Storia dello spiritismo. Il resoconto di Sir Arthur Conan Doyle.

Storia dello spiritismo. Il resoconto di Sir Arthur Conan Doyle.

Chi non ha approfondito la vita del celebre scrittore Conan Doyle, non potrà sapere quanto Sherlock Holmes e la storia dello spiritismo siano profondamente legate fra loro.

Un investigatore e la ricerca di esperienze paranormali, sembrano due elementi assolutamente distanti, eppure sono accomunati da almeno due elementi: il primo è la decisione di porre il metodo deduttivo sia per costruire, investigare e risolvere i gialli del nostro Sherlock, sia nelle ricerche e nelle esperienze spiritiche affrontate dal signor Doyle. Ovviamente l’altro punto in comune è il fulcro creativo che ha portato alla nascita di uno degli investigatori più famosi al mondo, nonché di un’antologia illustrata (The history of spiritualism) pubblicata nel 1926 che tratta lo spiritismo secondo il rigoroso metodo scientifico; ovviamente mi riferisco allo stesso Doyle.

La casa editrice Venexia ripropone Storia dello Spiritismo con una copertina molto accattivante, per la gioia di tutti gli appassionati dell’argomento, io per prima.

Non tutti conoscono la passione di Doyle per lo studio dello spiritismo, egli partecipò a numerose sedute, spesso condotte dalla moglie che pareva essere un tramite per gli spiriti.
Non solo metodo e rigore quindi, ma anche coinvolgimento in prima linea. Egli fu un fermo sostenitore e ricercatore di prove della vita oltre la morte e lavorò sodo in questa direzione, utilizzando, appunto, il metodo scientifico. Anche la prova dell’esistenza di una vita oltre la morte doveva essere provata in modo sperimentale.

Ed ecco che la seduta spiritica diviene una sorta di laboratorio nel quale raccogliere ed analizzare dati, anche se appartengono al soprannaturale.

Ovviamente non sono sempre state rose e fiori, Doyle si trovò vittima di aspre accuse, sia da parte degli spiritisti che da parte degli scientisti. Inoltre la figura del medium era difficile da comprendere per chi applicava il metodo scientifico, per non parlare dell’atteggiamento positivo e non cinico da dover assumere durante la seduta, poiché anche questo poteva inficiare l’esito positivo della stessa.
Ciascun medium manifestava la presenza di spiriti attraverso fenomeni estremamente personali e differenti, ovviamente tutto ciò era estremamente difficile da catalogare secondo un metodo scientifico.

Nel riportare le notizie e le numerose testimonianze,

Conan Doyle, che si definiva un semplice gramophone on the subject,

traccia una galleria di quadri e di ritratti non tanto diversi dalle agiografie dei santi cattolici.


Un libro di enorme interesse per gli appassionati. Ogni pagina è estremamente coinvolgente, a partire dall’introduzione stessa che, oltre a raccontare delle scoperte e dell’enorme lavoro di Conan Doyle, apre le porte verso il panorama intero dello spiritismo, dal passato fino al secolo scorso, toccando i punti critici e le diatribe fra materialisti e spiritisti.
Storia della spiritismo si apre con l’analisi dei più grandi spiritisti e medium. Si parte con Emanuel Swedenborg per poi avanzare in maniera temporale, attraverso i movimenti americani, inglesi, francesi e italiani, sino alle soglie del 900.
Gli ultimi capitoli sono invece dedicati alla fotografia spiritica e alle forme delle facoltà psichiche.In queste pagine ci si sofferma in particolar modo alla medianità vocale e alle impronte. In chiusura troviamo alcune considerazioni ed esperienze personali dell’autore.
Un libro che merita attenzione, rivolto a tutti gli appassionati dell’argomento che, con sua impronta estremamente rigorosa e metodica, offre uno nuovo punto di vista e amplia l’orizzonte verso la conoscenza spiritica.

Storia dell'esoterismo

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Della stessa casa editrice:

Erboristeria emozionale

La sfida della bambina,

sebbene fosse stata pronunciata alla leggera,

senza una reale intenzione,

venne immediatamente accettata.

Ad ogni schiocco delle dita rispose un colpo,

come un eco.

Il telegrafo spiritico era entrato in funzione.

 


La strega di Triora. Verità e conoscenza

La strega di Triora. Verità e conoscenza

I viaggi, siano essi fisici, onirici o fra le pagine, nascondono spesso insidie pericolose, rischiano di risvegliare il serpente della curiosità che, inevitabilmente ci spingerà a desiderarne ancora; fra i viaggi d’inchiostro che amo maggiormente ci sono quelli che esplorano la vita delle donne e della loro condizione: La strega di Triora.

Nel bene o nel male di streghe si parla sempre in ogni epoca.

A volte per indicare vecchie donne sagge che hanno conservato arcani segreti per miracolose guarigioni. Troppo spesso per additare chi è fuori luogo perché diversa, speciale, con speciale non intendo chi ispira tenerezza in una società apparentemente comprensiva.

Sto parlando dello speciale che fa ribrezzo perché non si sa conformare, sottomettere a canoni dettati nelle varie epoche, in grado di disturbare persino “il civico senso del pudore”.

I secoli passano e la parola resta sempre la stessa: Strega, legata con nodi stretti alla parola Donna.

Chi non ha mai sentito quelle corde strisciare sulla pelle?

Forse quando da bambine volevate giocare a soldati e banditi e come sempre vi si relegava al massimo al ruolo di infermiera e allora avete pestato i piedi: strega! Oppure quando al liceo, ai fiori stampati e scollature, avete preferito anfibi e abiti scuri: strega! Anche quando non siete state in grado di trattenere il bisogno di manifestare apertamente desideri, emozioni forti, opinioni contrastanti: strega, strega, strega!

Se si guarda indietro nella storia, i cambiamenti possono riguardare le forme di proibizioni, di limiti imposti, di trattamenti riservati, di punizioni per piegare, di veli da portare e sguardi da abbassare.

Ma l’oggetto della polemica di tutti i tempi è sempre e solo uno: la donna, la strega.
Franchetta Borrelli è tutto questo: forte, curiosa, assetata di giustizia, donna e strega.
Franchetta come Julia Carta, Dominica Figus, Catalina Lay e molte altre poco conosciute. Donne che nella mia isola hanno perso la vita sotto torture perché cantavano alla luna, o preparavano unguenti per aiutare i malati.
Lo spazio per le donne è sempre troppo stretto o troppo ben delineato, senza possibilità di sgarro, pena l’emarginazione sociale, se va bene.

A volte basta soltanto una scintilla e a bruciare sono sempre i corpi delle donne.

Era stata la carestia ad incattivire gli animi.

Così gli infusi e le pozioni che facevano con le erbese curare le malattie erano diventati malefici.

E i filtri d’amore si erano trasformati in fatture.


Forse un giorno non sarà più un peccato uscire con la gonna corta o esprimersi in totale libertà ed in ogni forma. Magari arriverà il momento in cui non sarà più un peccato non avere paura. Forse, prima o poi, non sarà più un peccato essere donna.


La strega di Triora non vuole legami indotti, ma sceglie di amare e seguire il proprio sentimento libero.

In tutte noi esiste una parte nascosta, un istinto che non può essere domato.
E’ una scintilla, che accende il fuoco all’improvviso.

E’ natura libera, creativa, selvaggia. (…)

E’ il segreto della vita: il femminile.


La strega di Triora cavalca le epoche per parlare della condizione delle donne. Parla anche di sorellanza vera, quella fatta di comprensione e giustizia, di coraggio e unione.
Antonella Forte ci fa conoscere gli anfratti più nascosti di Triora con una lodevole ricostruzione storica dei luoghi e dei personaggi. Alcune notti avrei giurato di conoscere la strada per raggiungere il grande noce!
L’autrice sottolinea anche l’importanza strategica di quel paesino tanto vicino alla Francia, centro di numerosi commerci e sotto la giurisdizione della Repubblica di Genova.
Quando in una zona così ricca di scambi si abbatte una carestia, occorre trovare un capro espiatorio contro cui riversare tutta la propria rabbia e frustrazione.
La strega di Triora non è un romanzo da leggere e dimenticare, è la storia di molte donne bruciate al rogo e torturate per giorni, è la storia degli antichi culti contadini soppiantati da una religione più forte e maschile, e quando non si sa contro chi puntare il dito, la colpa è sempre delle donne.

La strega di Triora


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Gridate, donne, gridate forte!

Che siate vive, che siate morte.

E se le grida non si sentiranno,

verrà il giorno in cui rimbomberanno!


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Roma Brucia. Nerone il colpevole innocente dell’incendio del 64 d.C.

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Mi sono imbattuta, forse a causa del caldo torrido in una copertina che narra di un incendio. Forse, uno degli incendi più famosi al mondo: Roma brucia, Nerone e l’incendio che mise fine ad una dinastia è un saggio di Anthony A. Barrett ed è edito per Einaudi.

Non potete negarlo: se anche solo si accenna a Nerone la prima cosa che viene in mente a tutti è che diede fuoco a Roma; se invece nomino l’incendio di Roma la prima parola che viene in mente a tutti è? Nerone, ovviamente.

Olim erat… (C’era una volta…) qualcuno che disse di aver visto l’imperatore, sulla torre di Mecenate, cantare mentre le fiamme bruciavano Roma; qualcuno disse di averlo visto aggirarsi nelle vie della città intonando la storia della caduta di Troia; qualcun altro disse ancora che, per meglio rendere l’idea delle ultime ore della grande Ilio, Nerone avesse egli stesso acceso la città.

Qualcuno lo disse, altri lo scrissero e tutti ci credettero. Anche a distanza di secoli.

Ogni imperatore ha la sua croce da portare a spasso nei secoli, il suo cliché storico da cui non riesce a liberarsi nemmeno da morto.

Roma brucia è la condanna di Nerone.

Gli unici fatti certi sono che fece uccidere sua madre, molti altri membri della sua famiglia ma diede fuoco a Roma?

Roma bruciò nel 64 d.C. sotto il regno di Nerone.

Il 29 luglio del 64 d.C. per essere precisi.

La prima scintilla prese vita in una delle botteghe che affiancavano, o soffocavano, le vicinando del Circo Massimo e da lì iniziò la sua marcia inesorabile verso la gloria della fama storica.

Le fiamme si alzarono e fagocitarono tutto quello che era sulla loro strada.

Chiudete gli occhi, quello che sentite non è il crepitio del fuoco nel camino ma il ruggito di mille leoni.

Immaginate di essere in strada, di non poter scappare in nessuna direzione perché la strada che prima si apriva, davanti a voi, è appena stata travolta da altre fiamme che non sapete da dove possano essere apparse.

Lo sentite sulla vostra pelle: il vento, che quella notte è più simile ad una tormenta alimentata dai mantici di Vulcano, è rovente. La gente urla, cerca di salvare i propri averi e la propria vita, esattamente in questo ordine.

Tra il fumo, le fiamme, le urla, il vento qualcuno vede l’Imperatore muoversi tra le fiamme come se fosse sul suo palco preferito, in realtà sta facendo ben altro, e scorge anche taluni individui della guardia pretoriana o dei vigiles, che si prodigano per buttare a terra gli edifici e magari depredarli.

Sul fuoco vengono gettati secchi di terra e acqua ma, con quel vento, non c’è nulla che sia così veloce da permettere di salvare la città.

Tutto questo non durò una notte soltanto.

Roma, nel 64 d.C., brucia per 6 giorni e quando sembra che tutto si stia spegnando, le fiamme si rialzano ancora fino al nono giorno.

Le perdite in termini di vite umane sono inimmaginabili e i danni sono incalcolabili.

Roma brucia ma è stato Nerone?

Potrei raccontarvi che Nerone non era nemmeno a Roma quando l’incendio divampò. Troverete, però, nelle fonti, tarde, che abbiamo a disposizione: Svetonio, Tacito e Cassio Dione, che quando le fiamme sarebbero arrivate a lambire le sue proprietà si catapultò nell’Urbe per domare l’incendio.

Quali proprietà voleva salvare Nerone? Di sicuro non il Palatino che fu uno dei primi luoghi a subire la furia delle fiamme.

Perché era corso in città? Aveva altro da preservare ma forse, e dico forse, stava facendo quello che la famiglia imperiale aveva già fatto in passato: aiutare a sedare le fiamme.

Roma brucia ma era la prima volta?

Il problema degli incendi era così radicato nella vita della capitale dell’Impero che, fin dall’epoca repubblicana, si cercava di trovare qualcosa che potesse, se non mettere fine, almeno contenere efficacemente i danni e le perdite.

Ci provò anche Augusto. Dopo Nerone tentarono anche i Flavi. Ci riuscirono?

Si raccomandò di usare materiali refrattari al fuoco come le pietre di derivazione vulcanica, legni molto più resistenti, il contenimento delle altezze delle insulae abitative, ulteriori piccoli accorgimenti che potessero offrire al fuoco altro sfogo.

Ma la storia dell’Urbe insegna che l’incendio del 64 d.C. non fu l’ultimo e forse nemmeno il più disastroso.

Fu solo quello di cui tutti scrissero.

È stato quello che ha coinvolto un uomo che è passato alla storia, per lo più ingiustamente come un mostro incendiario.

Se proprio ci fu un colpevole fu il vento come d’altronde afferma anche Barrett. Siamo tutti portati a credere che se le fonti storiche raccontano un determinato fatto allora questo deve essere accaduto.

Ecco, no. Non è una verità inconfutabile.

In questo caso il problema è che l’unica voce coeva è quella di Plinio, Naturalis Historia, che non sembra molto concentrato sul fatto, anzi.

Le altre fonti già citate sono più tarde, frutto di altre opere che per noi sono perdute e derivazione anche di giudizi personali che non sono certo dalla parte del figlio di Agrippina ma, leggendo bene, nemmeno così a sfavore.

Le fonti storiche sono utili ma non definitive in assoluto.

Chi mai leggerebbe i quotidiani senza usare spirito critico e non avvalendosi di altre informazioni per comprendere una notizia?

Scusate, domanda sbagliata.

Roma brucia ma le fonti archeologiche non hanno nulla da dire?

Qualcosa si, ma tenete presente che la città non è rimasta ferma dopo l’incendio del 64 d.C. molto si è costruito e molto si è distrutto.

La stratigrafia è complessa e non basta identificare uno strato di annerimento per dire che corrisponde allo specifico evento in questione.

Insomma, non si può pensare che una volta arrivata a quello che pensiamo sia stato il suo massimo splendore, nessuno l’abbia più toccata per paura di cambiare qualcosa.

Esempio pratico: il luogo dove sorge casa mia, ai tempi dei romani, era quasi mare aperto.

Esempio più vicino all’incendio?

Al posto del tempio di Venere e Roma di età Adrianea, sorgeva il vestibolo della Domus Aurea e nel luogo in cui si erge il Colosseo (nome che deriva da una colossale statua di Nerone, innalzata per altro dopo la sua morte) si trovava un piccolo lago appartenente proprio al progetto edilizio della su citata domus.

Roma brucia e cosa accadde dopo l’incendio?

Nerone fece portare via i detriti a sue spese, alcuni vennero utilizzati per ricostruire.

Fu costretto a tassare la popolazione, non il popolo ma i grandi possidenti di Roma, per recuperare il denaro per ricostruire la città e, nessuno lo nega, finanziare anche il suo progetto della Domus Aurea.

Questo non aiutò la popolarità dell’ultimo dei Giulio Claudi presso il senato.

L’incendio e la successiva crisi monetaria portarono anche ad una forte svalutazione della monetazione argentea e nemmeno questo portò felicità a coloro che i soldi li avevano e nemmeno alla classe media se vogliamo proprio essere pignoli.

Perché le disgrazie non arrivano mai sole, ci fu una non ben identificata pestilenza che portò altre morti e altro malcontento.

C’è stata anche la questione della pretestuosa accusa di aver perseguitato i cristiani accusandoli delle fiamme.

È vero che vennero accusati dei cristiani e le fonti raccontano, le solite di prima, che la rappresaglia di Nerone fu crudele e ingiusta ma non totalmente indiscriminata.

“Tacito non vuole illuminare il lettore, bensì confonderlo ancor di più, dando un pezzettino di colpa a Nerone e un altro ai cristiani, ch’egli entrambi odiava” Yavetz, Z.

Su una cosa però siamo d’accordo: fu la prima volta in cui i cristiani subirono punizioni dal potere centrale e non per motivi religiosi.

Le fonti sono, come ho già detto lacunose, ma sarebbe stato interesse degli autori cristiani aumentare il carico delle accuse su Nerone ma, nella realtà, si potrebbe dire che quasi non tocchino l’argomento.

È difficile comprendere lo sviluppo pedissequo di avvenimenti che si sono rimescolati nel tempo, narrati solo a molti anni di distanza. Molte vicissitudini hanno portato alla perdita delle fonti coeve.

Fanno parte delle vicissitudini anche gli incendi.

Nerone, inoltre, dopo la furia delle fiamme, a seguito delle accuse che gli piovvero addosso, diventò paranoico e niente affatto incline alla pazienza. Questo portò al crollo totale della fiducia presso il senato e quella fu fine.

Quindi, in conclusione, Nerone fu la causa dell’incendio di Roma? O ne diventò uno dei capri espiatori?

Dovete leggere il saggio di Anthony A. Barrett per saperlo, continuare a porvi domande e leggere altro ancora.

L’autore vi pone i fatti così come appaiono, ponendo in contrapposizione le discrepanze di tutto quello che è stato trovato fino ad ora. Domande e ancora domande ma nessuna Storia è mai scritta del tutto.

Nerone ha ancora molto altro da raccontare: avete scorto cosa è apparso di recente al di sotto di Palazzo della Rovere a Roma?

Roma brucia

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Altri libri Einaudi? Il pianto delle Troiane

“Svetonio riportava un detto popolare secondo cui Roma si stava tramutando in una sola casa e i Romani avrebbero fatto meglio a emigrare a Veio, sempre che la casa di Nerone non avesse inghiottito anche quella cittadina”

La Papessa di Milano.Fascino, mistero e lotte per la parità, nella Milano dei Visconti

La Papessa di Milano.Fascino, mistero e lotte per la parità, nella Milano dei Visconti

La distanza da percorrere oggi, cari viaggiatori, non è quantificabile in chilometri, ma in anni; ben ottocento, spero siate pronti per camminare nella Milano del medioevo con : La Papessa di Milano.

Chi è alla ricerca del vero, ci si potrà avvicinare soltanto facendo un approfondito lavoro di ricerca, a volte mettendosi in gioco e mettendo da parte ciò che è stato imparato dietro i banchi di scuola.
Questo perchè le epoche storiche, studiate a grandi linee e in maniera generica, possono in realtà riservare preziosi colpi di scena, scendendo nei particolari.

Addentrandoci nella vita di personaggi nascosti fra le pagine dei libri di storia.

Questo è il prezioso lavoro di riscoperta e divulgazione che compie Livio Gambarini con La Papessa di Milano.

Ci troviamo totalmente immersi nella Milano del 1200, un periodo particolarmente importante per la città e per il fermento socio-politico e religioso che preme per manifestarsi.

Grazie ad una ricostruzione minuziosa e ad un’eccellente caratterizzazione dei personaggi, La Papessa di Milano è uno dei romanzi storici più belli che io abbia mai letto.

Ci troviamo nel pieno della battaglia fra la famiglia Visconti e i Della Torre, fra guerre di potere per riappropriarsi della città.

Livio Gambarini trasforma il romanzo storico in un trascinante racconto, mai scontato e ricco di emozionanti sorprese.

Inevitabilmente ritorno ai banchi di scuola e mi domando quanto gioverebbe ai giovani conoscere anche certi particolari specifici, ma di fondamentale importanza, per una migliore comprensione del periodo. Quante curiosità, quante emozioni perse in virtù di una conoscenza generale e approssimativa.

Non si tratta solo del racconto dei fatti accaduti, ne La Papessa di Milano ci sporchiamo le mani di sangue e sudore dei cavalli, respiriamo l’olezzo delle strade e della paura di nuove ripercussioni .

Non soltanto due famiglie in lotta, ma esseri umani, non nemico ed eroe, ma personaggi di cui ho imparato ad amare le varie sfumature. Un racconto in cui non si fa il tifo per il buono o il cattivo, ma in cui si volta la pagina trattenendo il respiro per ciò che sta per accadere.
Come se non bastasse, come accade quando in una lettura di tarocchi, si estrae una carta completamente fuori luogo; c’è Maifreda.

Come le era venuto in mente di imporre l’estrema unzione a un cristiano, lei che era una donna?

La chiesa era chiarissima a riguardo,

il sacerdozio e la somministrazione dei sacramenti spettavano agli uomini.

Maifreda aveva tradito il voto di obbedienza. La sua anima era macchiata.

La Papessa di Milano mette in luce la condizione femminile dell’epoca,ma anche la volontà di alcune donne, di sovvertire il sistema, di rifondare la Chiesa, addirittura di riscrivere i fondamenti delle leggi che tenevano insieme tutto il sistema clericale.

Un nuovo Vangelo, un nuovo Papa, anzi una Papessa.

Maifreda Pirovano fù la donna che nel 1300 guidò il gruppo dei Figli dello Spirito Santo, osando rivendicare la parità dei diritti fra uomini e donne, la stessa Maifreda che celebrò nel 1300 la messa come pontefice.
Non una donna qualunque, ma una Pirovano, cioè una delle famiglie più potenti a Milano che ricoprirono importantissimi ruoli soprattutto religiosi nella Milano del Medioevo.

Maifreda e Matteo Visconti erano cugini e fra loro l’amicizia e la parentela divenne qualcosa di più …

Una donna forte, potente,che gradualmente si spoglia dei limiti imposti dalla società medioevale e dalla Chiesa. Una donna predestinata a compiere un viaggio controcorrente .


Ed ecco la storia che si ripete, la società che allunga i suoi tentacoli per bloccare chi cerca di essere diverso, soprattutto quando si parla di donne, i nomi si ripetono e riecheggiano nei millenni: strega, pazza, eretica.

Gli eventi della famiglia Visconti si intrecciano con gli arcani, raccontano di sangue, lotte, onori e tradimenti, ma raccontano anche di un Papa che vuole schiacciare ogni tentativo di deragliamento dai dettami cattolici. Bonifacio VIII fu infatti il pontefice che inasprì le regole dell’inquisizione.

La ruota della fortuna gira in modi che nessun essere umano può pienamente comprendere e questo libro ci racconta con correttezza e precisione la storia per quella che è. Intrisa di odio e rivalità, di amore rubato e di crudeltà inaudita.

Impossibile non innamorarsi di questa parte di storia, difficile non lasciarsi trascinare dall’impeto dei personaggi raccontati nella Papessa di Milano.


Un capolavoro in cui la storia è la protagonista assoluta, senza necessità di belletto.


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Trovare le parole giuste, quando un libro riesce a trascinare nell’intima e sacra profondità umana non è compito facile: Il libro di Eva.

Ci sono viaggi e viaggi, spesso le brusche virate e i cambiamenti di rotta a cui può condurre una storia, mi lasciano priva dell’equilibrio che consente di tenere i piedi ben ancorati a terra.

Le vertigini della consapevolezza sono pericolose e necessarie, ma spesso mi spingono a parlare di emozioni e sensazioni, più che di storie.

E sono ancora stordita da questo libro che ho finito di leggere diverse settimane fa, ma alle volte il seme per germogliare ha bisogno del momento e delle condizioni giuste.

Capita allora che svariate centinaia di pagine costituiscano il fulcro centrale di pensieri insonni e di dialoghi intimi. Frasi condivise soltanto con chi può veramente comprendere l’essenza. Con le poche persone che hanno sentito il peso della privazione della libertà sulle proprie spalle.

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Le porte del convento per lei, come per molte altre, si sono aperte per necessità più che per vocazione. Le regole e i sacrifici per il culto del Padre però non sfiniscono la sua mente che oltrepassa le mura.

La libertà ha per molte donne il profumo della carta e dell’inchiostro, figlie di Eva nel bene e nel male, fameliche della mela della conoscenza.

Beatrice ha molta fame e i testi accettati dalla legge del Padre non bastano, vuole sporcarsi le mani scavando anche in quei luoghi proibiti.

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Ci blandiscono, ci seducono, i libri.

Penso al seme che germoglia dentro questo libro, un seme che non avrebbe possibilità di crescere se non ci fosse stato il prezioso concime della curiosità oltre ogni paura.

Se la mente di Beatrice non si fosse spinta ad infrangere certe barriere, per raggiungere il pensiero dei grandi filosofi del passato, se non avesse osato sviluppare radici solide di conoscenza, intrecciando dialoghi e scambi, allora il seme avrebbe trovato un terreno arido.

Vi starete domandando se Il libro di Eva è una storia che parla di libri. No, parla di libertà, di lotta, di sorellanza.

Siamo nel XVI secolo, in un convento e siamo in mille epoche diverse, nel cuore di mille donne oppresse dal patriarcato.

L’arrivo del libro misterioso e segreto è la condizione fantastica, ma non troppo, che porta alla luce culti antichi e mai dimenticati.

Un libro senza parole e senza storia, fatto di mille parole e antico quanto Eva.

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Torture, roghi di libri, privazioni e dominazione psicologica sono il vessillo dei seguaci del Padre. Essi premono la mano per soffocare ogni forma di pensiero proveniente da un corpo femminile.

Silenzio, sottomissione e preghiera.

Quando il Figlio risorge, le donne, le Tre Marie, tornano dal sepolcro e raccontano agli uomini, ai discepoli del figlio, quel che è successo, ma loro non ci credono.

Non ci credono perché la parola è quella di una figlia di Eva.

La religione assume la forma di dittatura che mira a dominare ed estremizzare, ed io non posso fare a meno di pensare in quante epoche storiche si possono sovrapporre gli eventi del Libro di Eva, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Eppure …

La ruota gira. Lei risorgerà.

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Colei che ama i suoi figli sotto ogni forma e che non è stata mai dimenticata.

Forse lo è stato il suo nome, ma il suo seme è stato tramandato con lievi sussurri fra le donne nel lavatoio, nel profumo delle erbe curative messe ad essiccare, nei racconti delle madri alle figlie prima di dormire, nell’amore donato senza niente in cambio.

Lei è sparita ed è sempre stata davanti ai nostri occhi, lei è il pensiero del cambiamento e della lotta ai soprusi , lei è la grande magia, è la Verde Madre, è la Dea Madre, è la donna, è Eva, è tutte noi.

Ho versato molte lacrime, mi sono a volte sentita sopraffatta dal dolore e ho avuto paura di non trovare la via d’uscita, ma un modo c’è sempre e supera ogni limite imposto.

Non smettere mai di credere, di conoscere, di essere.

Il libro di Eva

Per leggere la trama clicca qui

Insieme a Marta, di Labirintando con Jana abbiamo fatto una diretta!

Abbiamo discusso di emozioni, simbolismi e altri aspetti che questo Il libro di Eva cela.

Ti invito ad ascoltare la registrazione sul canale di Labirintando con Jana.

La sua voce è un fruscio, un rombo, un sussurro; è la voce del libro, la voce degli antichi luoghi della Madre, la voce di Naiadi, driadi, sibille, veggenti, sfingi, sacerdotesse, profetesse, è la voce di Madre Chiara, di tutte le nostre madri, della Madre.

La casa dalla porta dorata. Non c’è scelta per chi non è Uomo o Aristocratico.

La casa dalla porta dorata. Non c’è scelta per chi non è Uomo o Aristocratico.

Lo aspettavo da molto tempo e finalmente oggi: 16 maggio 2023, il secondo libro di Elodie Harper è in tutte le librerie. Seguito de Le lupe di Pompei, sugli scaffali di tutte le librerie e, finalmente, tra le mie mani, arriva La casa dalla porta dorata.

Ricordate le ragazze del lupanare di Felicio?

Amara ormai liberata dal generale della flotta romana Plinio e sotto il patrocinio di Rufo è fuori dalle follie rabbiose del feroce lenone.

Didone, la migliore amica di Amara, è stata trafitta da un pugnale che l’ha uccisa al posto di Felicio.

Ed ora eccoci qui, tra le mura de La casa dalla porta dorata.

Qui vive Amara, ormai liberta, come concubina di Rufo a cui la ragazza piace fragile come un uccellino in gabbia e come tale vuole vederla cantare e suonare.

Quello che il patrizio non sa è che Amara potrà anche essere l’oggetto dei suoi desideri ma non è fragile.

La realtà, che la spaventa, è che la sua sete di libertà e indipendenza la fa somigliare all’uomo che fino a poco tempo prima era il suo padrone.

Amara, non Timarete (il suo vero nome, quello che le ha donato suo padre alla nascita), è costretta ad essere quello che la vita le ha insegnato.

Più che un nome il suo è, ormai, un titolo conquistato a fatica.

Purtroppo oltre ad essere spregiudicata e dotata di un forte senso di sopravvivenza, Amara è la trasfigurazione della vendetta della dea Diana.

La dea che ne La casa dalla porta dorata ha il volto di Didone è la mandante di una furia chiamata Vendetta.

Quest’ultima si è impossessata di Amara e l’acceca con il dolore per la perdita della sua amica.

È per perseguire la tempesta della vendetta che si ritrova ad avere a che fare con Felicio, di nuovo.

Amara costringe l’uomo a liberare Vittoria e venderle Britanna; così facendo si indebita e si ritrova in una spirale discendente in cui trascinerà tutto quello che ha di più caro.

Forse, in fin dei conti, Gaia Plinia Amara non è così spregiudicata come crede di essere.

Questa, come il precedente libro, non è una storia di salvezza.

La casa dalla porta dorata non è la libertà.

Quattro mura costituiscono l’illusione di avere qualcosa che le appartenga ma sono solo una gabbia più grande con un guinzaglio più lungo di qualche metro.

Il precipizio è ancora lì: più lontano forse ma più profondo di qualche decina di metri.

Amara non sta giocando con il fuoco ma con l’intero cratere che sovrasta Pompei e, ormai, non è più il suo solo destino ad essere appeso ad un filo sottilissimo.

La scelta è chiara: sopravvivere ancora a dispetto di tutti e tutto o sfidare la sorte con le carte più orribili che il destino può servire?

L’esistenza di Amara è un gioco sulla lama di un rasoio; ogni respiro è una lotta per la sua anima in cui il suo antagonista peggiore è il riflesso che vede nello specchio della sua toeletta.

La casa dalla porta dorata è un altro successo di Elodie Harper.

La condizione della donna della seconda metà del I secolo d.C. non è il solo scoglio che viene affrontato e su cui il lettore viene spinto fino a frantumarsi ed escoriarsi la pelle, ma è l’intero substrato sociale che muove l’impero ad essere sviscerato ed esposto come un corpo lasciato a marcire nella discarica fuori le mura di Pompei.

Della fiorente città campana noi ricordiamo le favolose rovine, i meravigliosi doni che ancora ci restituisce, i magnificenti dipinti e i ridanciani motti di spirito sui muri ma… tra quelle vie e quelle mura vivevano migliaia di persone di cui la storia ha dimenticato di prendere nota.

Ora ce li ricorderemo tutti, grazie a questa saga, possiamo dar loro un nome da iscrivere sulle steli.

La casa dalla porta dorata

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Approndimenti? Qui

Chiude gli occhi, immaginandosi di essere a casa, al sicuro nel suo studio privato, non seduta qui, sulla pubblica piazza, a sorridere nonostante la paura.