Ho incontrato questo libro di Ken Greenhall sullo scaffale virtuale di un contatto social e sono rimasta folgorata dalla copertina. Se a questo aggiungo che Elizabeth, un nome che già da solo suscita timore e mistero, è pubblicato da Adelphi, voi capirete, non potevo esimermi dal leggerlo.
Elizabeth viene presentato come Romanzo dell’innaturale.
Effettivamente ci sono molte cose che non sono affatto naturali nella storia ma non sono del tutto certa che siano quelle che si volevano intendere.
O, invece, lo sono.
Non so dirvelo ma posso parlare di quello che è parso a me.
Io, che leggo di notte, mi aspettavo una tensione che non ho trovato.
L’avevo pregustata, me la meritavo e la agognavo e invece… invece ho atteso invano.
Il romanzo è ambientato in gran parte in una casa coloniale alle spalle del porto in disarmo di Manhattan, della laboriosità industriale sfolgorante non vi è più traccia.
Ecco, mi sono sentita così: in disarmo forzato dopo un eccesso di aspettativa, seduta sul molo con lo sguardo vuoto in attesa di qualcosa da fare.
Mi sono confrontata con altri lettori di questo romanzo, ovviamente il mio non è l’unico punto di vista.
Alcuni dei miei interlocutori hanno gradito le pagine di Greenhall ma in tutti i loro commenti ho trovato una frase a suffisso del loro giudizio positivo: “mi è piaciuto ma non so perché”.
Coloro a cui è piaciuto Elizabeth non sanno il perché questo sia accaduto con precisione.
Io non posso dire che non mi sia piaciuto del tutto ma posso dire che ho letto storie molto più appassionanti.
La storia di base è abbastanza semplice: Elizabeth, rimasta orfana in seguito a uno strano incidente avuto dai genitori, viene adottata dalla nonna e dagli zii.
Sembra semplice ma non lo è. Perché raccontato così, potreste pensare di aver letto una storia simile un milione di volte.
Invece io vi dico che avete ragione ma al contempo non l’avete.
Elizabeth ha quattordici anni, ci tengo a specificarlo e ha una relazione piuttosto disfunzionale con il fratello di suo padre.
Non vi sto anticipando nulla, è tutto nelle prime dieci pagine del libro.
Il romanzo è permeato di cattiveria e violenza e nonostante lo scorrere del tempo sia quello quotidiano, l’impressione che io ho avuto è che in questo lembo di terra in cui la ragazza vive, in ognuno dei luoghi in cui lei arriva, la luce si spenga all’improvviso.
Ad accentuare questa orribile sensazione di costante tenebra c’è la costante disillusione di questa adolescente verso il mondo.
Caustica, disincantata, crudele ma al contempo narcisista ad un livello patologico e persa in un mondo popolato di stregoneria che non sono affatto sicura che sia reale.
Sicuramente è reale per Elizabeth ma, per chi è fuori dai suoi soliloqui tetri e dai rapporti manipolatori che intrattiene con le persone che la circondano, è difficilmente credibile.
Forse, è tutto nella sua testa.
Probabilmente la storia che dovete leggere è tra le righe e non quella che Elizabeth vi sta raccontando.
Forse è questo elemento che ha lasciato noi lettori con quella sensazione di “non so il perché”.
A sostenere questa sensazione straniante nei confronti del libro è il linguaggio con cui è stato scritto.
L’autore usa frasi che contengono verità universali e in totale contrasto con quello che sta accadendo nella pagina, inserendole nel testo con lo stesso tono con cui potreste parlare delle condizioni meteo di una comune giornata lavorativa.
Elizabeth è un libro di streghe che non incanta e, forse è questo il suo potere.
Elizabeth non ha bisogno di usare un incantesimo per convincere ad essere dalla sua parte della storia, ha solo bisogno di qualcuno disposto a non comprendere che anche una ragazza così giovane può essere IL MALE.
O forse l’incantesimo è credere che IL MALE non possa essere qualcosa di banale come l’umanità.
Ve l’ho detto, forse conoscete già una storia simile, forse nella cronaca di ogni giorno.
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“Credo di essere una persona che ispira amore. Non so bene perché, visto che io amore non ne ho mai dato né cercato. Ma non lo rifiuto quando mi viene offerto da chi finge di capirlo e di averne bisogno. Forse l’amore è il male”.
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