Oggi cari viaggiatori siamo diretti in un ridente paesino fra le montagne : Acquasplendente, ci aspettano Gli strani gatti di Brunilde Saltamerenda.
Niente può essere paragonabile agli amici, loro ci sono sempre e sotto tante forme, ci aiutano a comprendere e superare situazioni difficili e ad affrontare paure che spesso sembrano insormontabili.
Come fanno? Semplicemente restando se stessi!
A volte, come è capitato nel mondo di Brunilde, gli amici assumono forme inaspettate e mutevoli, spronandoci al cambiamento per cercare di uscire da schemi troppo rigidi.
Così accade a Brunilde, una cascata di riccioli e tante paure nascoste nel suo cuoricino, paure che cerca di esorcizzare mettendo in atto tutta una serie di piccoli rituali : una lampada sempre accesa, canticchiare quando è sola; ma Brunilde Saltamerenda non è mai sola!
Tre amici pelosi e dagli occhi molto furbi sono sempre con lei e la accompagneranno a superare una situazione che la spronerà a tirare fuori tutto il suo coraggio e anche tutta la sua pazienza, perché gli amici a volte ne combinano di tutti i colori!
Tutto improvvisamente si rompe attorno a Brunilde, anche le sue certezze si incrinano perché papà e mamma sono lontani, ed è proprio la grande rottura che fa fuoriuscire la magia!
Chi non ha mai sognato di trasformare il proprio amico peloso in uno umano per vedere un po’ cosa succede?
Io e Jana abbiamo discusso e sognato tanto su questa possibilità, i pomeriggi fra le pagine di Gli strani gatti di Brunilde Saltamerenda, sono trascorsi attribuendo voce e carattere ai nostri due amati cani: Nilo e Brigida.
Ed ecco che improvvisamente Nilo si trasforma nel grande e saggio eroe dalla voce roca e Brigida nella scapestrata avventuriera dalle orecchie a sventola!
Un racconto che ci ha tenute incollate alle pagine proprio perché tutti abbiamo delle paure, grandi e piccini e tutti abbiamo bisogno di avventure che ci aiutano ad elaborarle e superarle.
Brunilde non si fa più fermare né dall’età né dal terrore che spesso blocca , è determinata ad aiutare i suoi amici, tutti gli abitanti di Acquasplendente e a rimettere al suo posto “il grande vecchio”.
Ed è proprio grazie a tutte le peripezie che Brunilde si trova ad affrontare, che la bambina sviluppa il suo carattere e prende decisioni dettate dalla sua intelligenza e guidata dal suo intuito.
Un libro ricco di piccole perle da scoprire e che Jana ha ascoltato con grande interesse.
Anche Tommaso aveva compiuto quel terribile gesto? Non direttamente, ma questo faceva capire a Brunilde che i cattivi sono tali anche quando non compiono azioni malvagie, basta solo che lascino fare agli altri senza prendere posizione. Il silenzio di chi non combatte per la giustizia aiuta i cattivi e non li ferma.
Temi importanti per le nostre ragazze e i nostri ragazzi in crescita, uno stimolo in più per maturare senso critico e portare avanti le idee in cui si crede.
Casa non è dove sei ma con chi sei
Le deliziose illustrazioni che ci accompagnano nel racconto de Gli strani gatti di Brunilde Saltamerenda sono di Paola Siano.
Ogni lettura per me è diversa. Alcune volte la mia attenzione si impiglia, viene trascinata dalle maglie della storia e la passione per la narrazione aumenta fio a che non mi trovo completamente travolta dalla storia. Questa volta la storia mi ha travolta ma non nella maniera consueta: Le Lupe di Pompei di Elodie Harper, edito per Fazi nel 2022, è stata più una catena che mi ha immobilizzata e mi sono accorta di cosa succedeva solo quando mi sono sentita soffocare.
Questo libro è solo il primo di quella che si preannuncia una trilogia davvero interessante.
Lo ammetto con i lettori, questo libro mi è finito tra le mani perché mi aspettavo una storia interessante ma leggera.
La copertina non fa pensare ad un libro frivolo ma dona al colpo d’occhio un tocco seducente che permette di acquistare questa storia per poi svegliare il lettore con tutta calma, giusto un passo dopo aver varcato la soglia del Lupanare.
Quasi tutti sanno che i Lupanari nella società romana erano i postriboli in cui le donne svolgevano il mestiere di prostitute.
Ma, oltre ad immaginare l’ovvietà della condizione di queste donne (non che non ci fossero degli uomini) schiave e prigioniere, vi siete mai soffermati a pensare che queste fossero delle vite appartenenti ad esseri umani?
Sembra una domanda scontata o una critica ma non vuole esserlo. Si sorvola sempre sulle vite delle persone che vissero molti secoli prima di noi, non ci si chiede mai come fosse essere loro.
La vita di una schiava o di uno schiavo, per la maggior parte di loro, era dura. Stenti e fatica erano all’ordine del giorno e della notte e solo qualcuno trovava un padrone giusto, di questi ultimi solo una parte finiva di riacquistare la propria libertà.
Ne Le lupe di Pompei riacquistare la propria libertà è per lo più un miraggio.
Questo è un libro sulle umili della storia.
Il libro è ambientato a Pompei solo qualche anno prima della grande eruzione e non molti anni dopo un grande terremoto che sconvolse la regione partenopea e non solo.
Elodie Harper ha ricostruito una Pompei viva, una pittura molto più che vivida di una cittadina che era un crocevia di genti e molte etnie diverse.
Ha dipinto il mondo degli schiavi in modo che ne Le lupe di Pompei il lettore potesse sentire le catene e potesse finire strozzato da queste.
Le vite narrate sono cinque, ognuna delle ragazze fa i conti con la vita come meglio riesce.
Delle cinque è Amara quella che il lettore segue più da vicino ma attraverso lei e alla sua presa di consapevolezza del mondo in cui vive, si capisce che nemmeno il punto di vista più vicino è sempre abile nel capire quello che lo circonda.
All’inizio della lettura non capivo se il libro mi piacesse. Le lupe di Pompei non si è fatto amare subito, mi sono affidata alla fine ricerca storica dell’autrice e ho deciso di prendere per mano la sua protagonista per capire cosa ci fosse che non riuscivo a capire.
Sapete cosa stava succedendo? Le lupe di Pompei mi stava mostrando delle realtà che il mio cervello non stava accettando.
Mi sono data della sciocca da sola, in fondo sono un’archeologa e conosco i luoghi. Quello che non mettevo a fuoco e che conosco i luoghi, conosco il loro uso e liquidavo come quello che succedeva al suo interno come la conseguenza di un dato di fatto.
Il cinema e la letteratura ci hanno più volte detto cosa capitava alle prigioniere di guerra, alle indigenti. Io stessa ho parlato delle donne di Troia nella mia ultima recensione su Il pianto delle troiane, eppure ho dimenticato.
Ho dimenticato che non solo le protagoniste di una storia famosa come la guerra di Troia hanno avuto un epilogo tragico ma è anche la sorte di altre protagoniste di “guerre” molto più piccole e non cantate dalla storia.
Le lupe di Pompei erano donne con un’anima esattamente come la mia e le vostre e si sono guadagnate il diritto di raccontare la loro storia.
Volete leggere la trama di Le lupe di Pompei? Allora cliccate sulla parola LINK!
Non so dove vi porterà questo viaggio, sicuramente in un luogo oscuro verso il quale difficilmente rivolgiamo lo sguardo, preparatevi ad un viaggio molto pericoloso, preparatevi a Baci all’inferno.
Madre, figlia; madre, figlio. Emozioni. Due racconti e una pala per scavare a fondo, oltre i pensieri più inconfessabili, oltre la morbosità più oscena. Non basterà la pala, dovrete usare le unghie e continuare a grattare dentro corpi stanchi.
Mi è piaciuto Baci all’inferno? L’ho amato e l’ho odiato e ho avuto mal di stomaco.
Mi sono ritrovata spesso a chiudere il libro a causa del persistente senso di nausea, ma in realtà non ho mai lasciato quelle righe.
Sono morta affogata dentro il flusso di pensieri melmoso che non mi permette di riemergere, una palude che tira sempre più in basso.
Desideri rubati, visi schiacciati contro il finestrino, numeri di prostitute sotto il ponte, bottiglie di plastica che galleggiano, voglie inconfessabili che sudano nella canicola estiva.
C’è puzza dentro Baci all’inferno, odore di corpi che hanno appena consumato un amplesso e lingue impastate dall’alcool. C’è una figlia che cerca respiro e una madre che amorevolmente le preme il cuscino contro la faccia. C’è un figlio che ha bisogno di una vita e di un pasto e una madre che desidera sigarette ed un ultimo, illusorio barlume di giovinezza.
Ho faticato a stare dentro il racconto e ho costruito ragnatele di normalità a cui aggrapparmi, ma quel flusso incontrollato di pensieri e vermi è riuscito a spezzarla, è riuscito a spezzarmi.
Esco saltellando. C’è un messaggio, ed è una raffica di scintille come un’eiaculazione che mi fa tornare in vita. Si diffonde nel mio corpo come una malattia. Lo chiamo, lo ascolto, viene. Lo aspetto all’incrocio dell’autostrada, sotto il ponte con i manifesti dell’estrema destra e i graffiti dei tossici. Cosa c’è da capire oltre questa asfissia. La mia testa è una grande torcia intermittente.
Il dolore è quotididiano o forse la quotidianità snervante provoca delle crepe incolmabili nella mente.
Il terrore di non aver vissuto abbastanza prende alla gola e il bisogno tossico di non lasciare andare nemmeno un’altra opportunità stringe fino a soffocare.
Mi sono pentita mille volte di aver iniziato Baci all’inferno eppure ringrazio Ariana Harwicz, già autrice di Ammazzati amore mio, per averlo scritto, perchè difficilmente incontrerò ancora pensieri scritti da poter liberamente odiare e dei quali non riuscirò più a fare a meno.
Un libro che non chiede di essere percepito con la mente, ma di essere assorbito con la pelle.
Pat Barker, dopo Il silenzio delle ragazze (Einaudi, 2021), torna davanti alle mura di Ilio con Il pianto delle Troiane, edito da Einaudi nel 2022.
Parlare di una guerra è sempre difficile, sia essa accaduta qualche anno fa o qualche millennio prima che noi nascessimo. Non si smette mai di pensare a quanto sia entusiasmante l’Epica di Omero ma di epico ormai ci sono solo le parole di un aedo anziano abbagliato dalla luce riflessa dagli scudi degli uomini che erano presenti davanti alle mura di Troia.
La guerra più epica di tutte è spoglia delle sue armi, giace stremata sulla sabbia che puzza di sangue, alghe e della paura che trasuda dalla pelle di coloro che, dopo la vittoria, sono intrappolati lì.
Perché? Il vento o gli dei non lasciano che le navi riprendano il mare.
Priamo è stato ucciso da Pirro, il bambino prodigio figlio del guerriero più grande e amato di tutti.
È il figlio di Achille ma nessuno crede che gli somigli. Pirro cerca di essere Lui, è venuto per terminare l’impresa di un padre che non ha mai conosciuto, per guidare i mirmidoni, per staccarsi dalla gloria del padre ed essere finalmente un uomo che ha qualcosa di suo da dire al mondo.
Ma, quando è solo, lo specchio gli racconta di quanto il vuoto lasciato da Achille non lo accoglierà mai accettandolo come re.
Si tenga, questo ragazzino ingrato, le sue insicurezze, le sue paure. Non è altro che un bambino viziato che conosce solo la violenza.
Pirro vive in una realtà diversa dalla verità.
Ha paura ma il figlio di Achille non deve averne, è terrorizzato ma il figlio di Achille non ha motivo di esserlo, non conosce nulla del mondo ma il figlio di Achille non ha il permesso di essere qualcuno che non sia suo padre.
Se solo questo ragazzo intrappolato vedesse quanto in realtà somiglia ad Achille.
Se non si trincerasse dietro a quello che dovrebbe essere…
Cedere all’ira è più facile, meno spaventoso. Cedere all’ira lo fa temere da tutti gli altri ma non lo rende Achille e questo non fa altro che aumentare la violenza, la gelosia e l’inaffidabilità ma soprattutto la paura di vedere il suo riflesso che lo deride.
Priamo è morto e giace insepolto perché Pirro si rifiuta di seppellirlo.
In realtà è fatto divieto a tutti di toccare il corpo del re.
Non possono gli uomini e non possono le donne.
Briseide che, dopo la morte del Pelide, è andata in sposa ad Alcimo è la voce narrante di una storia morente, dell’insensatezza di imitare Achille, della condizione di coloro che non sono i guerrieri ma devono fare i conti con la perdita di Troia.
È lo specchio delle prigioniere degli achei, il filtro di ogni mutamento di un accampamento che di vittorioso ha solo il titolo ma non l’aspetto.
Vi aspettereste che, terminato il glorioso decennio, i grandi guerrieri siano pronti a fare festa e tronarsene a casa. Invece sono topi in gabbia che devono trovare un modo per attendere e non sbranarsi a vicenda.
Nel campo s’aggira un oscuro lamento. Ci sono pianti che anche se privi di suono sono latrati di disperazione.
Il pianto delle troiane è sommesso, nascosto ma visibile a tutti coloro che hanno occhi per vedere.
Qualcuno direbbe che la disgrazia unisce. Seguite Briseide e scoprirete che il piando delle troiane non è un coro ma una cacofonia di assoli scoordinati.
Ognuna delle prigioniere piange una Ilio diversa.
Il pianto delle troiane è l’eco della regina Ecuba che si ammanta di una regalità che le dona una dignità che solo lei vede.
Il pianto delle troiane è l’insieme delle voci che assillano Cassandra. Sono voci di morte e la sacerdotessa le ascolta come fossero vino dolce.
Il pianto delle troiane è la paura di Andromaca che ha visto suo marito trascinato da un carro e suo figlio gettato dalle mura da un ragazzo che non a malapena può chiamarsi uomo.
Non sono solo coloro che erano regine e principesse a piangere una vita che non avranno mai più ma anche coloro la cui condizione ha comportato solo un cambio di padrone.
Sì, anche le schiave di Ilio piangono e sono troiane.
La guerra di Troia è stata una storia di uomini ma anche di donne, di anziani, di bambini, di fragili, di forti, di bulli e di insicuri.
Non c’è nessuno, in una guerra, che passa in rassegna gli schieramenti colorando di nero i cattivi, di bianco i buoni e di grigio coloro che sono sacrificabili rendendoli invisibili a chi combatte.
Se è questo che credete, questo libro non fa per voi.
La penna di Pat Barker non ha sconti per gli esseri umani.
La prosa è ricercata ma spigolosa e cruda. Le parole sono i macigni di una città le cui mura inespugnabili sono cadute e i cui templi giacciono arsi dalle fiamme.
Nessun punto di questa storia è scevro da terrore, follia e oscurità.
Il pianto delle troiane è l’addio ad un’epoca, il risveglio di coloro che pensavano che una volta finita la guerra tutto sarebbe tornato come prima, la nascita di nuove vite da un corpo mutilato.
Vuoi conoscere la trama de Il pianto delle ragazze? Allora clicca sulla parola LINK
Ero ancora troppo giovane per capire che l’irrequietezza non è che una delle facce del dolore. Tra poco avrebbe rappresentato Priamo al suo funerale, al cospetto dell’intero esercito acheo. Anzi, di più, sarebbe stata Priamo. Non è forse così che superiamo il lutto? Non c’è niente di raffinato o di civilizzato: come selvaggi, mangiamo i nostri morti.
Cari viaggiatori oggi vorrei che provaste ad immaginare di spalancare le finestre in una splendida giornata di sole, ma davanti ai vostri occhi nessun paesaggio, solo sbarre; viaggiatori, benvenuti nel mondo de La donna uccello.
Un libro illustrato che ha il sapore di una favola senza colori.
Il grigio è una triste coperta opprimente che non scalda, blocca ogni movimento.
Preparatevi ad immergervi nella tristezza piatta, silenziosa, senza sfumature.
Preparatevi a guardare il mondo con gli occhi della principessa che trascorre la sua vita dentro una gabbia.
Se le sbarre sono reali o solo limiti immaginari che costringono a non andare oltre con lo sguardo, non ha importanza.
Gli occhi di chi vive nella gabbia perfetta diventano incapaci di percepire il sole che illumina la pelle, la gioia di un colore.
Allora il grigio diventa l’abito quotidiano, il pensiero unico e costante, l’illusione della perfezione.
Giorno dopo giorno, la principessa cresce senza un sorriso, tutto è piatto e uniforme, tutto attorno a se è freddo ed inespressivo. Non ha nome ma soltanto un ruolo, non ha mai assaporato la libertà eppure è seme di donna, è seme di uccello.
E’ tutto ciò di prezioso e delicato a cui si può far male. E’ tutti i no di una vita. E’ tutte le armature grigie che ha dovuto indossare per smettere di sentire dolore.
Il grigio penetra attraverso le narici ed invade il corpo, il grigio si nutre di paura succhiando ogni barlume di gioia. La donna principessa non ricorda più, non sente più, è un involucro vuoto che si consola cantando attraverso le sbarre.
Accade qualcosa però, un fremito, un ricordo, un artiglio d’identità che squarcia la nebbia.
La torre più alta si incrina, la gabbia cade e si rompe, la donna uccello prende coscienza delle sue ali le spalanca, spicca il volo e inizia la sua danza, inizia la sua vita.
E’ forte la donna uccello, nessuno la può fermare, ci proveranno mille volte a legarla, spuntarle le ali, rimetterla in gabbia, impedirle di cantare, ma non ci riusciranno più perchè ora la donna uccello mira verso il cielo e potete starne certi, lo raggiungerà!
E’ una danza di morte e rinascita la sua, ma più di ogni altra cosa è il battito d’ali di chi ha spezzato la catena dell’oppressione. Un capolavoro illustrato da David Alvarez e scritto da Ethel Batista, duro, freddo e tristemente reale.
Un libro che arriva pesante come un macigno all’approssimarsi della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Lo fa senza tanti discorsi, ma con immagini che raccontano il silenzioso dolore di tante donne costrette ad una vita già decisa da altri. E’ soltanto il racconto di una principessa nel suo grigio castello, in apparenza, ma quelle ali che si spalancano dopo una vita di tristezza e privazione, sono le ali di tante donne che cercano il proprio spazio per poterle spalancare e librarsi in volo.
Diventare La donna uccello per se stessa e per tutte le figlie a cui le ali sono state spezzate.
Un giorno una donna saggia mi disse che ci sono molti modi per subire violenza, non sempre sono fatti di abusi fisici, a volte bastano tanti NO portati avanti nel tempo per dimenticare di avere le ali.
Buongiorno viaggiatori, pronti a partire per il Giappone in compagnia del libro Le strane storie di Fukiage?
Questa volta l’autrice ci accompagnerà in un viaggio sospeso tra sogni e realtà con un pizzico di magia.
Aspettavo con ansia di leggere l’ultimo capolavoro di Banana Yoshimoto e devo confessare che mi è piaciuto molto.
La storia inizia con un mistero legato alla sparizione di Kodachi, sorella gemella di Mimi voce narrante in questo romanzo.
Le due sorelle hanno dovuto fare i conti con eventi traumatici che le hanno portate ad allontanarsi da Fukiage per trasferirsi a Tokyo. Sarà un’allontanamento definitivo?
Parlare di Fukiage vuol dire richiamare alla mente brutti ricordi della mia famiglia, perciò finora ho sempre cercato di ritardare questo momento, e anche con mia sorella, che se n’è andata insieme a me, non sono mai riuscita a parlarne. La scorsa settimana mia sorella é ritornata qui da sola e da allora non ho più sue notizie.
La morte del loro padre ha causato un dolore profondo ma in seguito a quell’incidente c’è stata anche un’altra perdita, quella della madre, entrata in coma.
Le due sorelle sono molto diverse fra loro, e vivono in maniera diversa il dolore e quella leggera speranza che la loro madre si risvegli dal coma.
È normale che provi disperazione e paura: lei è un essere umano. E in questa città ha avuto più d’una esperienza negativa.
In seguito all’incidente, vengono affidate alle cure di Kodama e Masami, fino all’età di diciotto anni in cui iniziano a studiare in un luogo dove nessuno le conosce e dove possono in qualche modo fuggire alla realtà che purtroppo causa molto dolore.
Mi ha colpito molto questa storia perché un lutto è qualcosa di tremendo sì, ma credo che avere qualcuno in coma causi una sofferenza ancora più brutta perché a nessuno piacerebbe restare in sospeso tra la vita e la morte in attesa, non si sa per quanto tempo.
La Yoshimoto sorprende ancora, regalando ai lettori una storia dolorosa sì, ma anche di un viaggio alla scoperta di se stessi. Una ricerca nata per cercare Kodachi ma che condurrà Mimi a fare i conti con l’elaborazione del dolore.
Perché leggere Le strane storie di Fukiage?
Perché pur utilizzando un linguaggio semplice, affronta dei temi importanti e nonostante l’assenza di capitoli, scorre e si fa leggere tutto d’un fiato.
Le strane storie di Fukiage costringe il lettore a vivere il viaggio introspettivo delle protagoniste mettendolo di fronte a domande importanti sul senso della vita.
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