C’era una volta in un reame molto lontano nel tempo una fiaba. La fiaba diventò un eco nel tempo e quest’ultimo la trasformò in una danza. Ovviamente sto parlando di Schiaccianoci e il Re dei Topi.
Scritta da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann nel 1816 è diventata una delle fiabe natalizie più amate di tutti i tempi, per tacere delle numerose opere che sono state ispirate dalle pagine di questo autore eclettico e dai mille interessi.
Chi è Hoffmann, l’autore della celeberrima fiaba Schiaccianoci e il Re dei topi?
Se dovessi descrivervi l’autore con una sola parola fallirei nella missione e non è cosa che io possa risolvere con una sciabola argentata.
Figlio di una famiglia dedita alla religione e alla politica è lui stesso avvocato, non solo non si limita alla professione legale ma si dedica a tutto quello che è arte.
Durante i suoi studi, in una scuola luterana, inizia lo studio della musica e affronta gli studi classici. La sua non è una famiglia convenzionale: quando i suoi genitori di separano, viene affidato alla famiglia di sua madre e di conseguenza a suo zio che avrà cura della sua istruzione.
Hoffmann è scrittore, compositore, pittore e altre centinaia di cose ma da chi avrà preso il suo talento?
Nel 2023 comincia ad essere un po’ sciocco pensare che qualcuno diventi famoso solo perché deve aver “barato” con una genetica fortunata. Quello che, però, posso dirvi è che suo padre si dilettava di musica ed era compositore quando la sua opera di pastore nella chiesa luterana e il lavoro di avvocato a Königsberg gli lasciavano del tempo libero.
La passione, quella sì, deve avergliela trasmessa suo padre ma il talento… quello è qualcosa che non puoi rubare a nessuno.
Mi sembra che nel 2023 sia ancora indiscusso il successo delle sue opere, ho ragione?
Conoscete tutti la trama di Schiaccianoci?
La famiglia Stahlbaum, composta da: padre ufficiale medico, madre e i due figli Fritz e Marie si appresta a passare il Natale in famiglia.
È usanza che i bambini vengano tenuti lontano dal salone della casa per tutta la giornata della vigilia per poter permettere ai loro genitori di imbastire il tavolo dei regali e gioire dell’autentica meraviglia sul viso dei loro figli.
Complice in questi regali, dal sapore fiabesco e meravigliosi, è il padrino dei bambini Drosselmeier.
Funzionario dell’Alta Corte di Giustizia (davvero mi domando da chi l’autore abbia preso spunto…) Drosselmeier è orologiaio e un personaggio pieno di misteri.
Tra i numerosi regali ricevuti dai bambini ci sono un plotone di Ussari, che dovete tenere a mente, e uno Schiaccianoci dall’aspetto umano, in uniforme, che svolge il suo ovvio compito di aprire le noci con la sola forza della sua mascella.
A dispetto della bellezza di tutti i regali che Marie riceve, la ragazzina si innamora di questo soldato apri noci. Presa da una bramosia che solo i bambini di qualche epoca fa potrebbero comprendere, Marie difende Schiaccianoci da chiunque e lo annovera nel salotto delle sue bambole più preziose.
Quello che Marie non sa è che sta compiendo l’atto più rivoluzionario dell’umanità.
Qual è il significato de Lo schiaccianoci?
Marie scopre presto che esiste un mondo oltre a quello che conosce e che anche lì esiste un personaggio che è disposto a tutto per la vendetta.
Non ho intenzione di dirvi tutto io, dovete leggere il libro se non lo avete ancora fatto.
Sono certa però che chi ha dei bambini ha visto Barbie e lo Schiaccianoci di Owen Hurley; gli amanti del teatro hanno assistito al celeberrimo balletto “Lo schiaccianoci” di Čajkovskij; mentre l’ultimo adattamento (2018) è Lo schiaccianoci e i quattro regni con la regia di Lasse Hallström e Joe Johnston.
Vi ricordo che questa fiaba inspirò anche Andersen e ora vi svelerò quale fu l’atto rivoluzionario compiuto da Marie.
Schiaccianoci non era certo il regalo più bello che si potesse ricevere ma qualcosa nei suoi occhi destò l’amore in Marie.
Non era certo, per tutti gli altri e una certa principessa, il caso di amare una creatura brutta e soprattutto chi mai vorrebbe rinunciare ai propri tesori per un giocattolo di questa risma?
Oltre ogni pregiudizio, oltre ogni raccomandazione, Marie sceglie di amare senza farsi condizionare da nessuna regola.
Ho usato la parola amore che è un preludio al lieto finale della storia ma non è solo di quello che si parla. Lo schiaccianoci parla di lealtà, di tenacia e amicizia.
Come vi ho già detto questa è una storia di tanto tempo fa ma ogni anno torna sotto le feste natalizie a deliziarci con il suo mondo incantato.
Il 2022 ci ha donato una delle edizioni più belle che io abbia mai visto. Con la traduzione di Alessandra Valtieri, Iacopo bruno ha illustrato un gioiello di inestimabile bellezza che è stato pubblicato per Rizzoli.
Iacopo Bruno è illustratore di enorme fama, infatti come non ricordare le illustrazioni di Canto di Natale e di Pinocchio sempre per Rizzoli.
Ma soffermiamoci su Schiaccianoci.
Io nutro sempre una reverenziale ammirazione nei confronti di chi sa come dare volto alle storie e anche un po’ di invidia, io non so nemmeno come si tiene una matita, figuriamoci mettere al mondo un’opera d’arte.
La sensibilità con cui I. Bruno illustra questo mondo è… strabiliante. Le bambole di Drosselmeier, presenti nei orologi e nei carillon, prendono vita in queste pagine e il padrino dalla marsina gialla sa bene che se gli ingranaggi non permettono ai teatranti di muoversi in libertà o a comando dei bambini, la fantasia e il cuore possono fare quello che vogliono se lo desiderano.
Le illustrazioni di questa edizione sono personaggi di zucchero, bambole che richiamano infanzie passate e speranze future per tutti quelli che si attarderanno tra queste immortali pagine.
Ho trovato un neo nella edizione de lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Rizzoli?
Ad un mese appena dalla sua pubblicazione, il libro è sparito dalle librerie e con sparito non intendo solo terminato.
Ordinarlo in un negozio è stato impossibile, ho dovuto ricorrere alle maniere forti e finalmente godere di questa edizione.
Volete sapere dove trovare Schiaccianoci e il Re dei Topi? Clicca sulla parola LINK
Questo 2023 inizia con un’antologia: Willie lo strambo e altre storie della collana Macabre edita da Sperling & Kupfer.
Vi piacciono i racconti?
A me molto ma non sempre amo le antologie nel loro insieme.
Ogni anno aspetto le mie due preferite di cui vi parlerò a breve (piccolo spoiler? Andate a dare un’occhiata al sito dell’associazione RilL) e se ho fortuna, come in questo caso, me ne capitano tra le mani un altro paio di eloquente magnificenza.
Perché mi piacciono le antologie come Willie lo strambo?
È presto detto: mi permettono di scoprire scrittori che non avevo ancora avuto il piacere di leggere e di innamorarmi di autori che conosco in altri generi letterari ma di cui non avevo avuto modo di apprezzare i lati nascosti.
Questa antologia ospita penne che conoscete tutti bene, solo che non sapete ancora di cosa sono capaci quando assecondano il loro lato “oscuro”.
A legare i racconti di Willie lo strambo è l’Inquietudine e ad aiutarla c’è anche la Paura.
Non quella paura che vi fa temere le ombre nelle cantine e nemmeno quella che vi ammantata di terrore quando i personaggi iniziano a morire in situazioni che sono il cliché della letteratura horror.
La paura e l’inquietudine di cui vi parlo sono quelle viscerali, quelle inspiegabile, quelle che vivono nelle pieghe della vita di tutti i giorni e a cui non sapete dare un nome.
I movimenti al margine del campo visivo, i dèjà vu, l’irrazionalità dell’inspiegabile, la banalità di una frase lasciata cadere in una conversazione e nel comportamento non comune di un parente…
Esatto, vi immagino mentre leggete e so che sapete di cosa sto parlando: piccoli e semplici episodi che sono in grado di innescare la follia.
Io ho paura dei tombini, dei palloncini rossi.
Posso dare la colpa è di uno dei signori qui presenti. Anche se forse lui ha solo scatenato qualcosa che mi viene dal profondo.
Probabilmente mi serve un bravo psichiatra ma non è questo il punto.
Guarda caso l’autore di cui vi parlo ha vergato il racconto che guida e dona il titolo all’antologia.
Non ha bisogno di presentazioni ed è il maestro di questo genere di storie.
Ovviamente parlo di Stephen King.
Il signor King dorme bene? Me lo chiedo da anni. Sicuramente meglio di me che leggo avidamente i suoi scritti e poi ho il terrore della vecchietta che casualmente ha un Impermeabile giallo appeso fuori.
Sono le cose banali a diventare il Male.
Ma dopo Willie lo strambo?
Miei lettori, lettrici e tutti coloro che hanno la pazienza di leggermi, ho scoperto che io sospettavo della vecchietta della porta accanto ma non avevo affatto intuito che l’altro vicino di casa (anche se non in maniera letterale), che conoscevo come saggista, ha una vena nera che gli scorre nella penna.
Eraldo Baldini, per una ravennate, è una sorta di istituzione e ora so che anche lui vede le case abbandonate nella stessa maniera in cui le guardo io.
Il viaggio di un ispettore in una vallata può diventare l’insopprimibile pensiero fisso in un intero arco vitale e al contempo dare una prospettiva nuova anche alla selva dantesca, ci avevate mai pensato?
Ai confini del reale di solito troviamo le storie di Dylan Dog e anche la penna di Paola Barbato…ma se la sua penna vi raccontasse di un personaggio innocuo e quasi invisibile nella nostra vita frenetica?
Sapete, quel genere di persona che non sarebbe un pericolo nemmeno per una mosca. Esatto, proprio quello che stamattina ha raccolto i fazzoletti o le chiavi che vi erano caduti e ve le ha restituite augurandovi buona giornata.
Chi è? Ve lo siete chiesto?
Delle volte non c’è bisogno di trovarsi in un vicolo oscuro per carpire una dissonanza nella pace.
“Mio fratello” parla di amore ed è il racconto di Antonella Lattanzi. La famiglia non è una scelta e può capitare che con un fratello si senta un’affinità elettiva che travalica qualsiasi senso logico.
Lo sapete che qualcosa non va, conoscete la profondità di quell’abisso di desolazione che è un po’ anche vostro ma…come in uno specchio, se voi non avete il coraggio di saltare nel buco, il vostro riflesso invece ce l’ha ed è capace di tutto vestendo solo un sorriso e l’abisso.
È difficile parlarvi di Willie lo strambo e altre storie!
Tutti i racconti mi hanno distrutto l’anima perché sono l’alter ego del mio sentire e non so se esserne spaventata.
Chi non conosce Loredana Lipperini deve porre rimedio. Ho avuto un’illuminazione sulla via di Damasco quando mi è saltato tra le mani il primo libro suo che io abbia mai letto e poi ho deciso che dovevo convertire tutti alla sua scrittura.
Loredana Lipperini è tante cose ma soprattutto vive d’immenso e il suo racconto buca le certezze che ognuno ha della vita.
A me capita, non sempre ma succede, di non avere la cognizione esatta di cosa mi stia spaventando in una sequela di coincidenze al limite della candid camera. Capirlo a volte può essere la vostra salvezza e credetemi, piuttosto che trovarmi al posto di questa protagonista preferisco di gran lunga i fantasmi di Scrooge.
Seguono un racconto di Marco Peano che vi farà rivalutare il disagio verso gli allarmi che suonano per i motivi più disparati. Potrebbe capitare che uno di questi sia il proverbiale gommone mandato per salvarvi.
Sapete quale penna è davvero stata una rivelazione per me in questa antologia?
Sì, lo so. Tutti conoscete il suo talento e la apprezzate per i suoi libri che narrano di donne forti come le montagne, io avevo bisogno di una spinta in più.
E la scossa di cui avevo bisogno si intitola “Scura come la notte“.
Vari temi sono stati affrontati in queste pagine: la discriminazione razziale, la violenza di genere in un culture diverse dalla nostra, la voglia di essere più che un numero nel conteggio umano e a condire tutto questo c’è l’ignoto, la scienza e l’universo oscuro e meraviglioso.
Dovete proprio leggerlo.
Se non volete ascoltare me, ascoltate Galileo. Lui lo sapeva prima di tutti noi.
Ogni lettura per me è diversa. Alcune volte la mia attenzione si impiglia, viene trascinata dalle maglie della storia e la passione per la narrazione aumenta fio a che non mi trovo completamente travolta dalla storia. Questa volta la storia mi ha travolta ma non nella maniera consueta: Le Lupe di Pompei di Elodie Harper, edito per Fazi nel 2022, è stata più una catena che mi ha immobilizzata e mi sono accorta di cosa succedeva solo quando mi sono sentita soffocare.
Questo libro è solo il primo di quella che si preannuncia una trilogia davvero interessante.
Lo ammetto con i lettori, questo libro mi è finito tra le mani perché mi aspettavo una storia interessante ma leggera.
La copertina non fa pensare ad un libro frivolo ma dona al colpo d’occhio un tocco seducente che permette di acquistare questa storia per poi svegliare il lettore con tutta calma, giusto un passo dopo aver varcato la soglia del Lupanare.
Quasi tutti sanno che i Lupanari nella società romana erano i postriboli in cui le donne svolgevano il mestiere di prostitute.
Ma, oltre ad immaginare l’ovvietà della condizione di queste donne (non che non ci fossero degli uomini) schiave e prigioniere, vi siete mai soffermati a pensare che queste fossero delle vite appartenenti ad esseri umani?
Sembra una domanda scontata o una critica ma non vuole esserlo. Si sorvola sempre sulle vite delle persone che vissero molti secoli prima di noi, non ci si chiede mai come fosse essere loro.
La vita di una schiava o di uno schiavo, per la maggior parte di loro, era dura. Stenti e fatica erano all’ordine del giorno e della notte e solo qualcuno trovava un padrone giusto, di questi ultimi solo una parte finiva di riacquistare la propria libertà.
Ne Le lupe di Pompei riacquistare la propria libertà è per lo più un miraggio.
Questo è un libro sulle umili della storia.
Il libro è ambientato a Pompei solo qualche anno prima della grande eruzione e non molti anni dopo un grande terremoto che sconvolse la regione partenopea e non solo.
Elodie Harper ha ricostruito una Pompei viva, una pittura molto più che vivida di una cittadina che era un crocevia di genti e molte etnie diverse.
Ha dipinto il mondo degli schiavi in modo che ne Le lupe di Pompei il lettore potesse sentire le catene e potesse finire strozzato da queste.
Le vite narrate sono cinque, ognuna delle ragazze fa i conti con la vita come meglio riesce.
Delle cinque è Amara quella che il lettore segue più da vicino ma attraverso lei e alla sua presa di consapevolezza del mondo in cui vive, si capisce che nemmeno il punto di vista più vicino è sempre abile nel capire quello che lo circonda.
All’inizio della lettura non capivo se il libro mi piacesse. Le lupe di Pompei non si è fatto amare subito, mi sono affidata alla fine ricerca storica dell’autrice e ho deciso di prendere per mano la sua protagonista per capire cosa ci fosse che non riuscivo a capire.
Sapete cosa stava succedendo? Le lupe di Pompei mi stava mostrando delle realtà che il mio cervello non stava accettando.
Mi sono data della sciocca da sola, in fondo sono un’archeologa e conosco i luoghi. Quello che non mettevo a fuoco e che conosco i luoghi, conosco il loro uso e liquidavo come quello che succedeva al suo interno come la conseguenza di un dato di fatto.
Il cinema e la letteratura ci hanno più volte detto cosa capitava alle prigioniere di guerra, alle indigenti. Io stessa ho parlato delle donne di Troia nella mia ultima recensione su Il pianto delle troiane, eppure ho dimenticato.
Ho dimenticato che non solo le protagoniste di una storia famosa come la guerra di Troia hanno avuto un epilogo tragico ma è anche la sorte di altre protagoniste di “guerre” molto più piccole e non cantate dalla storia.
Le lupe di Pompei erano donne con un’anima esattamente come la mia e le vostre e si sono guadagnate il diritto di raccontare la loro storia.
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Pat Barker, dopo Il silenzio delle ragazze (Einaudi, 2021), torna davanti alle mura di Ilio con Il pianto delle Troiane, edito da Einaudi nel 2022.
Parlare di una guerra è sempre difficile, sia essa accaduta qualche anno fa o qualche millennio prima che noi nascessimo. Non si smette mai di pensare a quanto sia entusiasmante l’Epica di Omero ma di epico ormai ci sono solo le parole di un aedo anziano abbagliato dalla luce riflessa dagli scudi degli uomini che erano presenti davanti alle mura di Troia.
La guerra più epica di tutte è spoglia delle sue armi, giace stremata sulla sabbia che puzza di sangue, alghe e della paura che trasuda dalla pelle di coloro che, dopo la vittoria, sono intrappolati lì.
Perché? Il vento o gli dei non lasciano che le navi riprendano il mare.
Priamo è stato ucciso da Pirro, il bambino prodigio figlio del guerriero più grande e amato di tutti.
È il figlio di Achille ma nessuno crede che gli somigli. Pirro cerca di essere Lui, è venuto per terminare l’impresa di un padre che non ha mai conosciuto, per guidare i mirmidoni, per staccarsi dalla gloria del padre ed essere finalmente un uomo che ha qualcosa di suo da dire al mondo.
Ma, quando è solo, lo specchio gli racconta di quanto il vuoto lasciato da Achille non lo accoglierà mai accettandolo come re.
Si tenga, questo ragazzino ingrato, le sue insicurezze, le sue paure. Non è altro che un bambino viziato che conosce solo la violenza.
Pirro vive in una realtà diversa dalla verità.
Ha paura ma il figlio di Achille non deve averne, è terrorizzato ma il figlio di Achille non ha motivo di esserlo, non conosce nulla del mondo ma il figlio di Achille non ha il permesso di essere qualcuno che non sia suo padre.
Se solo questo ragazzo intrappolato vedesse quanto in realtà somiglia ad Achille.
Se non si trincerasse dietro a quello che dovrebbe essere…
Cedere all’ira è più facile, meno spaventoso. Cedere all’ira lo fa temere da tutti gli altri ma non lo rende Achille e questo non fa altro che aumentare la violenza, la gelosia e l’inaffidabilità ma soprattutto la paura di vedere il suo riflesso che lo deride.
Priamo è morto e giace insepolto perché Pirro si rifiuta di seppellirlo.
In realtà è fatto divieto a tutti di toccare il corpo del re.
Non possono gli uomini e non possono le donne.
Briseide che, dopo la morte del Pelide, è andata in sposa ad Alcimo è la voce narrante di una storia morente, dell’insensatezza di imitare Achille, della condizione di coloro che non sono i guerrieri ma devono fare i conti con la perdita di Troia.
È lo specchio delle prigioniere degli achei, il filtro di ogni mutamento di un accampamento che di vittorioso ha solo il titolo ma non l’aspetto.
Vi aspettereste che, terminato il glorioso decennio, i grandi guerrieri siano pronti a fare festa e tronarsene a casa. Invece sono topi in gabbia che devono trovare un modo per attendere e non sbranarsi a vicenda.
Nel campo s’aggira un oscuro lamento. Ci sono pianti che anche se privi di suono sono latrati di disperazione.
Il pianto delle troiane è sommesso, nascosto ma visibile a tutti coloro che hanno occhi per vedere.
Qualcuno direbbe che la disgrazia unisce. Seguite Briseide e scoprirete che il piando delle troiane non è un coro ma una cacofonia di assoli scoordinati.
Ognuna delle prigioniere piange una Ilio diversa.
Il pianto delle troiane è l’eco della regina Ecuba che si ammanta di una regalità che le dona una dignità che solo lei vede.
Il pianto delle troiane è l’insieme delle voci che assillano Cassandra. Sono voci di morte e la sacerdotessa le ascolta come fossero vino dolce.
Il pianto delle troiane è la paura di Andromaca che ha visto suo marito trascinato da un carro e suo figlio gettato dalle mura da un ragazzo che non a malapena può chiamarsi uomo.
Non sono solo coloro che erano regine e principesse a piangere una vita che non avranno mai più ma anche coloro la cui condizione ha comportato solo un cambio di padrone.
Sì, anche le schiave di Ilio piangono e sono troiane.
La guerra di Troia è stata una storia di uomini ma anche di donne, di anziani, di bambini, di fragili, di forti, di bulli e di insicuri.
Non c’è nessuno, in una guerra, che passa in rassegna gli schieramenti colorando di nero i cattivi, di bianco i buoni e di grigio coloro che sono sacrificabili rendendoli invisibili a chi combatte.
Se è questo che credete, questo libro non fa per voi.
La penna di Pat Barker non ha sconti per gli esseri umani.
La prosa è ricercata ma spigolosa e cruda. Le parole sono i macigni di una città le cui mura inespugnabili sono cadute e i cui templi giacciono arsi dalle fiamme.
Nessun punto di questa storia è scevro da terrore, follia e oscurità.
Il pianto delle troiane è l’addio ad un’epoca, il risveglio di coloro che pensavano che una volta finita la guerra tutto sarebbe tornato come prima, la nascita di nuove vite da un corpo mutilato.
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Ero ancora troppo giovane per capire che l’irrequietezza non è che una delle facce del dolore. Tra poco avrebbe rappresentato Priamo al suo funerale, al cospetto dell’intero esercito acheo. Anzi, di più, sarebbe stata Priamo. Non è forse così che superiamo il lutto? Non c’è niente di raffinato o di civilizzato: come selvaggi, mangiamo i nostri morti.
Buongiorno viaggiatori, pronti a partire per il Giappone in compagnia del libro Le strane storie di Fukiage?
Questa volta l’autrice ci accompagnerà in un viaggio sospeso tra sogni e realtà con un pizzico di magia.
Aspettavo con ansia di leggere l’ultimo capolavoro di Banana Yoshimoto e devo confessare che mi è piaciuto molto.
La storia inizia con un mistero legato alla sparizione di Kodachi, sorella gemella di Mimi voce narrante in questo romanzo.
Le due sorelle hanno dovuto fare i conti con eventi traumatici che le hanno portate ad allontanarsi da Fukiage per trasferirsi a Tokyo. Sarà un’allontanamento definitivo?
Parlare di Fukiage vuol dire richiamare alla mente brutti ricordi della mia famiglia, perciò finora ho sempre cercato di ritardare questo momento, e anche con mia sorella, che se n’è andata insieme a me, non sono mai riuscita a parlarne. La scorsa settimana mia sorella é ritornata qui da sola e da allora non ho più sue notizie.
La morte del loro padre ha causato un dolore profondo ma in seguito a quell’incidente c’è stata anche un’altra perdita, quella della madre, entrata in coma.
Le due sorelle sono molto diverse fra loro, e vivono in maniera diversa il dolore e quella leggera speranza che la loro madre si risvegli dal coma.
È normale che provi disperazione e paura: lei è un essere umano. E in questa città ha avuto più d’una esperienza negativa.
In seguito all’incidente, vengono affidate alle cure di Kodama e Masami, fino all’età di diciotto anni in cui iniziano a studiare in un luogo dove nessuno le conosce e dove possono in qualche modo fuggire alla realtà che purtroppo causa molto dolore.
Mi ha colpito molto questa storia perché un lutto è qualcosa di tremendo sì, ma credo che avere qualcuno in coma causi una sofferenza ancora più brutta perché a nessuno piacerebbe restare in sospeso tra la vita e la morte in attesa, non si sa per quanto tempo.
La Yoshimoto sorprende ancora, regalando ai lettori una storia dolorosa sì, ma anche di un viaggio alla scoperta di se stessi. Una ricerca nata per cercare Kodachi ma che condurrà Mimi a fare i conti con l’elaborazione del dolore.
Perché leggere Le strane storie di Fukiage?
Perché pur utilizzando un linguaggio semplice, affronta dei temi importanti e nonostante l’assenza di capitoli, scorre e si fa leggere tutto d’un fiato.
Le strane storie di Fukiage costringe il lettore a vivere il viaggio introspettivo delle protagoniste mettendolo di fronte a domande importanti sul senso della vita.
Jules Verne è da sempre sinonimo di letteratura d’avventura. Le sue storie sono narrate e citate in migliaia di pubblicazioni, produzioni cinematografiche e riadattamenti di ogni sorta anche negli anime più famosi, spesso la sua opera, in epoca moderna, è etichettata come letteratura per ragazzi e, a dire il vero, perché la letteratura per ragazzi sarebbe inferiore o non adatta agli adulti? Questo mi porta ad un altro quesito: Voi, adulti, avete mai letto Ventimila leghe sotto i mari? Avete mai letto Il giro del mondo in 80 giorni?
Conoscete queste due opere?
Non venitemi a dire che ne conoscete le storie per via delle trasposizioni in cartoni animati, seppur pregevoli, non sono il motivo per cui siamo qui.
Avete letto Ventimila leghe sotto i mari e Il giro del mondo in 80 giorni?
Ve lo chiedo perché, come la maggior parte di coloro che leggeranno questa mia recensione, conoscevo la storia narrata per via dei film e degli anime e mi sono resa conto di una cosa: non sapevo nulla de i personaggi di Verne.
Non mi erano nemmeno noti i punti di vista della narrazione. Per me è triste ammetterlo perché mi faccio vanto di usare sempre un certo spirito critico nelle mie letture, mi impongo di vedere tutte le luci e le ombre dei protagonisti nei libri che leggo e, ora che ho passato i 30 anni da un po’, mi rendo conto che la mia idea su l’opera di Verne non era affatto completa.
Probabilmente non lo è nemmeno ora. Il capitano Nemo mi ha sconvolta e Phileas Fogg non è affatto l’uomo che pensavo che fosse.
La fama mediatica di Ventimila leghe sotto i mari e Il giro del mondo in 80 giorni mi ha ingannata. Jules Verne me l’ha fatta e io ci sono cascata.
Ventimila leghe sotto i mari e Il giro del mondo in 80 giorni non sono affatto i libri che pensiamo di aver conosciuto.
Questa conclusione viene dalla mia lettura dei due titoli nella nuova edizione dei Classici DeAgostini. Li trovate insieme, quindi non potete scappare.
Potrei spiegarvi la mia visione dei due protagonisti iconici dei due romanzi ma se Verne decise di mantenere il lettore all’oscuro delle verità nascoste dietro le apparenze non vedo perché devo essere io a alzare il sipario.
Dietro alle cortine di fumo di celano due personaggi complicati, frammentati, socialmente non comuni. In alcune situazioni li si potrebbe definire… non amabili. Nonostante questo, coloro che si trovano coinvolti nelle loro orbite vengono travolti dal loro carisma e al contempo ne vengono respinti.
Non si può fare a meno di trovarsi mutati dopo averli conosciuti.
Se siete del parere che ogni storia debba avere un eroe, sappiate che Verne non ve lo renderà semplice.
Negli ultimi anni abbiamo avuto tripudi di eroi ed eroine complicate ma di cui è stato svelato ogni mistero togliendo pathos alla storia.
Sono pochi gli autori di letteratura fantastica e di avventura che, pur creando un mondo, lasciano ai lettori la possibilità di avere dubbi sui personaggi che si trovano davanti.
Jules Verne è uno dei precursori di questi ultimi.
Oltre ai mirabolanti viaggi e alle fantastiche avventure, qualcosa si agita nascosto e non visto dietro le cortine di fumo di un canovaccio in apparenza privo di macchie.
Beh, Ventimila leghe sotto i mari e il giro del mondo in 80 giorni sono viaggi pieni di scossoni e scogli aguzzi e la domanda che io vi pongo è: che siate ragazzi o adulti, siete pronti a vedere oltre?
Decidete quale viaggio intraprendere o partite per entrambi, vi auguro buona sorte!
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