Buongiorno viaggiatori, oggi siamo in partenza per Una vacanza perfetta grazie al thriller intrigante e dalle tematiche interessanti e degne di riflessioni scritto da Laure Van Rensburg, edito da Sem.
Tutto inizia quando Ellie, una giovane e affascinante studentessa, decide di trascorrere un weekend in compagnia del fidanzato Steven.
Ma se vi aspettate romanticismo vi sbagliate di grosso.
Perché leggere Una vacanza perfetta, se tutti gli elementi della trama appaiono a chi è abituato alla lettura di thriller, come luoghi comuni del genere?
Per lo stile di scrittura dell’autrice, che grazie ai capitoli brevi riesce a tenere l’attenzione alta, ed è in grado di regalare colpi di scena in un crescendo di tensione e inquietudine.
Ma questo non è l’unico motivo per leggere Una vacanza perfetta.
è senza ombra di dubbio un thriller intrigante che grazie al doppio punto di vista nella narrazione, offre ampie riflessioni su tematiche interessanti e importanti di cui si parla troppo poco, come per esempio il tema del vittimismo.
Tornando alla trama, ammetto che può apparire scontata, ma nonostante questo, ritengo che questo libro meriti di essere letto, andando oltre le apparenze.
Immaginiamo una baita lontana e isolata, una coppia bloccata a causa di una tempesta di neve, nessun modo per mettersi in contatto telefonico per chiedere aiuto e gli elementi comuni ci sono…
Se poi aggiungiamo la giovane età di lei e che lui sia un professore, allora direi che abbiamo tutto, ma come dicevo poco fa, non lasciatevi ingannare.
Una vacanza perfetta resta una lettura piacevole, un thriller avvincente con tematiche degne di riflessione che sapranno intrattenere.
Rabbia, bugie, vendette, giochi di seduzione all’apparenza innocenti e diversi segreti sapranno tenervi compagnia in queste trecentotrenta pagine.
Quando si perde qualcuno che in un modo o nell’altro, ha lasciato un segno nella nostra vita, non ci si abitua alla mancanza e si ricerca in ogni modo il ricordo, in questo a volte ci vengono in aiuto le Cose che non ho buttato via.
I ricordi per me hanno tante forme, un piccolo quadernetto con simboli della cabala, un cristallo, una foto sgualcita, un anello.
Ciascuno di quegli oggetti intrappola un frammento di anima a cui ho annodato un ricordo, a volte prendendoli in mano sorrido, altre volte piango.
In realtà sono una persona talmente legata ai ricordi che ho scelto di vivere in una casa che respira vite passate ad ogni mattonella, che custodisce ricordi in ogni crepa.
In questa casa ho poi aggiunto altri ricordi: i libri di mio padre.
Ogni tanto li sfoglio con la pretesa di una rivelazione, sperando di pescare un ricordo sommerso dalla polvere o di percepire un odore, una sensazione.
Alle volte mi sembra di vedere le sue dita che voltano la pagina, la forma delle unghie, la maniera unica e particolare di percepire lo spessore del foglio.
Anche per me sono tante le Cose che non ho buttato via e delle quali non mi disferò mai.
Il titolo mi ha colpito proprio per tutti i motivi che vi ho appena raccontato, avevo voglia di immergermi nella vita di qualcuno che ha saputo legare frammenti di vita ad oggetti vissuti.
Marcin Wicha ci racconta di sua madre, di attimi di vita vissuta insieme e del suo essere una donna particolarmente risoluta ed ingombrante.
Lo fa attraverso gli oggetti della sua casa.
Non scompariremo senza lasciare traccia.
E persino quando scompariremo,
rimarranno le nostre cose,
polverose barricate.
La grande libreria faceva da cornice alla vita della famiglia e ne ha assorbito le varie sfumature.
Il profilo delle copertine invecchiate, gli odori della quotidianità che il libri hanno assorbito al loro interno fondendoli insieme ai racconti.
Tutto diventa un pretesto per perdersi in un istante passato.
Wicha in Cose che non ho buttato via, ci fa conoscere i vari aspetti della madre attraverso l’analisi dei libri e si troverà a dover decidere di quali disfarsi e quali tenere.
La scelta risulta spesso molto ardua perché la madre si dilettava nel dispensare commenti per molti dei libri letti.
Scelte complicate, anche perchè il timore è quello di perdere una parte di quei ricordi oltre agli oggetti.
Ed ecco che fra le pagine l’autore si ritrova a soffermarsi su episodi a volte ironici, che aiutano a disegnare il quadro della madre.
Una donna ferma nelle sue decisioni, ma figlia di un’epoca difficile che le ha fatto indossare la corazza, che non abbassa lo sguardo di fronte a nessuno.
Si respira l’amore immenso di un figlio per la madre, la voglia di renderla felice anche dopo la sua morte, di non deluderla mai.
Mia madre non ha lasciato massime,
perle di saggezza o comandamenti.
Troppo prudente per esordire con una prima opinione,
esplodeva invece nelle risposte.
Nelle reazioni.
Nelle derisioni.
Sempre pronta a intervenire quando qualcuno si dava troppe arie.
Non pensate però che questo sia un libro triste.
Le pagine scorrono con la sensazione che lo scrittore sia sereno del descriverci i vari episodi, spesso si percepisce una velata ironia.
Devo dire che questa scelta narrativa mi ha lasciato un po’ perplessa almeno all’inizio.
Questo però è un libro fatto di sensazioni crescenti, come se l’autore stesso, nella stesura del libro, scelga di lasciare andare le briglie delle emozioni gradualmente.
Fino a raggiungere l’apice nel racconto finale.
In cui il dolore non è più velato ma diventa quasi tangibile.
La scelta narrativa di alternare i suoi pensieri confusi ai fatti che stavano accadendo, aiuta il lettore ad entrare con maggiore empatia nel suo animo.
Un libro da esplorare con i sensi più che con gli occhi e che descrive un legame che va ben oltre la vita.
Le biblioteche sono la testimonianza delle nostre sconfitte di lettori. Sono pochi i libri che davvero ci sono piaciuti. Ancora meno quelli che ci continuano a piacere anche dopo una sucessiva lettura. La maggior parte sono ricordi delle persone che volevamo essere. Che facevamo finta di essere.
Ecco il libro che ha segnato le scelte letterarie di questi primi mesi del 2023: Una minima infelicità. Ci si può innamorare follemente di un libro?
Certamente. L’ho letto il primo giorno di questo nuovo anno e ci ho messo quasi due mesi per digerirlo, per questo pubblico la mia recensione soltanto adesso.
Le emozioni non rispettano il calendario, a volte si sente il bisogno di esternare immediatamente, nel timore che esse sfuggano via come la sabbia tra le dita e siano difficili da ritrovare attraverso il tumulto emotivo quotidiano.
Altre volte invece si insinuano sotto la pelle e strisciano in profondità, come una spina dolorosa che si fa spazio lentamente e ha bisogno di tempo prima di essere espulsa.
Questo è l’effetto che ha provocato in me Una minima infelicità: un libro dolorosamente perfetto.
Perfetto a partire dalla copertina, dolce e insignificante solo all’apparenza, a riprova che questo è un libro per chi non ha fretta.
Se ti prendi il tempo per osservarla noterai occhi profondi, duri e velati da una tristezza eterna.
Occhi che si mescolano ai gesti quotidiani del caffè al mattino, del maglione che pizzica, della vita che scorre silenziosa e inesorabile.
Infatti Annetta è proprio così: silenzioso personaggio che nessuno guarda veramente, lei per me è la portavoce della categoria degli anonimi, di tutte quelle persone che al primo sguardo non degneresti di una minima attenzione eppure …
Annetta è tanto, è un microcosmo racchiuso in un piccolo, esile corpo che si rifiuta di crescere, è il silenzio di chi dentro di sé nutre un amore sconfinato e si accontenta di raggiungere anche solo l’ombra della sua mamma amata, di sentire il suo fiato la notte.
Imparai negli anni a stare come una cosa piccola e morta sotto gli occhi immobili di mia madre.
La più piccola e morta di tutte le cose.
In realtà lei non desidera altro: non dare fastidio pur di starle accanto.
Al contrario Sofia Vivier, sua madre, è tanto grande e luminosa agli occhi del modo, bella e vivace, circondata da una luce che però non riesce a celare la sua tristezza.
Sofia è infatti creatrice di una vita che la fagociterà pian piano, lasciando un guscio vuoto che Anna non smetterà mai di amare.
Le foto di momenti della sua vita scorrono fra le pagine e i ricordi si confondono alle emozioni.
In questa, una donna che non conosco guarda in basso,
verso di me.
E i miei occhi sembrano dire: dove sei mamma?
Che senso ha questo tormento?
Annetta non sa espandersi in questo mondo anzi, preferisce rimpicciolirsi, ridurre i suoi spazi, limitare il suo orizzonte, vivere assaggi della vita degli altri e quando gli altri scompaiono diventare sempre meno, fino a ridursi al nocciolo, fino a diventare fine.
Un nocciolo che ha racchiuso in se la perfezione, ho amato Annetta e la sua nonna che danzava senza pudore, forse perché in cuor mio, amo profondamente chi sa essere puro, senza corruzione esterna, senza lasciarsi influenzare dal mondo che ci vuole tutti simili, performanti, in continua competizione e scalata verso il successo.
Non ci sono scalate per Anna, ma un sottoscala nel quale si può essere autentici nel proprio immenso, perfetto universo.
Carmen Verde con Una minima infelicità ha creato una meravigliosa opera, ciò che ho amato follemente ( come se non bastasse l’amore viscerale che ho provato per questa storia) è la scelta di uno stile narrativo privo di fronzoli, estremamente diretto e curato anche nel mostrarci “la rinuncia sulla pagina”.
Questo è il suo libro di esordio, mi aspetto veramente tanto dal genio di questa scrittrice.
Una minima infelicità è candidato al Premio Strega, qui le motivazioni. Io faccio il tifo per lei!
Buongiorno viaggiatori, Il bambino e il cane edito da Marsilio ha saputo regalarmi emozioni molto forti.
Un racconto che ha smosso in me ricordi dolorosi fin dalle prime pagine. La narrazione ha inizio nell’isola di Honshù, devastata da terremoto e tsunami, dove un ragazzo di nome Kazumasa incontra quello che diventerà un amico speciale a quattro zampe.
Ed è da questo momento che il nostro protagonista e Tamon ci regaleranno le prime emozioni.
Un cane che è in grado di donare di nuovo allegria alla madre di Kazumasa che soffre di demenza.
<<Portiamo Tamon a fare una passeggiata, tutti insieme?>> propose lui.
Mayumi annuì. <<Quando c’è Tamon, la mamma esce volentieri. Altrimenti non ne vuole sapere, starebbe sempre chiusa in casa>> rispose infilando la busta nella tasca posteriore dei jeans e togliendosi il grembiule.
Ma quando Kazumasa perde la vita, la madre e la sorella non possono più occuparsi di lui perchè già faticavano a sopravvivere.
Inizia per il cane un viaggio che lo porterà a conoscere quelli che saranno i suoi nuovi padroni e vi posso assicurare che ognuna di queste storie sarà in grado di commuovere.
Ne Il bambino e il cane incontriamo Tamon capace di donare amore incondizionato, dotato di un sesto senso capace di captare i vari stati d’animo.
Una storia che ha risvegliato il ricordo di un grande dolore e mi ha fatto sentire la mancanza del mio pelosetto che è stato al mio fianco per diciassette anni e che mi ha lasciato a causa del suo cuoricino fragile mandando in pezzi il mio.
Nonostante questa parentesi dolorosa, questa storia mi ha trasmesso tanta speranza rimarcando nel racconto di ogni viaggio di Tamon cosa significano le parole amicizia, legame e coraggio.
Se amate i racconti con protagonisti a quattro zampe vi consiglio di non perdere questo libro.
Se vuoi leggere la trama de Il bambino e il cane clicca qui
Tamon era molto diverso.
veva fiducia nella persona che lo portava al guinzaglio e camminava tranquillo, senza chiedere nulla.
Questa è una storia dalle molte facce. È più antica delle storie che vengono narrate da uomini nei testi sacri alla nostra civiltà. È una storia che è stata un’eco ma anche la tragedia più cruenta. Un mito cantato da Aedi, uno su tutti: Omero, il cantore dalle molteplici voci. Le parole dell’Iliade soffiano vento sull’ira di Achille ma non è la trame del Pelide ad aver portato tutti lì. Tutti sono davanti alle porte oblique e sinistre di Troia per La trama di Elena.
Elena, elénaus, elandros, eléptolis.
La distruttrice di navi, di uomini e di città.
Francesca Sensini è la portavoce de La trama di Elena.
Mi piace definirla così perché il libro reca il suo nome come l’Iliade reca quello di Omero nel posto che si consegna agli autori ma è Elena a parlare.
Ho letto molto sulla guerra di Troia e ogni testo mi ha sorpreso, conquistato o delusa.
Ci sono dei personaggi, specialmente quelli femminili, soprattutto negli ultimi anni, su cui sono molto prevenuta.
Perché?
È facile chiamare in causa nomi come Briseide, Cassandra e Elena ma non è intenzione di tutti dare un corpo e uno spessore al personaggio in questione.
Non tutti sono disposti a onorare il mito e gli aedi, anzi in molti l’unico desiderio è dare voce all’ego dello scrittore ammantandosi di vaticini improbabili, trame ordite a metà e prigionie che ricordano le favole Disney.
Ho letto un saggio, qualche tempo fa, che mi ha regalato una Elena reale e immaginata ma non mi aspettato che sarebbe arrivata un’autrice a dare ulteriore spessore alla donna che diede fuoco ad Ilio.
La trama di Elena discolpa la donna più bella e odiata al mondo.
Non è un libro che vuole renderla più simpatica a chi ha scelto di odiarla e l’ha additata come l’artefice di tutte le sventure di cui le donne, da lei in poi, vengono additate e per questo condannate.
Anzi, Elena è pronta a prendersi ogni colpa.
Ogni ingiuria.
Ogni epiteto.
È pronta ad immolarsi se questo è utile e necessario.
Ma non lo farà in silenzio.
Sa benissimo che starete a sentire le sue parole, la sua voce arriva dalle profondità del tempo ed era lì ben prima di Lilith, ben prima di ogni altra donna e di tutte lei è anima e corpo, una parte del suo eco vive in tutte noi.
Se è bastato il suo nome ad imbonire un esercito di diecimila navi e la sua voce a farsi amare da una città assediata, chi siete voi per resisterle?
Quasi sembra strano che Ulisse abbia avuto bisogno di essere legato e privato dell’udito per non cadere vittima delle sirene, aveva ascoltato la voce di dee prima di loro e ne era stato ammaliato come tutti.
La trama di Elena è un arazzo tessuto tra i secoli.
La figlia di Zeus, di Leda e di Nèmesi è davanti a voi, fila un arazzo di immagini contemporanee alla sua vita ma anche scene che la catturano nei secoli a lei posteriori.
Vi è mai capitato di osservare un quadro e sentire le voci e i rumori della narrazione?
Questo è La trama di Elena: l’incantesimo della donna più bella e odiata del mondo.
Un coro di voci di cui solo lei è in grado di riprodurre il suono e non potrete fare a meno di starla a sentire.
Non ci riuscì Euripide, non ci riuscì Filostrato e nemmeno le popolazioni indigene delle Hawaii, voi comuni mortali sarete in grado di resisterle?
Io non credo.
La narrazione della Sensini è poetica come un canto di gioia e dolore ed è perentoria come un invito alla guerra.
Coercitiva come la discordia ed ineluttabile come la giustizia.
Ci sono tanti passaggi che vorrei lasciare a piè di pagina per voi lettori ma non mi è possibile metterle tutte. Farei un torto ad Elena se scegliessi qualcosa e pretendessi che questo con influenzi anche voi.
Mi limito a credere che quella che scriverò sia più adatta a quello che l’autrice ed Elena hanno cercato di nascondere tra le righe come monito a voi che leggete le sue parole.
Elena è la fiaccola che diede fuoco al cancello protetto dal baluardo che nessuno ascoltava.
Un incendio di fuoco greco che rischiara le epoche e che nessuno ha ancora compreso come spegnere.
Volete conoscere la sinossi de La trama di Elena? Cliccate sulla parola LINK
Adottano così liberamente la menzogna, ne hanno bisogno, come l’architrave la colonna, per non frantumarsi su se stessi.
Non siamo noi a scegliere il viaggio più importante, quello della vita; spesso determinati fattori ne condizionano irrimediabilmente gli eventi, lasciando solchi indelebili e troppo difficili da scavalcare, a noi non resta che fare Del nostro meglio.
Una narrazione che trascina senza mezzi termini dentro il mondo di Claudia e non c’è modo di sfuggire agli appiccicosi tentacoli della sua vita.
Si può essere figli di un piano prestabilito e non del desiderio amare, di un’ossessione delirante che antepone ogni sentimento ad un bisogno unico e costante.
Più che di passionali notti d’amore, Claudia è figlia di una partita a Risiko, di una pianificazione perfettamente calcolata, pur di imbrigliare l’uomo che le sta pian piano sottraendo la vita.
Una famiglia benestante, lezioni di violino, rigore e severità da parte di mamma, amore e carezze da parte di papà, quando era presente.
La mamma sempre impeccabile e truccata fin dal mattino, arrabbiata col mondo, arrabbiata con Claudia che con la sua nascita non ha risolto il suo problema.
Eppure Claudia non sa che il trucco della mamma é perfetto perché ogni mattina deve nascondere i lividi delle percosse, delle mani che le stringono il collo fino a toglierle il fiato.
Claudia bambina si nasconde dentro la sua bolla, fatta di Peter Pan che la porta lontano, la rassicura sussurrandole che il papà le vuole bene, che i tonfi sordi che si sentono nella camera accanto non sono niente che le interessa.
Poi la bolla scoppia, le perle di mamma si spargono nel pavimento, l’odore di alcool è insopportabile e papà muore.
Claudia da quel giorno si chiama Colpa.
Da allora non ho voluto altro che qualcuno che mi chiamasse mamma
solo per estrarre dalle macerie quella parola e darle una bella lucidata,
per sentirmela attribuire, visto che io non sapevo più pronunciarla.
Il cuore della bambina non ha più posto per altro dolore e si nasconde dietro corazze di sballo e tatuaggi, di smalto nero ed eccessi, alla ricerca di nuove emozioni, alla ricerca di se stessa, alla ricerca di un sogno che la tenga lontana da tutta la merda che si sente attaccata addosso.
Del nostro meglio è un romanzo dal grande impatto emotivo, mentre lo leggevo il mio subconscio continuava ad offrirmi vie di fuga consigliandomi di leggere romanzi fantasy, perché spesso il dolore era troppo forte da sopportare.
Non ci sono né vincitori né vinti in Del nostro meglio, ci sono persone lacerate dal dolore, dipendenti e deviate mentalmente che finiscono con l’essere carnefici più o meno consapevoli.
Claudia e Caterina, figlia e madre, vittima e carnefice, ma non solo, c’è molto di più.
C’è chi sceglie la vita, nonostante questa le abbia riservato solo grandi sofferenze e c’è chi sceglie la morte, trasformandosi in un’enorme bolla di dolore e risentimento.
No,
l’amore deve avere ossa dure per la cattiva sorte,
perché nella buona sono bravi tutti.
Una partita molto dolorosa che pagina dopo pagina mi ha fatto sprofondare e riflettere sulle dinamiche morbose di una famiglia. Ci sono poi dei personaggi di cui mi sono innamorata perdutamente, come la zia Dora e i suoi folli completi!
Del nostro meglio è candidato al Premio Strega, leggi qui le motivazioni.
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