La Colonia. L’inguaribile ferita di un popolo

La Colonia. L’inguaribile ferita di un popolo

L’identità di un popolo affonda le sue radici nella sua storia e nella propria lingua, attraverso un viaggio in un’isola nell’isola, La Colonia ci accompagna all’interno delle dinamiche subdole della violenza coloniale.

I pensieri che leggerete di seguito, cari viaggiatori, scaturiscono dalla comunione fra la lettura di questo libro e il bisogno di sfogare dei sentimenti che sono legati anche al mio popolo, seppur appartenente ad una diversa isola; con una diversa storia, ma con lo stesso bisogno di essere riconosciuto.

Riconoscersi nella vita isolana non è una passeggiata, o meglio lo è per chi ha solo l’esigenza di spalmarsi la crema solare e di raggiungere la prima spiaggia affollata da altri turisti.

La vita quotidiana sull’isola è ben altra cosa, i giorni trascorrono nel tentativo di sopravvivere mentalmente alla monotonia di confini fin troppo calpestati.

Lo sguardo dei più giovani si stanca nel vedere all’orizzonte soltanto mare sconfinato.

La ricerca del nuovo, dell’illusoria modernità, li trascina spesso verso nuove scoperte.

L’importante è non dimenticare dove è stato piantato il seme e dove risiede la radice della storia del proprio popolo.

Il mare ruba ogni anno un pezzetto di costa e i voraci visitatori con la pretesa di uniformare il mondo, rubano pezzi di identità.

C’è molta rabbia nelle mie parole, lo so, ma l’isola , nel mio caso quella in cui vivo, è il grido acuto di dolore storico e contemporaneamente è il canto d’amore eterno.

L’isola non perdona, ma dà sempre un’altra possibilità.

Ho stretto spesso i denti mentre leggevo le pagine de La Colonia, c’è dentro tanta ricerca e voglia di raccontare la silenziosa e millenaria lotta di un popolo che vive accontentandosi di ricordare, finché si può, finché almeno le parole rimangono intatte come quelle antiche.

Parole tramandate, a volte solo sussurrate, per paura di venire additati come appartenenti a quella “specie” che ormai è quasi in via di estinzione, che è stata domata pian piano, a volte con il bastone e le bombe, altre volte con le leggi.

No, domata mai, ma smussata e depredata.

Dentro il cuore si insinua il bisogno di stare nell’ombra e ci si capisce soltanto con uno sguardo.

Perennemente in difesa per custodirsi dai predatori.

Irlanda come Sardegna, fa male al cuore.

Arrivano in tanti come moderni Lloyd, alla ricerca dell’emozione e dell’avventura ma solo a certe condizioni.

A volte vogliono solo immortalare la magia di certi tramonti, altre volte il tramonto lo vogliono proprio portare a casa e mettere in bella vista sul mobile all’entrata.

Altre volte sono alla ricerca dell’esperienza mistica, ripassando storia e leggende dell’isola in un opuscolo turistico e hanno la pretesa di spiegarci cosa è meglio.

Quando ci si preoccupa di chiedere agli abitanti dell’isola come la pensano?
Quando si ha il tempo di stare ad ascoltare invece che pretendere risposte?

Audrey Magee ne La Colonia pone silenziosamente tutte queste domande.

Un racconto per chi non ha bisogno di colpi di scena , ma preferisce immergersi nella vita di una piccola isola del nord Irlanda, quasi completamente spopolata, che può offrire soltanto autenticità.

Masson le accarezzò la mano per incoraggiarla a proseguire:

” Gli uomini dell’isola pescano ancora, ma le donne e i bambini non scendono più a riva,

non raccolgono più niente,ed è un gran peccato, mi rende molto triste, perché laggiù c’è moltissimo cibo,

tanto buono tra le alghe e i molluschi che possono difenderci dalle malattie.

Una narrazione malinconica e indimenticabile, un sapore amaro che porto dentro da sempre e che ritrovo in queste pagine.

L’autrice, finalista al Women’s Prize for Fiction, al Festival du Premier Roman e all’Irish Book Award con “Quando tutto sarà finito” è stata anche finalista la Booker Prize con La Colonia.

La storia che si svolge ad un ritmo tutto suo nella piccola isola, viene intervallata da fatti di cronaca molto pesanti che riportano l’attenzione sugli attacchi terroristici e sulle continue lotte che insanguinano l’Irlanda.

Uno schiaffo ad ogni capitolo che rompe l’apparente, ribadisco soltanto apparente, immobilità dell’isola.

Un capolavoro di consapevolezza.

La Colonia

Per leggere la trama de La Colonia clicca qui

Tà mé anseo anois.

Lloyd si vestì.

Che cosa significa?

Sono qui adesso.

Sì, sei qui.

Sketchbook vol.1. La sacra arte del segno.

Sketchbook vol.1. La sacra arte del segno.

Oggi cari viaggiatori voglio rompere la consueta routine di racconti, per invitarvi a fluire dentro il disegno senza parole: Sketchbook vol.1.

Si tratta di un’opera di Elena Albanese, artista già conosciuta per The goddess temple Oracle cards e per i meravigliosi lavori su commissione che rappresentano gli archetipi delle Dee.


Dedicarmi ad un sentire puro e, se vogliamo istintivo, è stata una splendida avventura.


Mi sono ritrovata a riflettere spesso su quanto siano necessarie le parole dentro le pagine e sono giunta ad una conclusione estremamente personale.
La lettura implica un necessario ragionamento, riflessioni sui fatti e anche tanta voglia di lasciarsi guidare dall’autore verso la meta da lui definita.
Questo ovviamente è intercalato da tutta quella serie di pause, durante la lettura, che portano la mia fantasia molto lontano, spesso creando nuove situazioni e possibili finali; è sempre un viaggio molto emozionante per me.


Un viaggio che non sempre si conclude con la fine del libro.


E quando il libro non parla nel modo consueto?

Avere fra le mani un libro fatto esclusivamente di immagini porta la mia mente a voler vestire la pelle del serpente, questo perché il serpente è un animale estremamente istintivo e leggendariamente potente.


Striscio lungo il tratto, saggiandone lo spessore e l’intensità.

Circondo l’immagine con occhi, pelle e sensi estremamente acuiti.


E poi mi lascio afferrare dall’emozione e ne divoro l’essenza.

Faccio in modo di divenire parte di quei corpi sacri che Elena sa così meravigliosamente sacralizzare.


C’è qualcosa di ferino nei suoi disegni, un’eco antica che si risveglia e inizia a pulsare forte e prepotente.
Un pulsare così importante che niente è più lo stesso, mi fondo come una macchia di colore nel dipinto e in un attimo…

Io sono lei e lei è me.


Ciò di cui vi ho appena parlato è il tumulto di emozioni che ho attraversato ad ogni pagina, dentro gli occhi di ogni creatura disegnata da Elena.


Non ho però gli strumenti adatti per parlare di tecnica, quindi ho deciso di lasciare che sia proprio la creatrice dello Sketchbook vol.1 a raccontarvi delle sue scelte e del suo percorso partendo innanzitutto dalla definizione di Sketchbook

Elena:

Uno schizzo, bozza o sketch è l’unione di quei primi segni esplorativi nella traduzione in immagine di un pensiero o visione.
Porta in sé la freschezza e l’immediatezza di un gesto istintivo che va man mano approfondendosi e affinandosi.
Lo sguardo si rivolge verso una direzione ad osservare e pian piano, attraverso lo scorrere della matita, si entra nell’ambiente, nella scena, completamente aprendo una relazione e un dialogo attivo con il soggetto incontrato.


Ricordo e tengo caro il giorno in cui udii delle parole molto simili a queste ultime, relative al dialogare, da John Howe uno dei miei artisti preferiti da cui ho avuto l’onore di poter apprendere qualcosa direttamente durante un workshop che tenne al Lucca Comics di un po’ di anni fa in una maniera totalmente delicata eppure estremamente potente.
Ne ricordo lo stupore, l’emozione, le lacrime e il mio guardare in maniera incredula la mia collega e amica poichè sentivo che stava provando ad esprimere qualcosa di molto profondo, che avevo provato e relazionato in maniera forte con alcune pratiche spirituali di viaggio, che avevano mosso emozioni molto profonde in me, conducendomi verso i contenuti che tento di esprimere.

Le sue parole e il modo in cui le espresse avevano smosso e consapevolizzato delle cose in maniera chiara.

Quell’incontro attivato, quel dialogo, è più prezioso del risultato finale dell’opera stessa e attraverso la condivisione dell’opera si può attivare un altro dialogo che si apre al mondo.

Perché Scegliere lo Sketchbook?

Ho sempre amato molto gli sketchbook dei vari illustratori e illustratrici che seguo e ne colleziono diversi, ognuno con la sua impronta personale assieme ai vari libri illustrati e non.

Adoro perdermi nelle loro esplorazioni che diventano talvolta dei carnet de voyage, dove si rivela parte della direzione del loro sguardo, del loro modo di vedere e interpretare, della loro emozione.


L’idea di produrre un primo volume che raccogliesse parte dei miei sketch e matite nacque intorno al 2013, dopo la produzione del mio primo libro illustrato.

Avevo iniziato a raccogliere e conservare le bozze migliori, a selezionare, impaginare, disfare, rifare da zero.

Poi il ritmo si è allentato per dar spazio ai progetti e lavori in corso, ma le immagini hanno continuato a muoversi quotidianamente.

Hanno bussato la porta, talvolta nei momenti più inaspettati, e richiedendo qualche ora di tempo rubato qua e là per sedermi e dare spazio a quel momento di relazione.


Questo libro contiene molta parte di quegli incontri e delle esplorazioni di questi anni.

Parte dagli elementali per muoversi attraverso alcuni dei volti della Dea.

Incontra donne medicina, mitologie (come ad esempio la Vǫluspá), il cammino spirituale, alcune tematiche esoteriche come il tarocco, il tema della morte.

Tutte tematiche a me care e fondamento della ricerca personale che incontra la mia espressione artistica.

Si riposa e rilassa poi su alcune pagine più prettamente fantasy, tra creature immaginarie ibride, liberando la mia parte più giocosa e fanciullesca.


Mi piace pensare che tra te, me e i soggetti ritratti nel libro si instauri un nuovo dialogo.

Un punto di incontro caldo come quel racconto attorno al fuoco di cui abbiamo parlato,

dove potersi guardare negli occhi e nell’anima con apertura di cuore e delicatezza.

Sono qui, sei qui… cosa ti ispira e tu come vedi, come senti, dove si dirige il tuo sguardo?

E se stiamo guardando nella stessa direzione cosa osserva il tuo cuore?

Se interessati all’acquisto, vi prego di contattare Elena Albanese nei social Facebook e instagram

L’urlo di Fedra. Denuncia di uno stupro sociale dagli echi del mito

L’urlo di Fedra. Denuncia di uno stupro sociale dagli echi del mito

Siamo a Creta, nel palazzo di Cnosso, alla corte di Minosse e Pasifae. Vi hanno raccontato tante versioni di questo mito. Lo hanno fatto i soliti ignoti: Euripide, in due versioni perché dovette correggere la prima dell’Ippolito velato; Seneca nella sua Phaedra; Sofocle nella sua opera perduta e volle cimentarsi anche il grande cantore degli amori Ovidio nelle Eroidi con una lettera di Fedra a Ippolito. Al giorno d’oggi, Laura Shepperson scrive una nuova versione di questa storia: L’urlo di Fedra.

Partiamo dal principio della storia: Chi è Fedra?

La principessa è figlia del re di Creta Minosse e della regina Pasifae e sorella di Arianna. La sua infanzia è piena di “incidenti mitologici” per dirla in maniera sottile.

Il mito racconta molte cose incredibili sulla famiglia della principessa.

Sua madre, la regina Pasifae, mise al mondo il Minotauro dopo essersi accoppiata con uno dei tori sacri. Il re Minosse fece costruire da Dedalo, il grande ingegnere del mondo antico, il famoso labirinto per rinchiuderlo e per sacrificare le vite degli ateniesi mandati come “indennizzo” a Creta per la morte del primo figlio del re.

Sua sorella Arianna, dopo aver aiutato Teseo (che nella mitologia è una sorta di prezzemolo adatto ad ogni storia, un po’ come Agamennone e Ercole) ad uccidere il mostro nel labirinto, fugge con il principe ateniese che dopo poco l’abbandona.

Arianna diventerà la sposa di Dioniso, ma la nostra autrice ha altri piani per la sua tragedia.

Che Teseo non sia l’eroe che tutti hanno sempre creduto non è cosa nuova, quindi aggiungere un omicidio non farebbe nessun danno alla sua reputazione.

Il destino di Fedra, dopo che Arianna è fuori dai giochi matrimoniali di Minossse, è segnato: convolerà a nozze con il principe ateniese.

Quello che arrivò a Creta come principe, tornerà ad Atene come re. Non ha dovuto nemmeno sporcarsi le mani, gli è bastato dimenticare di far cambiare le vele alla sua nave.

Considerato tutto si potrebbe dire che il Fato stava architettando per lui la giusta compensazione per i suoi misfatti.

Certo, ma quelli come Teseo cadono in piedi e continuano a brillare di luce propria.

Se tutto questo fosse una favola moderna, con un’aggiustatina dal punto di vista del politicamente corretto, si potrebbe dire: Fedra sposa il principe, diventa regina e tutti vissero felici e contenti.

Peccato che il mito non esiste per arci sentire a posto con la coscienza.

Sulla copertina del libro campeggia il titolo: L’urlo di Fedra.

Cosa accade ad Atene? Nel mito i due sposi mettono al mondo la loro prole e, mentre Teseo se ne va a passeggio per le sue imprese eroiche, Fedra si innamora di Ippolito (figlio del precedente rapporto di Teseo con un’Amazzone).

Ippolito non può accettare questo amore e rifiuta Fedra. La regina furiosa e amareggiata racconta, al ritorno del marito, di essere stata violentata da Ippolito che viene accusato ingiustamente mentre la regina si suicida.

La corte ateniese de L’urlo di Fedra è ben diversa.

Arianna è morta annaspando tra le mani di Teseo che stringeva via via sempre più forte mentre Fedra sta per cadere in una trappola che, per una volta, Teseo non aveva immaginato nemmeno di poter progettare.

Ippolito è un giovane viziato e insofferente attorniato da una cerchia di giovani che potrebbero essere assimilati ai Proci che assediavano la corte di Ulisse al suo ritorno ad Itaca.

Il re ateniese, com’è ovvio, non si può esimere dal partire. A Fedra non è interessato e per lui è poco più che un ostaggio sottratto a Minosse per non invocare una nuova cernita di giovani ateniesi.

La regina vive segregata e lasciata a se stessa in un’ala del palazzo che, per farvi capire, è come se fosse la torre degli ospiti indesiderabili de La spada nella roccia.

Il rapporto con Ippolito è tempestoso, lei cerca di avvicinarsi la figlio di Teseo per fare in modo che loro rapporti siano civili o amichevoli, mentre il ragazzo la respinge e i suoi amici mettono in giro strane voci sul fatto che la regina, di fatto ma non in pratica, stia tentando di sedurre il loro principe.

Una notte Ippolito, sedicente adepto senza macchia di Artemide, stupra senza pieta Fedra lasciandola più morta che viva tra il fango e le sterpaglie.

La sua motivazione? È stata lei a farglielo fare.

Come? Nella solita maniera in cui uomini di una certa caratura morale accusano donne di averli fatti deviare dal loro cammino fatto di rettitudine e santità.

Fedra decide che Ippolito deve pagare. L’urlo di Fedra è l’urlo di tutte le donne di Atene.

Incinta e derisa dalla città, invece di scappare, decide di affrontare Teseo e obbligarlo ad emettere un giudizio equo nei confronti di Ippolito.

Teseo non può fare a meno di essere l’eroe di se stesso, non può permettere che il suo unico figlio paghi e cerca di comprare il silenzio della sua regina.

No, lei non può accettare.

Quindi, il processo ha luogo e il principe viene ritenuto…

Da qui dovete procedere da soli. Perché L’urlo di Fedra riecheggia in tutto il finale che ha comunque il sapore della tragedia che poteva essere evitata.

Laura Shepperson si prende diverse licenze dal mito, è lei stessa a dirvelo ma nel mito non è reato se lo di fa con lo scopo di denunciare le ingiustizie.

Lo ha fatto Euripide, lo ha fatto Seneca e lo hanno fatto tutti gli altri: denunce sociali in un tessuto culturale che sembra vedere ma non muoversi altrettanto velocemente, quindi perché questa Tragedia dovrebbe essere impostata diversamente?

La narrazione è impostata a più voci come richiedono la Tragedia e il teatro greco.

All’inizio della lettura pensavo che questo modo di narrare, ormai presente in ogni retelling dei classici mitologici, sarebbe stato penalizzante per la narrazione.

Perché? Voi non vi infastidite se tutti i libri sembrano uguali?

Invece l’Urlo di Fedra deve essere una Tragedia Corale, non può essere altrimenti. Se una sola Persona urla mentre le altre tacciono non si andrà mai troppo lontano.

L'urlo di Fedra

Volete sapere dove trovare L’urlo di Fedra? Cliccate sulla parola LINK!

Ogni uomo può lanciare parole in aria,
e che sono le donne a dover pagare,
quando le parole arrivano a terra.

Elettra. La tragedia di Sofocle rinarrata da Jennifer Saint.

Elettra. La tragedia di Sofocle rinarrata da Jennifer Saint.

Nel 409 a.C. Sofocle mise in scena la storia di una delle figlie di Micene. Suo padre era il grande Agamennone, il re che (si dice) portò i greci alla vittoria su Troia; sua madre era Clitennestra, la sorella di Elena che fu colei per cui (si dice) sia scoppiata la guerra di Troia. Lei, la nostra protagonista, era sorella di Ifigenia, di Crisotemi e Oreste: il suo nome è Elettra.

Sofocle non fu l’unico a scrivere una tragedia sulla principessa ma nelle altre opere, per esempio quella di Euripide, non troviamo l’Elettra che Jennifer Saint ha voluto che conoscessimo.

Come nello stile delle tragedie del teatro greco la Saint scrive usando più voci, quella di Clitennestra e quella di Cassandra, che al lettore possono sembrare troppo preponderanti al confronto di quelle della principessa.

È vero, Clitennestra e Cassandra hanno fin troppa voce in questo libro e potrebbe capitare di chiedersi che fine abbia fatto la donna da cui il romanzo prende il nome.

In fondo, Sofocle affida tutta l’azione ad Oreste.

Ma dovete mettere tutto in prospettiva. Questa non è la mera storia della principessa micenea ma anche una sorta di omaggio al tragediografo che di Elettra ci restituisce il furore.

Elettra non è colei che attua le azioni più importanti della vicenda ma ne è il motore e il carburante.

La regina Clitennestra e la principessa Cassandra sono coloro che conoscono tutto ciò che c’è da conoscere sul padre che Elettra tanto ama.

Come Oreste è la mano che gli dei mandano alla vendetta, Clitennestra e Cassandra sono le custodì della verità che Elettra si rifiuta di vedere.

Faremo un processo ad Agamennone? Credo che la sua storia e il suo destino abbiano già fatto abbastanza per questo tracotante personaggio che non conosceva limiti.

In questo Elettra è davvero sua figlia: la mancanza di percezione di tutte le realtà davanti ai suoi occhi è sbalorditiva.

Anche questo elemento della personalità di Elettra è ben reso dalla disposizione dei capitoli dell’opera della Saint: Elettra è talmente distante dalla vista del lettore che ogni volta che appare la percezione che si ha di lei è così fuori fuoco dalla realtà da renderla poco più che la bambina inerme delle Coefore di Eschilo o della donna rosa dai sensi di colpa di Euripide.

Ho dovuto riprendere in mano appunti di scuola e le fonti per rendermi conto dell’enorme lavoro di progettazione di questa storia, a prima vista non lo avevo notato e mi sono sentita piuttosto sciocca.

Ma, a questo punto, mi devo chiedere: i giovani che di Elettra conoscono solo l’appartenenza alla mitologia, capiranno questo gioco di sguardi tra la storia del teatro greco, la protagonista e il retelling mitologico?

Il linguaggio è quello giusto, forse manca una piccola spinta verso la giusta direzione e spero di essere stata di un qualche contributo in merito.

Elettra è un personaggio dalle molte facce ma il sentimento che la tiene in piedi è l’Ira che come avrete modo di vedere non è mero appannaggio di Achille.

Tutti ricordano la spiaggia di Troia ma non che sia stata la vita della mite Ifigenia a permettere che le navi partissero dalla Focide; la storia da la colpa alla fedifraga Elena e alla pazza Clitennestra della sorta del più grande dei greci ma mai ricordano che pur di avere lo scettro Agamennone ha mandato a morte la sua stessa progenie ingannandola nella più vile delle maniere.

Per la gloria e l’onore direbbero i grandi condottieri ma per è per la follia, la cupidigia e il possesso che tutto si è messo in moto.

Elettra è il secondo libro del progetto editoriale di Jennifer Saint sulle donne del mito. Il primo, sempre edito per Sonzogno, è Arianna mentre il prossimo sarà su Atalanta.

Elettra

Dove leggere e trovare Elettra? Schiacciate la parola LINK

Bramavo di prendere il posto di una schiava che non aveva nulla, eccetto la cosa che io volevo di più al mondo: l’abbraccio di mio padre.

Piccole cose da nulla

Piccole cose da nulla

Buongiorno viaggiatori oggi vi parlo di Piccole cose da nulla, una storia breve ma intensa e straordinaria.

Questo libro mi è stato regalato da mio marito a Natale, ci ho messo qualche mese per riuscire a scrivere questa recensione perché, nonostante le poche pagine, è stato in grado di raggiungere subito il mio cuore.

Il protagonista di Piccole cose da nulla è Bill Furlong, un commerciante di carbone e legname.

A scuola, Furlong veniva regolarmente schernito e preso a male parole; una volta era rientrato col dietro del cappotto coperto di sputi, ma la sua relazione con la grande casa gli aveva dato un certo margine di sicurezza, e lo aveva protetto. Perciò era andato avanti a studiare, frequentando per un paio d’anni la scuola professionale prima di finire al deposito di carbone, a fare più o meno lo stesso lavoro degli uomini che ora erano sotto di lui, e aveva fatto strada. Aveva testa per gli affari, tutti lo consideravano una persona a posto e di cui ci si poteva fidare, perché aveva assorbito le buone abitudini protestanti;

Un brav’uomo che con gentilezza e rimboccandosi le maniche è riuscito a mandare avanti la famiglia.

Bill è cresciuto solo con la madre, il padre non lo ha mai conosciuto, nonostante questa mancanza ha sempre avuto rispetto per tutti, soprattutto per la madre verso cui nutre un forte istinto di protezione.

Furlog veniva dal niente. Meno di niente, avrebbe detto qualcuno. Sua madre era rimasta incinta a sedici anni mentre lavorava come domestica dalla signora Wilson, la vedova protestante che abitava nella grande casa padronale qualche chilometro fuori città. Quando venne fuori il pasticcio, e la famiglia chiarì che non avrebbe più avuto a che fare con lei, la signora Wilson invece di metterla alla porta, le disse che poteva rimanere a lavorare lì.

In queste pagine Bill racconta tante piccole cose del vivere quotidiano, le difficoltà, la sua vita con la famiglia e mette il lettore di fronte a tanti interrogativi.

Tante piccole cose da nulla che di piccolo non hanno poi molto.

Ciò che l’autrice scrive in queste pagine non lascia indifferenti. Dietro l’apparenza si nasconde qualcosa di inatteso e inimmaginabile.

Erano tempi duri, ma Furlong era più che mai deciso ad andare avanti a testa bassa, a stare al suo posto, a non alzare la cresta, a non far mancare niente alle figlie, a farle studiare finché non avessero completato la loro istruzione alla St Margaret, che in quella città era l’unica scuola femminile di un certo livello.

Mentre il paese si prepara a Natale, Bill si trova davanti a qualcosa che forse avrebbe preferito non sapere.

Ed è qui che inizia a domandarsi se continuare a far finta di non sapere oppure a prendere posizione.

All’apparenza può sembrare un racconto normale ma, andando avanti nella lettura, scoprirete che, in piccole cose da nulla, si nasconde una storia in grado di cambiare il nostro modo di vedere le cose e soprattutto di pensare.

Un libro che mette al centro in modo semplice cose importanti come la giustizia e la dignità che non devono mai mancare.

Il mondo è un posto pericoloso, non solo a causa di quelli che compiono brutte azioni, ma per quelli che osservano senza far nulla.

Claire Keegan nasce come scrittrice di racconti.

Piccole cose da nulla è un racconto lungo, un romanzo breve che merita di essere letto per la sua potenza.

L’Irlanda degli anni ottanta fa da sfondo a questa storia, l’ambientazione di campagna ci mette in contatto con il valore delle piccole cose, ma non solo…

Una fiaba alternativa, ricca di descrizioni che nascondono storie difficili, soprattutto riguardo il mondo femminile.

Durante la lettura ho avuto la sensazione che sotto la neve di questo paese si nascondesse un qualcosa che forse l’autrice ha cercato di rendere più soft grazie al candore e alla magia del Natale.

Un romanzo che mi ha piacevolmente stupita e che consiglio di leggere anche se lontani dal Natale, periodo scelto dalla casa editrice per la pubblicazione.

Se volete leggere la trama, cliccate qui.

Ma la gente diceva un sacco di cose, e una buona metà di quelle voci non era credibile: in città non erano mai mancati quelli che non avevano niente da fare, a parte pettegolare dalla mattina alla sera.

Nemmeno Furlong era portato a credere a certe storie, anche solo parzialmente, ma una sera era andato al convento con un carico di carbone molto prima dell’ora di consegna prevista e…

Maledizione Notre-Dame

Maledizione Notre-Dame

Ci sono patti silenziosi, sussurrati nella penombra, inneggiano creature malvagie che emergono solo se evocate, come l’accordo sancito tra il demonio e il fabbro Biscornet che diede origine alla Maledizione Notre-Dame.

Biscornet è il fabbro divenuto famoso per aver creato le serrature delle porte di Notre-Dame, ma dentro quei meccanismi intricati pare si nasconda lo zampino del diavolo.

A quanto pare i servizi di Biscornet non si sono esauriti mentre era in vita.

Filippo il Bello è disposto a tutto pur di riuscire a salvare il proprio regno, persino ad attraversare quella porta nella notte il cui la luna è completamente nascosta.

Barbara Frale, storica esperta di Medioevo e storia dei Templari, ci trascina nel 1300 per farci assaporare la vita di grandi personaggi come Bonifacio VIII, Dante Alighieri e Filippo il Bello, re di Francia.

Maddalena viene rapita, panico e rabbia si diffondono mentre tante persone iniziano a costruire congetture sul mandante.
Lei non è una donna qualunque, bensì la nipote del Papa e questo pare essere un gesto di sfida verso il suo potere.
Un ordito fatto di ricerca storica e grande passione si intreccia ad una trama interessante ed avvincente.

Intrighi, suspance e piani segreti giocano una partita con la storia.

Maledizione Notre-Dame ci porta dentro il tornado provocato dallo scontro tra il potere temporale e quello spirituale.

I detentori di questi poteri sono: Filippo il Bello, re di Francia e il suo nemico Bonifacio VIII, che alla mera spiritualità preferisce il gioco politico e strategico.

Attorno a loro ruotano personaggi estremamente affascinanti, oltre al Sommo Poeta, si avvicendano uomini di grande saggezza, cultori della conoscenza, alchimisti, medici straordinari al confine fra scienza e magia.

Maledizione Notre-Dame è il quarto di una serie di romanzi storici che per il momento vede il suo epilogo con la morte dell’ultimo Templare e di Francesco il Bello , ma tutto lascia presagire un seguito.

La caratterizzazione di questi personaggi è ciò che ha attirato maggiormente la mia attenzione, insieme alle descrizioni minuziose dei luoghi, degli abiti e delle usanze del tempo.

Quest’ultimo punto, seppur interessante, ha però rischiato di allontanarmi dal racconto, costringendomi a tornare spesso indietro, superando le minuziose descrizioni, per potermi concentrare esclusivamente sui fatti.

Ripercorrere parti di un periodo storico, magari poco conosciuto, ha comunque un grande fascino.

Maledizione Notre-Dame è sicuramente un libro che ameranno gli amanti del genere.

Un libro in cui storia e fantasia sanno mescolarsi insieme come il più prezioso elisir alchemico!

Se vuoi leggere la trama clicca qui

Maledizione Notre-Dame