cose che non ho buttato via e delle quali non mi disferò mai.


Il titolo mi ha colpito proprio per tutti i motivi che vi ho appena raccontato, avevo voglia di immergermi nella vita di qualcuno che ha saputo legare frammenti di vita ad oggetti vissuti.


Marcin Wicha ci racconta di sua madre, di attimi di vita vissuta insieme e del suo essere una donna particolarmente risoluta ed ingombrante.


Lo fa attraverso gli oggetti della sua casa.

Non scompariremo senza lasciare traccia.

E persino quando scompariremo,

rimarranno le nostre cose,

polverose barricate.

La grande libreria faceva da cornice alla vita della famiglia e ne ha assorbito le varie sfumature.


Il profilo delle copertine invecchiate, gli odori della quotidianità che il libri hanno assorbito al loro interno fondendoli insieme ai racconti.

Tutto diventa un pretesto per perdersi in un istante passato.


Wicha in Cose che non ho buttato via, ci fa conoscere i vari aspetti della madre attraverso l’analisi dei libri e si troverà a dover decidere di quali disfarsi e quali tenere.


La scelta risulta spesso molto ardua perché la madre si dilettava nel dispensare commenti per molti dei libri letti.


Scelte complicate, anche perchè il timore è quello di perdere una parte di quei ricordi oltre agli oggetti.

Ed ecco che fra le pagine l’autore si ritrova a soffermarsi su episodi a volte ironici, che aiutano a disegnare il quadro della madre.

Una donna ferma nelle sue decisioni, ma figlia di un’epoca difficile che le ha fatto indossare la corazza, che non abbassa lo sguardo di fronte a nessuno.


Si respira l’amore immenso di un figlio per la madre, la voglia di renderla felice anche dopo la sua morte, di non deluderla mai.

Mia madre non ha lasciato massime,

perle di saggezza o comandamenti.

Troppo prudente per esordire con una prima opinione,

esplodeva invece nelle risposte.

Nelle reazioni.

Nelle derisioni.

Sempre pronta a intervenire quando qualcuno si dava troppe arie.


Non pensate però che questo sia un libro triste.

Le pagine scorrono con la sensazione che lo scrittore sia sereno del descriverci i vari episodi, spesso si percepisce una velata ironia.


Devo dire che questa scelta narrativa mi ha lasciato un po’ perplessa almeno all’inizio.

Questo però è un libro fatto di sensazioni crescenti, come se l’autore stesso, nella stesura del libro, scelga di lasciare andare le briglie delle emozioni gradualmente.


Fino a raggiungere l’apice nel racconto finale.

In cui il dolore non è più velato ma diventa quasi tangibile.

La scelta narrativa di alternare i suoi pensieri confusi ai fatti che stavano accadendo, aiuta il lettore ad entrare con maggiore empatia nel suo animo.


Un libro da esplorare con i sensi più che con gli occhi e che descrive un legame che va ben oltre la vita.

Cose che non ho buttato via

Per leggere la trama clicca qui.

Le biblioteche sono la testimonianza delle nostre sconfitte di lettori. Sono pochi i libri che davvero ci sono piaciuti. Ancora meno quelli che ci continuano a piacere anche dopo una sucessiva lettura. La maggior parte sono ricordi delle persone che volevamo essere. Che facevamo finta di essere.

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Ecco il libro che ha segnato le scelte letterarie di questi primi mesi del 2023: Una minima infelicità.
Ci si può innamorare follemente di un libro?

Certamente. L’ho letto il primo giorno di questo nuovo anno e ci ho messo quasi due mesi per digerirlo, per questo pubblico la mia recensione soltanto adesso.


Le emozioni non rispettano il calendario, a volte si sente il bisogno di esternare immediatamente, nel timore che esse sfuggano via come la sabbia tra le dita e siano difficili da ritrovare attraverso il tumulto emotivo quotidiano.


Altre volte invece si insinuano sotto la pelle e strisciano in profondità, come una spina dolorosa che si fa spazio lentamente e ha bisogno di tempo prima di essere espulsa.


Questo è l’effetto che ha provocato in me Una minima infelicità: un libro dolorosamente perfetto.

Perfetto a partire dalla copertina, dolce e insignificante solo all’apparenza, a riprova che questo è un libro per chi non ha fretta.


Se ti prendi il tempo per osservarla noterai occhi profondi, duri e velati da una tristezza eterna.

Occhi che si mescolano ai gesti quotidiani del caffè al mattino, del maglione che pizzica, della vita che scorre silenziosa e inesorabile.


Infatti Annetta è proprio così: silenzioso personaggio che nessuno guarda veramente, lei per me è la portavoce della categoria degli anonimi, di tutte quelle persone che al primo sguardo non degneresti di una minima attenzione eppure …


Annetta è tanto, è un microcosmo racchiuso in un piccolo, esile corpo che si rifiuta di crescere, è il silenzio di chi dentro di sé nutre un amore sconfinato e si accontenta di raggiungere anche solo l’ombra della sua mamma amata, di sentire il suo fiato la notte
.

Imparai negli anni a stare come una cosa piccola e morta sotto gli occhi immobili di mia madre.

La più piccola e morta di tutte le cose.

In realtà lei non desidera altro: non dare fastidio pur di starle accanto.

Al contrario Sofia Vivier, sua madre, è tanto grande e luminosa agli occhi del modo, bella e vivace, circondata da una luce che però non riesce a celare la sua tristezza.

Sofia è infatti creatrice di una vita che la fagociterà pian piano, lasciando un guscio vuoto che Anna non smetterà mai di amare.


Le foto di momenti della sua vita scorrono fra le pagine e i ricordi si confondono alle emozioni.

In questa, una donna che non conosco guarda in basso,

verso di me.

E i miei occhi sembrano dire: dove sei mamma?

Che senso ha questo tormento?

Annetta non sa espandersi in questo mondo anzi, preferisce rimpicciolirsi, ridurre i suoi spazi, limitare il suo orizzonte, vivere assaggi della vita degli altri e quando gli altri scompaiono diventare sempre meno, fino a ridursi al nocciolo, fino a diventare fine.


Un nocciolo che ha racchiuso in se la perfezione, ho amato Annetta e la sua nonna che danzava senza pudore, forse perché in cuor mio, amo profondamente chi sa essere puro, senza corruzione esterna, senza lasciarsi influenzare dal mondo che ci vuole tutti simili, performanti, in continua competizione e scalata verso il successo.


Non ci sono scalate per Anna, ma un sottoscala nel quale si può essere autentici nel proprio immenso, perfetto universo.


Carmen Verde con Una minima infelicità ha creato una meravigliosa opera, ciò che ho amato follemente ( come se non bastasse l’amore viscerale che ho provato per questa storia) è la scelta di uno stile narrativo privo di fronzoli, estremamente diretto e curato anche nel mostrarci “la rinuncia sulla pagina”.


Questo è il suo libro di esordio, mi aspetto veramente tanto dal genio di questa scrittrice.

Una minima infelicità è candidato al Premio Strega, qui le motivazioni.
Io faccio il tifo per lei!

Clicca qui per leggere la trama

Se sei interessato a recensioni di libri che trattano dinamiche familiari, ti invito a leggere queste:

Del nostro meglio di Carmela Scotti

Nuoto libero di Julie Otsuka

Baci all’inferno di Ariana Harwicz

Lasciate che i giaggioli siano gialli,

che gli iris siano azzurri,

che i piccoli restino piccoli per l’eternità.

 

Il bambino e il cane. Storie di forti emozioni e legami indissolubili.

Il bambino e il cane. Storie di forti emozioni e legami indissolubili.

Buongiorno viaggiatori, Il bambino e il cane edito da Marsilio ha saputo regalarmi emozioni molto forti.

Un racconto che ha smosso in me ricordi dolorosi fin dalle prime pagine. La narrazione ha inizio nell’isola di Honshù, devastata da terremoto e tsunami, dove un ragazzo di nome Kazumasa incontra quello che diventerà un amico speciale a quattro zampe.

Ed è da questo momento che il nostro protagonista e Tamon ci regaleranno le prime emozioni.

Un cane che è in grado di donare di nuovo allegria alla madre di Kazumasa che soffre di demenza.

<<Portiamo Tamon a fare una passeggiata, tutti insieme?>> propose lui.

Mayumi annuì. <<Quando c’è Tamon, la mamma esce volentieri. Altrimenti non ne vuole sapere, starebbe sempre chiusa in casa>> rispose infilando la busta nella tasca posteriore dei jeans e togliendosi il grembiule.

Ma quando Kazumasa perde la vita, la madre e la sorella non possono più occuparsi di lui perchè già faticavano a sopravvivere.

Inizia per il cane un viaggio che lo porterà a conoscere quelli che saranno i suoi nuovi padroni e vi posso assicurare che ognuna di queste storie sarà in grado di commuovere.

Ne Il bambino e il cane incontriamo Tamon capace di donare amore incondizionato, dotato di un sesto senso capace di captare i vari stati d’animo.

Una storia che ha risvegliato il ricordo di un grande dolore e mi ha fatto sentire la mancanza del mio pelosetto che è stato al mio fianco per diciassette anni e che mi ha lasciato a causa del suo cuoricino fragile mandando in pezzi il mio.

Nonostante questa parentesi dolorosa, questa storia mi ha trasmesso tanta speranza rimarcando nel racconto di ogni viaggio di Tamon cosa significano le parole amicizia, legame e coraggio.

Se amate i racconti con protagonisti a quattro zampe vi consiglio di non perdere questo libro.

Il bambino e il cane

Se vuoi leggere la trama de Il bambino e il cane clicca qui

Tamon era molto diverso. 

veva fiducia nella persona che lo portava al guinzaglio e camminava tranquillo, senza chiedere nulla.

Come un compagno. 

Del nostro meglio. Di famiglia, amore e violenza.

Del nostro meglio. Di famiglia, amore e violenza.

Non siamo noi a scegliere il viaggio più importante, quello della vita; spesso determinati fattori ne condizionano irrimediabilmente gli eventi, lasciando solchi indelebili e troppo difficili da scavalcare, a noi non resta che fare Del nostro meglio.

Una narrazione che trascina senza mezzi termini dentro il mondo di Claudia e non c’è modo di sfuggire agli appiccicosi tentacoli della sua vita.


Si può essere figli di un piano prestabilito e non del desiderio amare, di un’ossessione delirante che antepone ogni sentimento ad un bisogno unico e costante.

Più che di passionali notti d’amore, Claudia è figlia di una partita a Risiko, di una pianificazione perfettamente calcolata, pur di imbrigliare l’uomo che le sta pian piano sottraendo la vita.

Una famiglia benestante, lezioni di violino, rigore e severità da parte di mamma, amore e carezze da parte di papà, quando era presente.


La mamma sempre impeccabile e truccata fin dal mattino, arrabbiata col mondo, arrabbiata con Claudia che con la sua nascita non ha risolto il suo problema.


Eppure Claudia non sa che il trucco della mamma é perfetto perché ogni mattina deve nascondere i lividi delle percosse, delle mani che le stringono il collo fino a toglierle il fiato.


Claudia bambina si nasconde dentro la sua bolla, fatta di Peter Pan che la porta lontano, la rassicura sussurrandole che il papà le vuole bene, che i tonfi sordi che si sentono nella camera accanto non sono niente che le interessa.


Poi la bolla scoppia, le perle di mamma si spargono nel pavimento, l’odore di alcool è insopportabile e papà muore.


Claudia da quel giorno si chiama Colpa.

Da allora non ho voluto altro che qualcuno che mi chiamasse mamma

solo per estrarre dalle macerie quella parola e darle una bella lucidata,

per sentirmela attribuire, visto che io non sapevo più pronunciarla.

Il cuore della bambina non ha più posto per altro dolore e si nasconde dietro corazze di sballo e tatuaggi, di smalto nero ed eccessi, alla ricerca di nuove emozioni, alla ricerca di se stessa, alla ricerca di un sogno che la tenga lontana da tutta la merda che si sente attaccata addosso.


Del nostro meglio è un romanzo dal grande impatto emotivo, mentre lo leggevo il mio subconscio continuava ad offrirmi vie di fuga consigliandomi di leggere romanzi fantasy, perché spesso il dolore era troppo forte da sopportare.


Non ci sono né vincitori né vinti in Del nostro meglio, ci sono persone lacerate dal dolore, dipendenti e deviate mentalmente che finiscono con l’essere carnefici più o meno consapevoli.


Claudia e Caterina, figlia e madre, vittima e carnefice, ma non solo, c’è molto di più.

C’è chi sceglie la vita, nonostante questa le abbia riservato solo grandi sofferenze e c’è chi sceglie la morte, trasformandosi in un’enorme bolla di dolore e risentimento.

No,

l’amore deve avere ossa dure per la cattiva sorte,

perché nella buona sono bravi tutti.

Una partita molto dolorosa che pagina dopo pagina mi ha fatto sprofondare e riflettere sulle dinamiche morbose di una famiglia.
Ci sono poi dei personaggi di cui mi sono innamorata perdutamente, come la zia Dora e i suoi folli completi!

Del nostro meglio è candidato al Premio Strega, leggi qui le motivazioni.

leggi qui la trama

         Anche questa ennesima ferita,

esposta ai raggi del tempo,

finì per asciugarsi

La vita intima. fra ironia e trasformazione si cela il quesito di chi siamo veramente.

La vita intima. fra ironia e trasformazione si cela il quesito di chi siamo veramente.

Mi domandavo cari viaggiatori, se vi è mai capitato di non decidere la meta, di lasciavi semplicemente trasportare; io questa volta ho deciso di lasciar fare ai libri e la corrente mi ha portato verso La vita intima di Nicolò Ammaniti.

Un 2023 che ha inizio all’insegna di letture inusuali, mi sono trovata coinvolta e a volte torbidamente impantanata all’interno di nuovi stili narrativi, intricate emozioni che spesso spolverano aspetti di un vissuto volutamente lasciato in un angolo.


La vita intima
arriva a sorpresa, un sussurro di un’amica che mi dice “Prova, secondo me ti piace molto e almeno molli per un attimo certi mallopponi!”


Ho provato e ancora assaggio dalle mie dita il sapore del mare.


Niccolò Ammaniti sorprende con una prosa eccellente e ironia pungente, spesso mi sono ritrovata a sorridere con gli occhi fissi al cielo, altre volte il sorriso diventa un ghigno amaro che fa sollevare soltanto un lato della bocca.


Ci si può illudere di essere felici senza sospettare minimamente di affogare nell’infelicità, vero Maria Cristina?

Chi meglio di te, la donna fra le donne: bellezza, posizione, denaro, tutto ciò che desideri viene esaudito in un attimo.


Eppure Maria Cristina non pensa, galleggia nella vita dentro una bolla che mitiga gli urti e le emozioni.


I ricordi dell’infanzia sono nebbiosi e lontani, quasi quelli di un’altra vita, come se non gli appartenessero.
Maria Tristina la chiamano, la donna più bella del mondo, la moglie del presidente del consiglio, ricercatissima dalla stampa e dai gossip.


Avete presente quando si sta sott’acqua?

I suoni sono ovattati e distanti. Così sono gli eventi per questa donna, sembra che niente le appartenga veramente.


Ammaniti però la spoglia pian piano e un velo dopo l’altro la costringe a mettersi completamente nuda di fronte a quel passato che si trascina come un peso.


Le tornano alla mente i motivi che la spingono a galleggiare passivamente:

“ Ricorda Maria Cristina che la vita ti ha fatto dono di un bel corpo, ma dentro sei piena di acqua minerale, dunque giocati questa carta finché puoi”


Nella vita intima l’autore sembra divertirsi molto nel caratterizzare questa donna così perfetta e fragile, ma sconosciuta perfino a se stessa. Una donna che verrà spinta da una potente sberla a sporcarsi le unghie per scavare nella melma dei suoi ricordi.

Quante volte nella vita sappiamo di essere così prossimi alla verità da poter allungare una mano,

afferrarla e come una farfalla chiuderla nel palmo.

E invece facciamo un passo indietro certi che tra quei due petali colorati si nasconda l’orrore di quelle antenne ramificate,

di quelle zampette di mosca, di quella proboscide da zanzara.

Ed è giusto così.

Altre volte la verità urla,

ci chiama e ci implora di ascoltarla,

ci chiede di restituite senso alle cose e far luce a una vita orba.

E allora rischiamo tutto per amore suo.”

Perché nella tua agenda fitta di impegni, cara Maria Cristina, di sedute dal parrucchiere, di ore di fitness e serate di gala, volutamente non trovi lo spazio per affondare dentro ciò che eri?


Per ricordare di quell’estate in barca, della pelle bruciata e dei desideri spinti al limite, di tuo fratello che per vincere una nuova sfida con se stesso non è più tornato a galla?


Dov’è adesso tuo fratello? E tutti i tuoi sogni?


Forse sono stretti tra le chele di una grande aragosta che da quando eri poco più che bambina, non smette di stringere il tuo collo?


Maria Cristina guarda avanti e cerca di non sentire dolore, di non pensare, diventa lo strumento indispensabile di chi la vuole mettere in mostra.


Non mi spingerò oltre nella descrizione di questo splendido romanzo anche perché non sono gli eventi ciò che mi hanno colpito maggiormente, bensì una narrazione incredibile, una satira esplosiva e nel contempo non eccessiva, irriverente, tagliente ed umanamente erotica da rendere ogni pagina un frutto succoso nel quale affondare le labbra.

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Le storie, quelle importanti, quelle che cambiano i destini, sono fiumi impetuosi, difficili da imbrigliare.

Tu gli metti un ostacolo e loro deviano, trovano un’altra via per fluire.

La casa delle luci. Carrisi adora disorientare i suoi lettori.

La casa delle luci. Carrisi adora disorientare i suoi lettori.

Tra luci e ombre si dipana un nuovo mistero per Carrisi: La casa delle Luci.

Viaggiatori siete pronti per il terzo misterioso viaggio all’interno delle case, accompagnati da Pietro Gerber?

Per il viaggiatore smarrito che è capitato qui senza conoscere i precedenti libri di Carrisi, mi sembra doverosa una premessa.

Nella casa delle voci conosciamo Pietro Gerber, psicologo specializzato in ipnosi per bambini, un personaggio caleidoscopico ed estremamente problematico che si evolverà insieme ai tre libri.

A differenza degli altri romanzi di Carrisi (ad esempio Io sono l’abisso) , più orientati verso la risoluzione di casi di crimini che coinvolgono serial killer, La casa delle voci e in generale tutta la trilogia, è ad alto contenuto psicologico.

Nel primo libro Gerber si trova a dover ipnotizzare Hanna che, nonostante sia un adulta, il trauma dentro il quale scavare è avvenuto quando era bambina.

Carrisi ci ha sempre abituato a storie avvincenti e ritmi molto serrati, ma nonostante qualche pregio, come la narrazione scorrevole, le trame avvincenti ed i personaggi ben caratterizzati, devo ammettere che il finale mi ha lasciato l’amaro in bocca, lasciandomi con più domande che risposte.

Ho faticato ad ingoiare questo rospo, sono sincera.

Nella casa senza ricordi, il secondo volume, ho preso consapevolezza di quanto a Carrisi piaccia disorientare i lettori e farli “arrabbiare” con un finale estremamente aperto e che ci lascia con mille dubbi.

Il paziente di Gerber, in questo caso si chiama Nico, un bambino che non parla e non ricorda nulla, soprattutto dove sia la sua mamma.

È proprio su questa amnesia che Gerber dovrà lavorare.

Eccoci giunti finalmente all’ultimo libro, vero protagonista di questa recensione.

La casa delle luci è il tredicesimo romanzo di Carrisi.

Pietro Gerber è ormai conosciuto come l’addormentatore dei bambini, un soprannome macabro, ma estremamente adatto, poiché induce i bambini ad uno stato di trance profondo per poter fare emergere i loro traumi sepolti ed aiutarli a trovare una soluzione.

Firenze, Gerber si trova ad attraversare un momento particolarmente difficile, tanto che inizia a mettere in dubbio le sue capacità lavorative.

Dopo il caso dell’Affabulatore, Gerber non era più stato più lo stesso. E tutti se n’ erano accorti.

Fino all’arrivo di Eva che ha estremamente bisogno del suo aiuto.

Pietro nutre diversi dubbi riguardo questo caso che reputa inadatto alle sue competenze.

L’addormentatore di bambini è sfinito e crede poco nelle sue capacità, vorrebbe rinunciare, ma la descrizione del un macabro amico immaginario di Eva stuzzica i suoi sensi.

Ciò che non si aspetta sono i risvolti che prendono le sedute di ipnosi, facendo emergere una personalità a lui conosciuta.

Da questo momento in poi non riuscirete più a staccarvi dalle pagine.

Il racconto si fa estremamente coinvolgente e saremo spronati a scoprire quale legame si cela fra Gerber e l’amico immaginario di Eva.

Fra i tre romanzi della trilogia ho trovato questo più nelle mie corde, il racconto è molto incalzante e si susseguono scene forti ed inquietanti.

Ovviamente non mi spingerò oltre, perché voglio che anche voi proviate lo stesso senso di profonda angoscia, come è capitato a me.

Finalmente un finale che lascia poco in sospeso, se non alcuni particolari che riguardano i due libri precedenti.

I tre libri possono essere letti in ordine cronologico, ma volendo anche singolarmente, io comunque lo sconsiglio.

Pur essendo un libro che ho letto con grande trasporto, continuo a preferire la serie de “Il suggeritore”.

La casa delle luci

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Altri miei articoli? I segreti di Tutankhamon, FINCHé NON APRIRAI QUEL LIBRO

Lo psicologo sapeva che il peggio doveva ancora arrivare. La ragazza sembrava davvero spaventata. “A volte, accadeva anche nel cuore della notte: Eva si svegliava per giocare con lui.”