Buongiorno Viaggiatori, finalmente sono pronta a parlarvi de L’isola dei battiti del cuore , l’ultimo romanzo che ha conquistato ogni parte del mio cuore, dove l’autrice emoziona e supera ogni aspettativa dopo il successo delle sue ultime pubblicazioni.
Laura Imai Messina ha la capacità di emozionare chi legge le sue storie, la sua scrittura ha il potere di coinvolgere il lettore regalando emozioni impossibili da dimenticare.
La storia di Shūichi e Kenta è piena di dolcezza e sentimenti profondi.
Tutto inizia con Shūichi, giovane illustratore di libri per bambini, che si trova ad affrontare il lutto della madre nella casa dove è cresciuto e che cerca di cambiare per renderla vendibile o affittabile.
Ed è qui che attraverso i suoi ricordi conosciamo sua madre, la signora Ono, una donna speciale.
Durante i lavori della ristrutturazione entra in scena il piccolo Kenta che vi ruberà il cuore!
Lui conosceva la mamma di Shūichi, con lei aveva un legame speciale, e con l’ ingenuità di un bambino di otto anni riesce a toccare le corde giuste per accordarsi al cuore già fragile dell’illustratore.
L’isola dei battiti del cuore è un romanzo davvero profondo, che con semplicità riesce a trasmettere messaggi dal valore inestimabile, e supera ogni aspettativa.
Una storia di amicizia che va oltre la differenza d’età.
Un romanzo introspettivo e formativo che consiglio a chi cerca emozioni.
Un uomo di quarant’anni e un bambino di otto si prendono cura l’uno dell’altro facendo vibrare le corde del cuore.
Sono felice che questo libro meraviglioso sia stato proposto per il Premio Strega 2023 da Antonio Pascale.
Ecco la sua motivazione:
Propongo L’isola dei battiti del cuore di Laura Imai Messina, pubblicato da Piemme, per tre motivi.
È un racconto originale e profondo, non ovvio, nemmeno scontato di un incontro, tra un illustratore di quaranta anni e un bambino di otto.
Ognuno lavora con i suoi strumenti, l’adulto con l’immaginazione e la fantasia, e il bambino col gioco, l’illogicità e una certa malinconia. L’incontro è proficuo per i personaggi del libro e per i lettori.
Il secondo motivo è il tema della memoria, tema ignorato da tanti, ma fondamentale perché se non riflettiamo su cos’è e come funziona la memoria non possiamo riflettere su chi siamo e dunque non possiamo raccontarci. Questo libro lo fa, è infatti anche un’indagine sulla memoria e dunque sulle possibilità della narrativa.
Il terzo motivo è l’isola di Teshima nel sud-ovest del Giappone, dove si trova l’Archivio dei Battiti del Cuore, meta dell’emozionante viaggio finale dei due protagonisti. Un archivio che raccoglie le pulsazioni di persone di tutto il mondo, l’archivio dei nostri cuori e delle differenze tra le varie pulsazioni, ogni pulsazione è un racconto, l’insieme è una memoria, l’archivio altro non è la fantasia e la bravura di Laura Imai Messina che ha scritto questo bellissimo romanzo che merita un riconoscimento.
Il viaggio dentro la vita di una famiglia è sicuramente affascinante e al contempo estremamente pericoloso, vengono svelate delle intime quotidianità che a volte risultano essere la miccia in grado di innescare la distruzione della stessa: Con i denti.
Parlare di questo libro non è semplice, gli argomenti stessi di cui parla toccano delle parti vive dentro di me, portandomi a riflettere profondamente su dinamiche poco salutari che appartengono alla famiglia.
Kristen Arnett scrive un romanzo familiare spaventosamente amaro e crudelmente ironico.
Una famiglia composta da Sammie, Monika e il loro figlio Samson, tanto desiderato.
Ho avuto modo di leggere diversi racconti sulle dinamiche familiari di questi tempi, ma questo è diverso dagli altri.
All’inizio pensavo che la diversità fosse perché si parla di una famiglia queer, ma in realtà ciò che mi ha colpito maggiormente è il modo in cui la Arnett riesce magistralmente a parlare dei disagi della vita familiare.
il perbenismo che vuole la famiglia perfetta e felice crolla rovinosamente man mano che le pagine scorrono.
E’ difficile ritagliarsi momenti di vera intimità, è difficile sopportare la definizione di ruoli ben precisi, ma la realtà è che è difficile vivere la famiglia.
Con i denti parla in maniera diretta, non descrive la famigliola felice ma analizza attraverso le fragilità dei personaggi le problematiche che spesso portano alla rovina della stessa.
Facendo questo non fa altro che descrivere, anche se in maniera esacerbata, la famiglia reale.
Primo grande problema è la definizione di ruoli senza margine di elasticità.
Monika va a lavorare, è un avvocato di successo, è sempre elegante, ben vestita e rientra la sera stanca e con poca voglia di collaborare alla vita che si svolge fra le quattro mura di casa.
Sammie ha portato in grembo il figlio tanto desiderato da entrambe e ora si trova incastrata dentro un ruolo che ama, ma che riesce ad accettare solo parzialmente, poiché non le lascia spazio per nient’altro, nemmeno per se stessa.
Proprio quest’ultima si trova a fare i conti con il cambiamento del suo corpo e con gli sbalzi ormonali, con la sua fragilità e anche con l’accettazione di un figlio che le appartiene soltanto per metà.
E’ lei che soffre maggiormente la vita familiare ed è lei che, anche all’interno di una famiglia queer, porterà alla luce la fatica estenuante e la frustrazione che spesso una madre a tempo pieno si trova a vivere.
Sammie rilegge la stessa pagina del libro per giorni, questo ci fa rendere conto del suo grande affaticamento mentale, non riesce ad avere amiche e si ritrova spettatrice della sua stessa vita mentre la guarda trascorrere inesorabilmente.
E pian piano si rende conto che tutto le si sta sgretolando intorno.
Madre, donna delle pulizie, perennemente impegnata e sempre più lontana dal suo sogno di famiglia, ma decisa a lottare con le unghie e con i denti.
La repressione continua del proprio malessere non può durare a lungo.
Forse l’amore è sempre al confine con la violenza. Una prigione di solitudine, rabbia e silenzi.
Samson è un bambino singolare, ha un mondo tutto suo e delle dinamiche di socializzazione molto particolari.
Il libro si apre con una Sammie distratta ed estremamente affaticata e con un episodio che farebbe accapponare la pelle a qualsiasi genitore.
Un episodio che viene sminuito nel tempo, fin quasi a mettere in dubbio il fatto che sia realmente accaduto.
Questo particolare fa già comprendere quanto le preoccupazioni di Sammie vengano prese in considerazione.
L’adolescenza di Samson non rende la vita più semplice, anzi, il ragazzo inizia a comprendere alcune dinamiche della vita ed inizia a demolire sistematicamente le scelte delle madri.
Anche se ho preferito soffermarmi sulla descrizione di un personaggio in particolare che mi ha davvero colpita, ci tengo a dirvi che non ci sono vincitori in questo romanzo, semmai sono tutti prigionieri dello stesso vortice di dolore.
La scrittura sottile ed ironica, crudele e realista è il perno trainante di questo doloroso libro.
Un romanzo che fa aprire gli occhi sulle difficoltà di qualsiasi famiglia, uno spaccato di vita e di dura realtà.
Le donne che poco alla volta stavano riempiendo il locale erano tutte vestite come quella dietro al bancone…
E Dio quanto erano giovani. Così giovani che lei si sentiva invecchiare con il passare dei minuti, come se ad ogni secondo di orologio le spuntasse un nuovo capello bianco, o un’altra ruga, o i denti le ingiallissero fino a dientare color caramello.
Buongiorno viaggiatori, oggi vi parlo de Le figlie di Foxcote Manor, un romanzo che non riesco a classificare, per via dei numerosi elementi che rendono impossibile identificarlo in una sola categoria.
Un romanzo che dalle prime pagine ha reso la lettura complessa a causa della scelta narrativa un po’ particolare, ma che mi è piaciuto tanto.
Se impari fin da piccola a cancellare le esperienze dolorose – nel mio caso, quello che è accaduto in una foresta tanto tempo fa, roba da far restringere le coronarie a mia madre se le facessi domande in merito -, diventi un asso nel rimuovere i problemi. E nel mantenere i segreti. Solo che, a quanto pare, i segreti non spariscono del tutto. Come le tarme nell’armadio, di nascosto continuano a rodere finché non ti accorgi del buco.
Questa storia è intrisa di mistero. Le protagoniste sono Rita, Hera e Sylvie, le loro vite sapranno come intrattenervi e incollarvi alle pagine.
Nonostante la complessità di questa storia legata anche all’alternarsi della narrazione delle tre donne, ai salti temporali che richiedono la giusta attenzione, questo è un libro che si divora.
Una storia che si compone come un puzzle che verrà svelato piano piano, pezzo dopo pezzo.
Ogni tanto sarà più difficile accostare le tessere e trovare l’incastro giusto.
La bravura dell’autrice sta proprio nel fatto di saper tenere l’attenzione del lettore sempre alta e viva.
Le prime pagine conosciamo la prima protagonista, Rita, che si trova a fare la tata per gli Harrington, la famiglia di Hera.
Della terza protagonista non vi parlo perché voglio lasciarvi un po’ di mistero vi anticipo solo che la sua storia non mi ha lasciato indifferente per le tematiche raccontate.
Un libro che mette al centro donne dal carattere forte e vi lascerà senza fiato.
Cosa unisce queste tre figure femminili? Ho apprezzato tantissimo la caratterizzazione delle protagoniste che è riuscito alla perfezione, tanto da farmi entrare subito dentro le loro vite.
Cosa nasconde Le figlie di foxcote manor?
Una bambina, una foresta, un’isolata dimora padronale e un misterioso segreto. Ma non solo: l’amore di una madre verso i figli, una maternità che non arriva e l’importanza della famiglia che non è solo legame di sangue.
Le figlie di Foxcote Manor va gustato tutto d’un fiato quindi leggetelo perché merita.
Se volete leggere la trama vi basterà cliccare qui.
La foresta prende vita oltre il vetro rotto della mia finestra.
Le famiglie , seppur nella loro grande eterogeneità, hanno particolarità che somigliano, a volte belle, a volte meno; molto spesso alcune situazioni vengono portate all’estremo, lasciando che i ricordi ci diano sempre ragione: Pioggia sottile.
Luis Landero ci porta a Madrid, ma potrebbe trattarsi di un qualsiasi luogo nel mondo, poiché è di una famiglia qualsiasi che ci parla.
Quante volte la quotidianità viene percepita in maniera differente dai componenti di una stessa famiglia?
A volte siamo troppo colmi di rancore, altre volte insoddisfatti o con un dolore talmente grande che questo riesce a fare da lente ad ogni situazione, ammantandola irrimediabilmente di tristezza.
Altre volte siamo semplicemente troppo piccoli per riuscire a comprendere, le situazioni familiari allora scorrono attraverso occhi innocenti.
Infine si diventa grandi e guardando indietro ci si rende conto di quanto certi episodi, abbiano irrimediabilmente condizionato le scelte che ci hanno condotto fino ad oggi.
La mamma sta per compiere ottanta anni e i sentimenti sono estremamente contrastanti riguardo la possibilità di farle una festa.
Pioggia sottile un intreccio familiare che vomita dolore e risentimento.
Spesso accade anche nelle migliori famiglie.
Un padre allegro e cantastorie che con i suoi racconti ha ammaliato l’infanzia dei figli.
E una madre che, una volta perso il marito, ha trasformato il clima familiare in un incubo.
Tutti da quel giorno hanno vissuto nella costante attesa di una tragedia.
Pioggia sottile è una matassa impossibile da districare e i nodi sono fatti dalle diverse percezioni che i figli hanno avuto della stessa situazione.
I punti di vista capovolgono le questioni.
Accade così che una madre impegnata ma amorevole si trasformi in una donna senza pietà per le sue figlie, costringendole a prendere decisioni contro la loro volontà.
Pioggia sottile è la tela di un ragno.
Tu sai tutto, vero Aurorita?
Perchè sei tu che ascolti in silenzio gli sfoghi di tutta la famiglia.
Tu che ascolti ma raramente commenti, parole sempre equilibrate e attente a non cadere mai nel giudizio.
Ho spesso provato ad immaginarti: dietro la cornetta del telefono o seduta ad ascoltare pazientemente la persona che ti stava di fronte.
Ho visto quindi tutte quelle parole raggiungerti e penetrare dentro la tua pelle fino a gonfiarti, quasi ad esplodere, ma tu non hai mai sbagliato, non sei mai esplosa.
Pioggia sottile è un quadro che descrive la stessa scena, ma gli occhi che guardano vedono cose diverse.
Al centro di quella scena c’è Aurora, colei che tiene il filo narrativo dei numerosi dialoghi e sfoghi.
Le pennellate sono le incomprensioni e i fraintendimenti familiari.
Aurora però è quasi impossibile da immaginare, ma senza lei il racconto stesso imploderebbe.
Eppure non è nemmeno un personaggio risolutore, perché, si sa, quando una famiglia si trascina silenzi per anni, certi rancori diventano impossibili da risolvere.
E ancora una volta non c’è un buono o un cattivo, un vincitore e un vinto.
C’è la famiglia.
C’è qualcosa nelle parole che,
di per sé,
comporta un rischio,
una minaccia,
e non è vero che il vento se le porta via facilmente come dicono.
Un racconto intricato e non molto semplice da seguire, interessante ma impegnativo e pregno di profonda amarezza.
Se amate i racconti familiari, vi invito ad entrare nel labirinto di Pioggia sottile.
Femministe o Femminucce? Un libro che fa discutere.
Questo era il titolo di un articolo della Repubblica di alcuni giorni fa.
Sotto il titolo, invece del nome e cognome dell’autrice, soltanto il nome che usa su instagram, il numero di follower e il fatto che si tratti di un’influencer-attivista.
Storco inevitabilmente il naso e mi domando se questo libro può veramente fare per me.
Il femminismo e la letteratura femminista sono indissolubilmente legati alla mia vita.
Indimenticabili sono le emozioni donatemi dalla Woolf, le poesie di Audre Lorde e potrei proseguire con gli studi rivoluzionari della Gimbutas, giusto per citarne alcune.
Non sono ancora riuscita a comprendere la necessità di sottolineare l’attività di influencer, all’interno di un libro che racconta il percorso intrapreso da Federica Fabrizio, nella conoscenza di donne che hanno scritto un pezzo di storia femminista.
Ci tengo però a sottolineare che forse, la mancata comprensione di questo meccanismo associativo, sia soltanto un mio limite.
C’è un nuovo mondo di attiviste che dei social hanno fatto il mezzo principale di divulgazione dei loro pensieri.
Un mezzo veloce e immediato e, proprio per la sua prerogativa frettolosa, a rischio di superficialità.
Voglio essere più chiara: Instagram può essere un mezzo per farsi conoscere, per divulgare briciole di pensiero, ma non può essere fine a se stesso, piuttosto un veicolo che, con quella briciola può attirare il pubblico alla pagnotta.
Federica ci propone infatti una “pagnotta” fatta di diversi impasti: quelli delle vite di alcune grandi donne che hanno portato avanti la loro lotta consapevolmente e altre che lo hanno fatto con molta meno consapevolezza.
Ecco allora che incontriamo bell hooks (il minuscolo non è un errore) e Rosalind Franklin accanto a grandi imprenditrici come Luisa Spagnoli.
E ancora icone come Frida Kahlo, Janis Joplin e Raffaella Carrà.
Non mi dilungherò sui personaggi descritti, sarà un’interessante scoperta.
Inoltre, chi deciderà di intraprendere la lettura, si troverà di fronte ad un’ampia bibliografia per proseguire le proprie ricerche.
Femminucce nasce esattamente con questo scopo:
mettere in comunicazione diverse generazioni di persone femministe,
per condividere le lotte e la rabbia.
Femminuccia, fighetta, principessina e molti altri termini, non appartengono soltanto al panorama dei sesso opposto.
Spesso vengono usati per sminuire altri uomini non “conformi ai parametri”, a riprova di quanto lavoro ci sia da fare anche dentro queste ferite.
Troppo spesso vengono usati con molta leggerezza anche nel panorama femminile a sottolineare una “debolezza storica”, dovuta a secoli di esclusione dalla vita sociale, lavorativa, artistica, sportiva ecc.
Femminucce fa del suo punto di forza la volontà di creare una svolta attraverso il linguaggio. lo stesso che troppe volte ha appoggiato diversi stereotipi che ci vogliono sesso debole e indifeso.
Federica si allontana con decisione dalla visione dualista della donna: forte e decisa o debole e vittima, preferendo racconti di esperienze, sottolineando l’individualità del singolo.
Questo pensiero prende forma anche nella sua lotta come femminista intersezionale, abbracciando nella lotta comune tutte le persone che si riconoscono nel genere femminile.
Ecco credo che questa sia la più giusta definizione per questo libro: un personalissimo viaggio all’interno del panorama femminista.
Un libro appello per le nuove generazioni , un invito alla conoscenza delle generazioni femminili passate, nella speranza che il loro pensiero e le loro azioni vengano comprese in profondità.
Poichè, è indiscutibile, di continuare a lottare c’è ancora molto bisogno.
Dendera è un nome che evoca antiche rovine, antiche dee e templi ricchi di reperti di rara bellezza. Ma non siamo in Egitto.
Siamo in un luogo dove la neve diventa piuma di corvo, dove il silenzio inghiotte ogni cosa e porta via gli inuditi ultimi lamenti di chi viene lasciato sulla montagna.
Yūya Satō ci trasporta in un luogo indefinito del suo Giappone, dove pennella un’atmosfera di ovattata realtà tra le nevi ma non ha paura di sporcare l’immobilità con il rosso della furiosa paura.
Una volta, tanto tempo fa, esisteva tra le popolazioni più antiche un’usanza.
Questa tradizione, ai nostri occhi potrebbe sembrare piuttosto barbara e impensabile da applicare al giorno d’oggi. Ma non esisteva una società come la nostra in quei lontani momenti di storia e per legge chi era troppo vecchio per contribuire alla società veniva…allontanato.
Il Villaggio imponeva uno stile di vita immacolato. Gli anziani, dopo aver compiuto settant’anni, dovevano compiere l’ascensione per raggiungere il paradiso.
Coloro che ascendevano indossavano uno Yukata bianco, venivano accompagnati sulla montagna dai loro familiari e poi lasciati lì.
La neve, il freddo, i corvi facevano compagnia a coloro che si mettevano in cammino per il paradiso.
Un passo alla volta.
Fino a che i piedi non erano troppo gelati. Fino a quando il corpo non si sentiva troppo intorpidito dal freddo. Fino al momento in cui ci si addormentava sognando la luce e tutti coloro che aspettavo dall’altra parte del cancello per vivere, finalmente senza più affanni, insieme per l’eternità.
Come vi sembra? È una fine poetica se solo vi sforzate di vederla sotto una determinata luce.
Dendera è un mondo tangibile e riconoscibile ma vi inonderà di sussurri e non potrete scappare.
Kayu ha accettato il suo destino, è pronta ad abbracciare la morte come una vecchia amica.
Ma…mentre la neve le sta preparando il suo ultimo giaciglio, i corvi le cantano il loro ultimo commiato e il gelo le accarezza i capelli come fosse ancora una bambina, accade qualcosa.
Quando Kayu si risveglia non è più nel bosco ma in un piccolo insediamento: Dendera.
Solo donne, tutte sopravvissute alla montagna, una piccola comunità di anziane che ha scelto di continuare a vivere a dispetto di coloro che per loro avevano deciso Morte.
Kayu voleva morire, non vivere. Questo era contravvenire alle leggi della vita e significava anche che non avrebbe più potuto ascendere al paradiso perché aveva osato rubare un esistenza che non le era più dovuta.
La comunità di Dendera è povera, le donne si adoperano senza sosta conducendo una vita funestata da una caccia scarsa, la mancanza di utensili e di raccolto ma vivono ancora.
Alcune vivono per dimenticare di essere state abbandonate e creare un luogo da poter chiamare casa; altre vivono per distruggere coloro che le volevano sole in vita e sole nella morte.
Kayu scopre presto che, nonostante quanto le altre donne si ostinino a professare una vita serena, gli equilibri all’interno di Dendera sono fragili.
Le due fazioni sono coinvolte in una lotta silenziosa.
A Dendera, ricordate, le donne sono tutte anziane e alcune di loro si apprestano ai 100 anni.
Sono poche e la possibilità di attaccare una comunità giovane, senza l’aiuto di armi, è piuttosto un suicidio che una missione.
Dendera è un microcosmo che vive nella neve immacolata.
La carestia di cibo non riguarda solo loro ma anche l’orsa che vive sulla montagna.
L’orsa e Dendera ingaggiano una battaglia che causerà una spirale di sangue, dolore e morte.
La fame, la paura, la guerra e la pestilenza sono pessime consigliere e quando la lotta inizia non c’è modo di fermarla se non pagando un tributo di morte.
Ma l’orsa non è l’unico araldo di distruzione che funesta Dendera e questa minaccia non ha un nome, non ha una forma ma uccide.
Yūya Satō è un maestro del “realismo magico”.
Dendera si compone di pagine ammantate di silenzio e urla, dove il silenzio è palpabile come la paura.
L’inquietudine ti si posa addosso come una magia, come una coperta calda a cui non riesci ad opporre resistenza e, quando il sonno sopraggiunge, non si può far altro che arrendersi.
Dendera è un romanzo di sensazioni, concetti e riflessioni vere ed è questo che lo rende speciale.
Volete conoscere la trama di Dendera? Allora cliccate sulla parola Link!
“difficilmente mi farò ammazzare senza opporre resistenza…“. Si rese conto di come quella fosse la comune convinzione di tutte le donne che erano sfuggite all’ascesa rituale alla montagna per poi vivere a Dendera.
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