Il segreto della balena. Avventure fra le onde e salvaguardia degli animali.

Il segreto della balena. Avventure fra le onde e salvaguardia degli animali.

Samuele è il protagonista di questa storia, un bambino che ha la fortuna di poter viaggiare insieme alla sua mamma: Sara che di mestiere fa l’etologa; Il segreto della balena li porterà verso una nuova avventura in Nuova Zelanda.

Si tratta di un racconto per giovani ragazzi a patto che siano pronti a vivere con intensità le imprese del piccolo Samuele.

Samuele è un avventuriero ed un attento osservatore, non gli sfugge nemmeno un dettaglio di cose o persone, affamato di novità e di conoscenza.

Ogni occasione è quella giusta per vivere con la sua mamma una nuova avventura, per esplorare nuovi luoghi e conoscere persone ed animali.

Così accade anche questa volta: lui e la mamma si recano in Nuova Zelanda, perché qualcosa di brutto sta accadendo a questi meravigliosi cetacei.

La mamma di Samuele e il suo amico Marco, esperto di specie marine, iniziano le indagini.

Nel frattempo Samuele conosce Suki, altra giovane avventuriera.

I bambini, attratti dalla cuoca Georgie e dai suoi particolari tatuaggi, inizieranno a conoscere le tradizioni del popolo Maori e le loro leggende.

Per Samuele sono le vacanze di Pasqua, ma il ragazzo trascura volentieri i suoi obblighi scolastici per lasciare spazio alla conoscenza di questo meraviglioso luogo.

Un racconto che si divide in una duplice avventura: le indagini degli adulti e le scoperte dei due giovani esploratori.

Non solo divertimento però, anche la dolorosa consapevolezza del delicato ecosistema marino e di quanto la mano dell’uomo rischia di comprometterlo.

Una lettura scorrevole ed entusiasmante, le illustrazioni sono molto delicate, mi ha colpito molto il fatto che a tutti i personaggi illustrati manca il volto, non è però motivo di disturbo, perché il racconto è talmente coinvolgente da portare il lettore ad immaginare tutto.

Ho amato in particolar modo il fatto che Sara non menta mai a suo figlio, nonostante la verità non sia facile da digerire.

Lei preferisce essere sempre onesta per far comprendere al ragazzo l’importanza della situazione e tutti gli aspetti del suo lavoro.

Il segreto della balena

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Altri libri recensiti da Sara: Tom e Pippo combinano un guaio, PIù VELOCE DI TUTTI

-Le hanno uccise? – Strillò Samu – tu non lo avresti mai permesso-

Samuele ascoltami. Riportare in mare una balena non è una cosa semplice. (…) Se i veterinari non fossero intervenuti, le balene sarebbero comunque morte, solo soffrendo molto di più-

Il secondo piano. una storia di ebrei, suore, coraggio e carità

Il secondo piano. una storia di ebrei, suore, coraggio e carità

27 gennaio, il giorno in cui si prendono le vanghe e si riesuma il ricordo delle trincee, delle fosse comuni, dei corpi lacerati, affamati, abusati; ma Il Secondo piano di un monastero conserva ancora la luce della speranza.


Un giorno che non può, non deve essere solo un giorno, ma si sa, per convenzione e comodità occorre attribuirgli una data.


Proprio il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’armata rossa arrivarono nella città polacca di Oświęcim, per primi a liberare i pochi superstiti.


In tedesco Oświęcim si chiama Auschwitz, loro furono i primi a venire a conoscenza dell’orrore del genocidio nazista.


Tra le vie del ghetto di questi fatti non si aveva la certezza, ma durante l’ultimo shabbat prima dello sgombero le famiglie avevano un freddo più intenso, misto a paura di qualcosa che non conoscevano completamente.


Dicono che stanno arrivando-

E sono arrivati con tutta la loro devastazione.


Alcuni sono stati informati prima e si sono nascosti nelle campagne, gli altri sono stati spinti a forza dentro le camionette.
Urla, percosse, terrore nella notte.
Smarrimento.

Il secondo piano è quello di un monastero di suore francescane votate alla carità.


Le finestre del secondo piano sono chiuse,

-C’è disordine dicono- ,
ma anche quando il sole splende arrogante fra le bombe, non riesce ad entrare nel Secondo piano.


Le sorelle fanno la carità in ogni modo possibile, in tempo di guerra, con le strade vuote e soltanto persone nascoste negli angoli più bui, loro affrontano le guardie tedesche.


Dentro il monastero di via Poggio Moiano le notizie arrivano filtrate dal parroco della chiesa accanto e le preghiere alla Vergine si innalzano sempre più accorate affinché possano arrivare i giorni di pace.


Non ci sono solo preghiere nel monastero dove Madre Ignazia è la Badessa.

Il pane basta appena, viene diviso in pezzi piccoli, sempre più piccoli, a volte viene cosparso da un velo di marmellata, quella che doveva essere barattata con le uova, per rendere felice chi, a mala pena, riesce a stare in silenzio.


C’è solo una scala a separarli dalla guerra, dei gradini che sono garanzia di sopravvivenza a costo di sacrifici.


In situazioni di emergenza ci sono scelte importanti da fare, di comune accordo le regole si possono trasgredire in virtù dell’umanità e del sostegno reciproco.


I ritmi della vita del monastero si discostano minimamente da quelli usuali: preghiera, lavoro, cura dell’orto e del giardino, ancora preghiera,cura dell’altare, ricamo;

e poi ci sono le scale del secondo piano che vengono calpestate spesso, ma senza dare nell’occhio.

I romanzi che parlano di questo periodo storico sono spesso caratterizzati da molta violenza, Ritanna Armeni sceglie di dedicarsi ad un altro aspetto, più nascosto, anzi quasi invisibile: i rapporti umani.


In un periodo in cui non c’era tempo per i sentimentalismi perché bisognava cercare di salvare la pelle, ci sono piccoli mondi, in questo caso al femminile, dove la priorità è quella di sostenersi e sostenere chi è perseguitato.


Un romanzo dai toni delicati, per quanto lo si può essere in tempo di guerra, parole che sembrano entrare in punta di piedi e con discrezione dentro un luogo sacro, che raccontano di scelte di vita, di sacrifici compiuti con gioia, anche a costo della propria vita.


Ritanna Armeni scrive uno splendido romanzo fatto di coraggio e silenzio, fatto di fede vera, quella che vede Dio negli occhi delle persone e non solo nelle statue degli altari.

Un romanzo di sostegno femminile.

Un consiglio, non trascurate la postfazione!

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Parole di Raùl Nieto Guridi. l’arte in un libro.

Parole di Raùl Nieto Guridi. l’arte in un libro.

Galleggiare tra fluidi confusi e torbidi di scontate o inattese Parole, troppo spesso poco veritiere, altrettanto spesso scarsa espressione dei pensieri.

Eppure basta cercare la corrente giusta, quella che tira sotto, nei pensieri oscuri e nei silenzi che succhiano l’ossigeno direttamente dai polmoni, lasciandoci senza fiato, alla disperata ricerca di un nuovo respiro, di una nuova, vera parola.

Parole è un albo illustrato da Raùl Nieto Guridi, un tuffo nel colore pieno, deciso, quasi un’impronta dentro la testa.

Visi, profili, bocche serrate, bocche spalancate e fiato, tanto fiato per buttare fuori tutto ciò che è stato seppellito.

I visi si guardano, comunicando in mille linguaggi, uno di fronte all’altro, a testa in giù, visi che sovrastano e visi che si nascondono, illustrati in una sapiente ed espressiva gradazione di colore.

Ci sono tentativi, urla, incapacità ad esprimersi, confusione, risentimento, sensi di colpa e sempre di più ci si sente travolti dal vortice delle emozioni.

Non conta il numero di parole, ma l’intensità con cui esse vengono scagliate contro le nostre orecchie.

Allora ecco che ogni immagine diventa fucina ardente di emozioni, trasformazione continua, crescita personale e caduta nel baratro di nuove, dolorose consapevolezze.

Guridi è uno sperimentatore, un esploratore dell’arte stampata, una freccia in grado di bucare il foglio ed insinuarsi, pagina dopo pagina, all’interno della nostra mente espandendosi gradualmente, costringendoci a sentire anche quando vogliamo solo infilare le dita dentro le orecchie.

Un cammino dentro tutto ciò che non ci siamo mai concessi di dire, dolorosissimo, dentro l’anonimato di visi comuni, un nodo che solo noi possiamo decidere se sciogliere o lasciare marcire dentro.

In silenzio chiudo l’ultima pagina, identica alla prima, mi sembra un invito a ricominciare in ogni senso, mi sento dentro una spirale dove ogni nuovo giro non è mai uguale al precedente, o forse lo è, ma io non sono già più la stessa.

Non solo un albo illustrato, un microcosmo, un pezzo d’arte da custodire gelosamente.

Parole

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Altri suggerimenti? Leo cosa succede? Una guida alle emozioni per i nostri figli.

L’isola dei morti. Arnold Böcklin credeva fosse un luogo tranquillo.

L’isola dei morti. Arnold Böcklin credeva fosse un luogo tranquillo.

Se vi portassi a fare un viaggio a poche miglia dalla costa ligure? Andiamo a Zoagli, una piccola isola in cui non va mai nessuno e che è apparsa nelle tele di Arnold Böcklin. La chiamano L’isola dei morti, anche se il pittore la dipinse chiamandola “un luogo tranquillo”. Io l’ho scoperta quando Fabrizio Valenza mi ha donato una copia del suo libro: L’isola dei morti.

Ora che vi ho affascinato con questa tela dal fascino mistico e che siete volontariamente con me su questa barchetta in mezzo al mare, ora che non potete tornare indietro se non a nuoto, vi informo che è il 1885 e che non esistono il GPS e il cellulare e sull’isola non c’è che UN telefono ma l’unico numero che potete comporre è quello per richiamare il vostro Caronte.

Non preoccupatevi, né Dante né Virgilio verranno a salvarvi e, in fondo, non ce n’è bisogno. Andiamo in un posto tranquillo.

Di recente hanno tutti una passione morbosa per Mercoledì di Tim Burton ma io la amavo quando ancora il pubblico internazionale la riteneva la degna figlia di una coppia fuori testa, quando se ti chiamavano Mercoledì o Morticia era per insultarti e non per farti un complimento.

E questo cosa centra con L’isola dei morti?

Niente ma volevo dirvi che quando si parla di comportamenti riguardo alla morte io ci sono.

Un archeologo che non osa andare dove va un antropologo culturale sarebbe lo zimbello di tutti.

Potete accorgervene già dal dipinto, chi non ha pensato ai Re stregoni di Angmar guardando quelle sponde, evidentemente non ha una passione per Tolkien e forse nemmeno per Tim Burton, ma di fronte a voi ci sono grotte che sembrano tombe.

L'isola dei morti

Andrea Nascimbeni è un antropologo e decide di voler indagare sul luogo, sulle tradizioni del luogo in merito alle inumazioni e come queste siano rimaste intatte nonostante il cattolicesimo.

Ve l’ho già detto che L’isola dei morti non è una meta turistica?

Il nostro studioso si accorge presto che c’è qualcosa di molto più che misterioso in questa isola. Sì, perché nessuno ne vuole parlare e chiunque fa di tutto per distoglierlo dalla sua intenzione.

Vi svelo in segreto: nessuno può dire a uno studioso dove non può andare a ficcare il naso. Se conoscete Indiana Jones o Lara Croft lo sapete bene.

Se avete sentito qualche diceria sulla spedizione che scoprì la tomba di Tutankhamon, ecco ora sapete anche che può non andare come speravate. Ma la storia sulla maledizione non è vera, non credete a tutto diamine.

Andrea, che forse ha più spirito di sopravvivenza di quanto lui stesso crede, si presenta a Rosina (che è la proprietaria dell’unico posto che potete chiamare locanda) con un nome diverso.

Forse perché qualcosa, oltre alle rimostranze di tutti riguardo al viaggio, non lo convince.

Nemmeno la locandiera lo vuole lì. Andrea insiste a chiamare il luogo L’isola dei morti, Rosina dice che per gli abitanti quel luogo non ha nome.

La locanda si chiama L’ultimo posto, vi è chiaro?

In effetti l’antropologia del luogo è singolare e il Nascimbeni se ne accorge prestissimo.

Benedetto ragazzo, una delle prime raccomandazioni che gli è stata fatta è quella di non farsi vedere dagli abitanti; la seconda è di andarsene prima del 32 di ottobre.

No, non mi sono sbagliata.

Durante il vagabondare del nostro personaggio, si è profilata davanti ai suoi occhi una pletora di individui che potrebbero farvi giungere ad una conclusione sbagliata, è successo anche a me.

Ma, come vi dicevo prima, non bisogna credere a tutto.

L’isola dei morti non si chiama così per il motivo che credete voi.

Alti cipressi adombrano il teatro di camere funebri che Andrea non tarda a trovare a caro prezzo.

Tra tutte le ipotesi che potrebbero giustificare una tale consuetudine funeraria, non sono sicura che il sesto senso di Andrea abbia subodorato quello esatto.

Io lo avevo immaginato? Sapete, quando noi studiosi siamo abituati a conoscere le abitudini di popoli molto antichi, anche quando questi popoli delle loro abitudini non ci hanno lasciato nulla se non i luoghi, ci capita spesso di fare la cosa più semplice: ovvero metterli in correlazione.

L’Isola dei morti non ha abitudini diverse da altre culture, solo che, per il nostro cervello, la possibilità che queste si verifichino in una società occidentale e sotto al sole della cattolicissima chiesa di Roma, rende la supposizione improbabile.

Quindi se una cosa sembra improbabile, viene scartata e capita di fare la figura degli sciocchi. Può capitare che alla fine tocchi riscrivere la storia delle scoperte sull’Umanità, non è una tragedia.

L’isola dei morti è antica e vive nel mondo al tempo presente.

Insomma, se nessuno vuole che gli esterni si facciano gli affari loro una ragione ci deve essere, giusto?

Quando la scopriremo sappiate che qualcuno deve chiamare Caronte, che si chiama Andrea anche lui, e deve farlo anche in fretta prima che succeda l’irreparabile.

Vi avevo avvertito che qui urlare AIUTO non sarebbe servito, vero?

L'isola dei morti

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Mi auguro che ciò che leggerete nelle seguenti pagine, a voi solo dirette e non per gli occhi della Scienza, non vi induca a giudicarmi, ma che, anzi, possano muovervi a pietà della mia vita e della disperazione che la corrode.

Nuoto libero. Meraviglia narrativa nell’amore di una figlia.

Nuoto libero. Meraviglia narrativa nell’amore di una figlia.

Liste infinite, desideri, programmi, poi l’anno arriva al termine, l’unico desiderio che ho è porre la mia attenzione su un libro che mi faccia galleggiare, sostenendomi in un liquido amniotico di cui non vorrei perdere nemmeno una goccia: Nuoto libero.


Così mi ha colta impreparata, senza le infradito per la piscina e infreddolita per lo sbalzo termico.

Il mio Nuoto libero nel mare di libri che avevo scelto ha subito una brusca frenata dentro una piscina.


L’esigenza di vedere il fondo quando mi accingo a nuotare in mare aperto è fondamentale per me, un’atavica paura dell’oscurità manifesta che niente ha a che vedere con quelle ombre quotidiane che spesso fanno molta più paura.


A volte il fondo non si vede lo stesso, anche se è a pochi metri di distanza, dentro una piscina sotterranea.

Capita però che dentro quel liquido ci siano molto più che corpi galleggianti, e che, giorno dopo giorno, la piscina stessa diventi un microcosmo perfetto nel quale sprofondare.

Quando le orecchie si tappano per evitare che l’acqua vi penetri all’interno, tutto appare protetto da una bolla : i rumori ovattati producono il giusto distacco dagli altri natanti, la diversa gravità che concede ai corpi movimenti inusuali rispetto alla terraferma ci illude che forse, potremmo anche azzardarci a desiderare un paio di ali, o forse che camminare e lavorare non è l’unico destino per certi esseri umani.


Nuoto libero e pensieri costretti dentro le cuffie da bagno o compressi in costumi a righe, pensieri ordinati in corsie per i più veloci, per gli ex olimpionici o per chi macina vasche per non macinare risentimenti.


Tutto perfettamente ordinato e, se qualcosa dovesse sostare oltre l’orario prestabilito, il bagnino provvederà immediatamente a ripescarlo col retino per farlo sparire prima dell’arrivo dei prossimi bagnanti.


Abbonamento annuale per dare ossigeno ad una vita impossibile da vivere solo in superficie.

E poi la crepa, ci puoi nuotare intorno o fare finta di non vederla, ma tu a lei non puoi sfuggire.


Il Nuoto libero non conforta più, è l’inizio di un cambiamento inaspettato, di un gorgo che minaccia di ingoiarci tutti.

E ogni volta che ci nuoti sopra, o che ne senti parlare da qualcun altro, la crepa si incide più in profondità nei circuiti neurali del tuo cervello.
E da quel momento non riesci più a togliertela di dosso.

Julie Otsuka, autrice di Nuoto Libero, dirige meravigliosamente la prima parte di questo libro, descrivendo minuziosamente aspetti, ritualità e abitudini degli “abitanti” di una piscina sotterranea , metafora della ricerca di svago dalla vita quotidiana e non solo.


Nuoto libero non è solo questo, la Otsuka ci catapulta in una seconda parte ancora più ipnotica, dove lo stretto legame fra madre e figlia diventa osservazione diretta e costante del decadimento della mente e di chi le sta intorno.


La malattia, raccontata secondo una strategia narrativa che si lega indissolubilmente allo svanire dei ricordi e, parola dopo parola, trascina nell’oblio della parola stessa.


Un capolavoro narrativo, un salto dimensionale fra la quotidianità e i pensieri, perché i salti non sono solo quelli olimpionici, ma anche quelli fra le strisce pedonali o fra le corsie del supermercato, fra la preparazione della cena e lo scordare di chiudere il gas.


Non ricordo quando ho iniziato a dimenticare, ma nella casa di cura Bellavista lo posso fare perché qui pensano loro per me.

Ricorda il suo nome. Ricorda il nome del presidente. Ricorda il nome del cane del presidente.
Ricorda in quale città vive. E in quale via. E in quale casa.
Quella con il grande ulivo dove la strada fa una curva. Ricorda che un tempo eri sposata, ma si rifiuta di ricordare il nome del tuo ex marito.

Essenziale ma mai freddo e impersonale, immediato e devastante, un libro che lascia filtrare le emozioni attraverso una crepa, per evitare che il dolore ci uccida.


E’ terminato l’anno ma non il ricordo dell’acqua clorata sulla pelle, ormai la piscina è chiusa e i ricordi sono sempre più lontani, ma questo libro ha aperto la porta a nuove forme di racconto di cui non voglio più fare a meno.

Per leggere la trama clicca qui.


Se sei interessato a leggere altre recensioni improntate su rapporti familiari, specialmente quelli tra madre e figli, ti invito a leggere anche Baci all’inferno.

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Libere. Circe e le altre. Libere non è la parola che userei.

Vi capita mai di guardare i libri che avete comprato e dire: “Questo è il momento in cui ti leggerò!”? Per me è arrivato il momento di leggere Libere. Circe e le altre di Sabina Colloredo.

Dopo aver letto qualche libro sui retelling mitologici ero, come immaginate sia ovvio, preparata all’argomento.

Circe di Madeline Miller è uno dei libri più venduti degli ultimi anni e quindi la sua protagonista è sempre sulla cresta dell’onda e, infatti, non so quanto per caso, la figlia di Helios ed esule ad Eea, è la prima delle libere della Colloredo.

Circe vive esule in un’isola in cui è regina, giudice e carnefice di coloro che approdano sulle sponde del suo regno. Ha numerose doti, di cui immagino che molti di voi siano ormai edotti.

Circe è la “strega” più famosa dell’antichità classica.

Non avete bisogno che vi dica per quale motivo fosse temuta dagli umani, volete forse essere trasformati in un qualche animale?

Gli dèi la temevano per la sua arguzia, le sue abilità con gli incantesimi e la conoscenza delle erbe. La temevano perché, nonostante fosse esule dalle sale degli dèi e donna, Circe era libera di dire quello che voleva e fare ciò che desiderava con la sua immortalità.

Fino ad un certo punto.

Tutte le ninfe le venivano inviate per ricevere insegnamenti e tornare poi ai loro compiti di immortali, piene di conoscenza e finalmente Libere.

Anche se… Libere non è la parola che io userei.

Né Circe né le altre potevano definirsi Libere.

La Libertà è cosa ben diversa dalla Consapevolezza.

La seconda donna, una delle altre dopo la maga innamorata di Ulisse e schiava del destino, è un personaggio di cui non si è ancora parlato molto nella letteratura degli ultimi anni: Ifigenia.

La ragazza era figlia di Clitennestra e Agamennone. La sua è una storia interessante e davvero triste.

Prima delle figlie del re di Micene, uno degli Atridi, il vero motore della guerra contro Troia, Ifigenia era una giovane innamorata della vita e, nonostante le asprezze dei suoi genitori, era una figlia devota.

Quando le venne presentata la possibilità di sposare l’eroe più famoso e più desiderato, dalle donne della sua epoca, la figlia di Agamennone non esitò a proclamare la sua volontà di rispondere alla chiamata del padre.

L’Atride era fermo sulle sponde di un’isola. A fare cosa? Aspettare che Artemide lo lasciasse partire per prendere le mura della città di Priamo.

Ifigenia non sapeva che non avrebbe sposato Achille e non sapeva che suo padre l’avrebbe sacrificata per avere le vele gonfie di vento.

Sappiamo come reagì Clitennestra: con una vendetta lenta ma inesorabile.

Ma questa non è la storia della regina sorella di Elena né è la storia del fratello di Ifigenia, Oreste, che uccise sua madre.

La figlia prediletta di Agamennone, quando scoprì il vero motivo della convocazione in Focide, prese consapevolezza del suo ruolo di sacrificio alla cupidigia degli uomini e accettò liberamente di offrirsi come espiazione per i delitti verso la dea Artemide.

Alcuni dissero che la dea la sostituì con una cerva e la salvò proprio nel mezzo dell’atto ma sono voci e non sono importanti ai fini della tragedia.

Di nuovo c’è, però, la voce in prima persona di Ifigenia.

Non è più un personaggio sullo sfondo di una tragedia, la vittima della lotta tra i suoi genitori e nemmeno un movente per un omicidio; è finalmente libera di essere se stessa e parlare.

Ma Libera? No, quello mai.

Seguono Cassandra, la sacerdotessa di Apollo e figlia di Priamo.

Se sua madre non fosse stata impegnata ad essere innamorata di Paride e del suo potere, forse si sarebbe accorta che dietro alle parole di sua figlia poteva celarsi un oscuro presagio.

Qualcosa di nuovo nella storia di Cassandra?

No, solo una ragazza che è libera di parlare ma che nessuno ascolta per via della maledizione ricevuta da Apollo.
Aspettate, un elemento sottile potrebbe aggiungere un po’ di pepe alla narrazione.

Non fu Apollo a toglierle la facoltà di essere ascoltata ma solo l’arroganza di Ecuba. Mentre la persona che la sacerdotessa pensava fosse il dio che le sputava in bocca, altri non era che il gran sacerdote che la stuprava di notte.

Questa Cassandra è più presente a se stessa della Cassandra di Christa Wolf, ma ugualmente persa.

In Libere, sceglie di vivere in un sogno che l’ha protetta dalla scure della regina di Micene nella sua mente ma non nella realtà.

Preferivo una Cassandra Consapevole della sua follia e del suo destino; anche se fosse stata la Cassandra di Marion Zimmer Bradley de “La torcia” l’avrei preferito.

Cassandra Libera? Libera da cosa?

L’ultima delle donne trattate dalla Colloredo è Dafne.

La naiade, nel libro, è una delle ninfe istruite da Circe. La ragazza sconvolta dalla relazione della maga con Ulisse, decide di vivere una vita priva dalle costrizioni del suo sesso e dell’amore degli uomini.

In questa versione Dafne è figlia di Gea. Quest’ultima è una dei Titani e dea della Terra mentre, in altri miti la ragazza è figlia di una ninfa.

Succede spesso con la mitologia. Non è importante quale scegliete di seguire.

La Colloredo ci racconta della volontà di Dafne di far parte della corte di Artemide ma che la dea la rifiutò (possiamo presumere che lo fece per favorire il suo gemello), inoltre che fu proprio la naiade ad uccidere Leucippo con il suo arco da cacciatrice.

Apollo si innamora di Dafne e pur di averla gioca ad un gioco perverso. Visto le Dafne lo rifiuta come amante, il dio decide di sedurre tutte le sue compagne fino a che non sarà l’ultima.

Nonostante le profferte dell’olimpico figlio del dio degli dèi, Dafne lo sfida ad una corsa e, sul punto di essere presa invoca l’aiuto della madre Gea e questa la trasforma in alloro.

Tutti conoscete la statua di Gian Lorenzo Bernini: il momento in cui la ninfa delle acque, per sfuggire dalle mani di Apollo, si trasforma in albero. Notate l’espressione di terrore della ragazza che non immaginava che l’aiuto che l’aiuto che le sarebbe arrivato fosse quella trasformazione.

Libere.

Dafne ha scelto il proprio destino con coraggio e forse è l’unica delle donne che ha davvero goduto di un certo grado di libertà fino a che, chiedendo aiuto, ha perso la vita che voleva per sé.

È Libertà scoprire tardi di dover rinunciare alla propria natura?

La parola che cercate per Dafne è Coerenza.

Ricapitolando:

  • Circe è libera di vivere solo sulla sua isola e ogni dio è capace di manipolarla come desidera;
  • Ifigenia è libera unicamente di sognare il matrimonio con Achille che non avverrà mai e di accettare il suo destino a desta alta e non come un animale da macello;
  • Cassandra non è libera nemmeno da se stessa;
  • Dafne coerente con la sua natura è libera solo di disporre del proprio potere di chiedere aiuto ad una dea che la trasforma senza davvero liberarla.

Libere. Circe e le altre è un libro che vi consiglio?

Ogni racconto è in prima persona, questo è una cosa che apprezzo visto che le donne in esame devono essere libere di usare la propria voce.

È scritto molto bene, anche se la versione in mio possesso ha qualche difetto: qualche comprensibile errore di battitura e una frase con un soggetto non molto chiaro.

Dal punto di vista di ricerca di novità nell’ambito dei retelling mitologici, la scelta di far parlare Ifigenia e Dafne mi sembra un piacevole nuovo scorcio sul tema.

È un libro piacevole con un focus non molto coerente sulla realtà dei fatti narrati. Essere libere di poter usare la voce non è un sinonimo della libertà delle protagoniste.

Sono state scomode nella loro società, sono state maltrattate ingiustamente e ne hanno pagato lo scotto ma non sono MAI Libere di Vivere.

Libere.

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Mentre la pozione che mi aveva dato Calcante staccava la mia anima dal corpo e i pensieri si facevano limpidi e tersi, li vidi per quello che erano e mi fecero persino pena.

Pena e Schifo.