Il mondo dei colori. Una storia culturale in sette tonalità.

Il mondo dei colori. Una storia culturale in sette tonalità.

Un viaggio sfida quello di oggi, vi propongo di tuffarci all’interno di una pozza colma di colori e di lasciarli penetrare, attraverso le narici, la bocca, la pelle, dentro il nostro corpo fino a diventare noi stessi colore; il legame mondo-colore nella storia è imprescindibile: Il Mondo dei colori : una storia culturale in sette tonalità.

Questo libro è un meraviglioso viaggio ispirato al racconto persiano Haft Paykar (sette bellezze) in cui sono proprio i colori a raccontarci le loro storie e il legame che si è instaurato con la storia dell’umanità stessa, non soltanto nella storia dell’arte, ma in tutta l’evoluzione.
Il colore è un universo multiforme e sfaccettato, dato non soltanto dall’oggetto ma anche da chi lo percepisce. Chiedendo a diverse persone il colore di uno stesso oggetto potremo notare che difficilmente esse forniranno la stessa sfumatura, poiché anche la percezione del colore cambia in funzione della persona che lo osserva. Tutto ciò avviene secondo operazioni cromatiche compiute dal nostro cervello.

Il colore è un processo “una danza fra soggetti e oggetti, mente e materia”.

Grazie ai colori trovavo tanta bellezza anche nella banalità.

James Fox insegna Storia dell’Arte all’ Emmanuel College di Cambrige e con Il mondo dei colori. Una storia culturale in sette tonalità, ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso lo sviluppo delle civiltà, prendendo in considerazione il ruolo che hanno avuto sette colori all’interno di esse.
Un saggio estremamente affascinante che apre le porte verso infiniti campi di esplorazione se si usa come punto di partenza il colore.
Nero, rosso, giallo, blu, bianco, viola, verde ed un intricato dedalo di civiltà umana che tocca non solo l’arte ma anche l’antropologia, la religione, la chimica, la biologia, la filosofia e molto altro.


Ne Il mondo a colori: una storia culturale in sette tonalità l’autore ci presenta il colore stesso come una creatura multi sfaccettata ed estremamente complessa che non è stato solamente oggetto, ma strumento socio-culturale, forma di espressione più potente del linguaggio stesso.
Affondando le mani nei colori che l’autore esplora, ci si rende conto di quanto ogni singola tonalità abbia avuto ( e ha tutt’ora) un importante influsso all’interno di ogni civiltà e del suo sviluppo.


In principio vi era solo tenebra nascosta dalla tenebra.

Incontriamo allora il colore “non colore” più odiato e temuto nella storia: il nero. Quella porta sconosciuta che ci accompagna verso l’origine di tutto. Colui che richiama la primigenia oscurità, khoshekh è il termine ebraico, duro e gutturale. Nella storia il nero è stato associato al terrore, allo sconosciuto.Negli ultimi anni però è stato rivalutato diventando l’icona assoluta dell’alta moda e del design.

I miti della creazione di tutto il mono iniziano descrivendo l’oscurità turbolenta, le tenebre in continuo movimento.

Allora non c’era ciò che non è, né ciò che è.
Non c’era lo spazio né la volta celeste che gli sta sopra. (…)
Oltre a Ciò niente altro esisteva.
Nāsadīya sūkta o Inno del principio buio, tratto dal Ragveda (1500 a.C.)

Ne Il Mondo a colori, James Fox ci spiega che non si può legare un colore singolo ad ogni civiltà. Tuttavia, in alcuni momenti storici di una data civiltà, alcuni colori hanno dominato più di altri. Penso immediatamente al meraviglioso blu oltremare negli artisti rinascimentali e dell’epoca barocca.


Il blu è uno dei colori più amati in assoluto ( lo dicono i sondaggi) ma in realtà è un colore abbastanza moderno a livello culturale. Esso infatti non esisteva prima del Medioevo. Il blu oltremare è stato creato alchemicamente e poi usato dai più grandi pittori del Rinascimento e non solo.
Scrittori come Colerige, Wordsworth,Byron, Shelley e Keats lo collegavano a fenomeni profondi e oscuri.

Invano! L’azzurro trionfa,

lo sento che canta nelle campane, anima,

che si fa voce e più ci spaventa con la sua cruda vittoria,

ed esce dal vivo metallo in celesti angelus!
Mallarmè


Questo viaggio meraviglioso de Il mondo dei colori ci conduce anche attraverso il colore del potere e della sessualità, in grado di parlare del corpo al corpo. E’ stato il colore più usato dalle civiltà primitive: il rosso, per poi accompagnarci attraverso tutti gli altri meravigliosi universi di colore e storia umana.


Un saggio coinvolgente ed emozionante. Mi piacerebbe soffermarmi ancora su ogni colore per raccontarvi ciò che mi ha maggiormente colpito, ma questo è il mio viaggio e posso solo condividerne piccole istantanee.

Spero di cuore però di aver stuzzicato la vostra curiosità con le mie parole.

Il mondo dei colori. Una storia culturale in sette tonalità.

Leggi la trama

Altri libri della casa editrice Bollati Boringhieri:

Il continente bianco

La colonia

Con i denti

Dove mi espando io, gli occhi brillano,

Le passioni si fortificano, le sopracciglia si alzano,

i cuori battono forte.

Guardatemi, com’è bello vivere!

Contemplatemi, com’è bello vedere.

Vivere e vedere.

Lo vedo ovunque.

La vita comincia con me, tutto torna a me,

credetemi.

  Orhan Pamuk

 

 

Clitemnestra. La Regina che uccise Agamennone per giustizia.

Clitemnestra. La Regina che uccise Agamennone per giustizia.

Quando ho saputo che sarebbe uscito un altro romanzo sulla regina Clitemnestra di Micene, lo devo ammettere, la mia prima reazione è stata: ancora?

In un mercato piuttosto saturo di retelling di ogni genere, non è la prima volta che la regina di Micene fa capolino sugli scaffali delle librerie.

Ma, come capita, mi sono dovuta ricredere. Il retelling mitologico che prende il nome dalla famosa moglie del re Agamennone è, con ogni probabilità, la storia di Clitemnestra che stavamo aspettando.

Firmato da Costanza Casati, texana di nascita ma dal cuore italiano, ed edito per Sperling & Kupfer, Clitemnestra è un successo.

La narrazione narra della vita di Clitemnestra dalla sua infanzia al momento in cui, feroce come un’erinni, uccise suo marito con una scure.

È incredibile che le persone ricordino solo la furia con cui il re Agamennone, re dei popoli greci o almeno così gli piaceva farsi chiamare, è stato abbattuto come un albero secco.

Povero eroe, ucciso dalla moglie fedifraga proprio il giorno in cui tornava a casa dopo dieci anni di guerra e mentre si vantava di aver preso come concubina la sacerdotessa di Apollo più famosa della storia greca: Cassandra.

Ma cosa aveva scatenato quella furia?

No, Egisto non è colpevole di istigazione.

Clitemnestra non è donna che si faccia influenzare fino a quel punto dal belloccio di turno.

In comune avevano la sete di vendetta.

Per un uomo, si sa, la voglia di rivalsa è una questione di onore soprattutto se si parla di poemi epici.

Per una donna, non una qualunque in questo caso, è questione di giustizia.

Clitemnestra è una principessa spartana, è la sorella dei Dioscuri e anche di Elena moglie di Menelao e, a detta di molti, l’unica causa di tutta la distruzione che si abbattè sulle porte Scee che custodivano lo scrigno di Troia.

Ma non siamo qui per parlare di Elena.

Anche se, ci tengo a dirvelo, non so davvero perché Menelao, che governava Sparta, si stupì così tanto di essere stato abbandonato dalla moglie.

Certo, Paride non ha onorato le leggi dell’ospitalità greca ma l’Atride minore avrebbe dovuto sapere che a Sparta una donna è legittimata ad abbandonare un marito se il nuovo pretendente è potenzialmente un arricchimento ai suoi possedimenti.

Troia era ben più ricca di Sparta e, senza Elena, Menelao teoricamente sarebbe stato il possessore di nulla.

Mi rendo conto che spiegato così è un po’ semplicistico, anche poco preciso e avrebbe bisogno di un approfondimento ma sono stanca di sentire: Elena è il problema.

Secondo voi, uno tsunami di 10000 navi greche sono arrivate ad abbattersi su Ilio solo perché la famigerata figlia di Leda e Zeus potesse tornare ad essere la mogliettina trofeo di Menelao?

Suvvia!

Torniamo a Clitemnestra.

Fu cresciuta per essere regina, fu istruita anche per essere una spartana ed era una guerriera di non poco talento.

Fiera, caparbia e intelligente non aveva nulla da invidiare a sua sorella.

Quando Agamennone decise che sarebbe stata la sua consorte, Clitemnestra era già sposata e aveva un figlio.

Beh, inutile dire che il figlio maggiore di Atreo non lo ha affatto considerato un problema insormontabile, li uccise e si prese la sua principessa.

L’autrice ci racconta del rapporto matrimoniale tra i due: lui non smetteva di cercare di sottometterla mentre lei scelse di aspettare il momento propizio per dargli quello che meritava.

L’episodio scatenante della furia incontenibile fu il “sacrificio” di Ifigenia.

Questa scena in particolare nel libro della Casati è l’essenza della tragedia greca epica. Tutti si muovono ma sono tutti fermi congelati nell’istante di un omicidio crudele di cui nemmeno Achille riesce a darsi spiegazione.

A Clitemnestra era stato portato via un figlio e l’amore una volta di troppo.

Questo è l’inizio della fine per il re che disse di aver abbattuto Troia ma che uccise se stesso.

L’autrice non ha cambiato molto della storia originale narrata dai grandi nomi del teatro greco. Anzi, gli aggiustamenti apportati sono funzionali alla storia e alla comprensione del punto di vista della protagonista.

Potete essere o meno d’accordo con la protagonista, non sta a voi giudicarla.

A lei non interessa affatto il vostro parere.

Chiamatela mostro se così vi piace, ma voi cosa avreste fatto se foste stati al suo posto?

Clitemnestra

Volete leggere la trama di Clitemnestra? Allora dovete schiacciare la parola LINK!

Vi piacciono le mie recensioni? Eccone altre per voi: Willie lo strambo e La vendetta degli dei

Clitemnestra aveva infranto la sua coppa contro il muro. Era rimasta immobile mentre uno schiavo era accorso ad asciugare il vino sparso per terra. gli ospiti l’avevano fissata, ammutoliti. 

Lei aveva guardato suo padre negli occhi: “Prima o poi morirai. E io non ti piangerò. Guarderò le fiamme consumare il tuo corpo ed esulterò”.

Nella vita dei burattini. Il dramma umano al chiodo del politically correct

Nella vita dei burattini. Il dramma umano al chiodo del politically correct

Nella vita dei burattini è l’ultimo romanzo di TJ Klune edito per Oscar Vault e, questa volta, al contrario dei primi due che ho amato, non sono sicura se queste pagine mi siano piaciute.

La casa sul mare celeste è una perla rara, Sotto la porta dei sussurri è davvero bello, Nella vita dei burattini…

Zoppica.

La qualità migliore della scrittura di TJ Klune è quella di trattare argomenti di attualità dandogli quello che meritano: la naturale normalità.

Storie di crescita, di affermazione e di amore non diverse ma ambientate in contesti fantastici; forse per alcuni sono aliene ma non sono diverse da quelle che tutti nella vita viviamo, a dispetto del mondo che a volte si finge incredulo senza nessuna ragione apparente.

Ecco, questo elemento in Nella vita dei burattini un po’ è andata persa.

Dalle prime pagine, in cui il lettore si trova ad aver a che fare con un ritmo di narrazione piuttosto lento, questo volume ha proceduto a carponi e poi ha iniziato a zoppicare.

Perché?

La storia alle prime battute ha qualcosa che rimanda alla favola.

Questo è un po’ il contrario di quello che accade nelle altre due opere di questo autore: si inizia con una favola tenera per poi addentrarsi nella parte cruda della storia.

O almeno, immagino fosse quella l’intenzione dell’autore ma questa è una mia speculazione. Posso solo dire che nei ringraziamenti Klune fa accenno al fatto che il libro pubblicato è una sorta di addolcimento di quello che in realtà Klune voleva scrivere:

“Avrei voluto che questa fosse la storia di cui avevamo parlato, ma a quanto pare il mondo non è ancora pronto.”

Mio Carissimo TJ, se questa è la rielaborazione di qualcosa che non hai potuto scrivere, ti prego di avere fiducia nel mondo e scrivila perché questa che ho davanti è carina (che in Italia sta per passabile) ma non ti rende giustizia.

Ad un certo punto, una favola che racchiude in sé le storie più famose della letteratura: da Pinocchio a Il mago di Oz, da Moby Dick a Ma gli Androidi sognano pecore elettriche? (titolo originale di Blade Runner), ha iniziato a prendere il carattere di tutta quella carta stampata che PER FORZA deve essere zuccherosa; PER FORZA deve narrare la questione sociale più “di moda” del momento.

E quale carattere può mai avere una storia così? Lo stesso di un filetto di platessa bollito.

La questione sociale tanto cara all’autore è importante.

La parità di diritti e la libertà di poter essere tutto quello che si vuole e per questo non essere discriminati è fondamentale.

La necessità di mostrare che esiste una scala di grigi e questa non toglie niente alla normalità imperfetta dell’universo. E se questo non scalfisce la dignità il mondo figuriamoci quelle di coloro che si affermano oltraggiate.

Questa è una necessità vitale per l’esistenza di tutti.

Ma questo libro non è all’altezza né dello scopo né di chi lo ha scritto.

Le Grandi Storie a cui prima accennavo, e da cui l’autore ha attinto per le sue fantastiche citazioni, hanno lati fortemente tragici. Sono ricche di hybris e miseria umana, hanno un forte impatto sull’immaginazione del lettore e lo spingono in direzioni in cui il lettore spesso non vuole andare.

Costringono a farsi domande di cui non si conosceva l’esistenza e lo fanno in maniera brutale, in alcuni casi al limite del vessatorio.

Nella vita dei burattini il Pathos lo ha perso il giorno del risveglio di Hap sul tavolo di Victor.

Il fulcro della narrazione dovrebbe essere chiaro e lo si intravede, è lì a portata di mano dietro alle cortine di panno leggero del dietro le quinte ma, ad un certo punto, capire non è più fondamentale perché la storia d’amore è molto più importante.

E ciao ciao alla forza della storia.

Salutiamola tutti dall’alto di uno dei monologhi più famosi della storia del cinema:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.» (Blade Runner, Roy Batty)

Mi è piaciuta, come al solito, la penna dell’autore.

Nella vita dei burattini è una storia che fa amare i suoi personaggi minori e il mondo in cui è ambientata ha un mondo di potenzialità che sono lì e pronte da scoprire, ma mi servirebbero un po’ di sale e di pepe in più.

E con pepe non intendo aggiungere dettagli rosa, ne abbiamo già più che in abbondanza.

Apprezzo, e lo farò sempre, la poesia di linguaggio dell’autore.

Dove altri per incidere sul lettore userebbero avverbi inutili e disturbanti, Klune e le due abili traduttrici adoperano un linguaggio ricco e pulito.

Mi sono chiesta se il mio punto di vista sia influenzato dalla mia età. Forse sono troppo adulta per il target a cui questa opera può essere dedicata.

Ma non sono estranea agli argomenti trattati, toccano tutti a prescindere dall’età, quindi non posso che pensare che non sia questa la ragione per cui non amo questo libro.

È carino, dolce, quasi melassoso e non è quello che mi aspettavo da questa storia.

Nella vita dei burattini

Volete leggere la trama de Nella vita dei burattini? Cliccate la parola Link

Altri libri Oscar Vault? Leggete questo: La reincarnazione delle sorelle Klun di Manlio Castagna

“Che si tratti di un uomo o di una macchina, pensò Victor, amare qualcosa significa amare il fantasma che ha dentro, esserne perseguitato.”

Posto sbagliato momento sbagliato

Posto sbagliato momento sbagliato

Buongiorno viaggiatori! Oggi voglio parlarvi di “Posto sbagliato momento sbagliato”, l’ultimo thriller che ho letto grazie a Fazi editore.

Posto sbagliato momento sbagliato è uno dei thriller più chiacchierati del momento.

Perché? Cerco di rispondere facendovi qualche domanda…

Si può impedire un omicidio che è già avvenuto?

Quanto conosciamo realmente chi ci sta accanto?

E se si potesse tornare indietro nel tempo per rimediare a un errore troppo grande?

Posto sbagliato al momento sbagliato risponde a tutte questi interrogativi e a molto altro.

Una madre che, mentre aspetta che suo figlio diciottenne torni a casa, assiste a qualcosa che la sconvolge.

Un omicidio e l’assassino è proprio lui, suo figlio. Come si sopravvive a qualcosa del genere?

Una vita distrutta, un futuro andato in mille pezzi, se non fosse che: Jen, dopo essere andata a dormire si risveglia sempre in un giorno precedente all’omicidio.

La questione sembrerebbe intrigante ma un’ottima presentazione da sola non basta.

Devo essere onesta e dirvi che purtroppo ci sono state delle cose che non mi hanno convinta rendendo questa lettura, a mio avviso, a tratti noiosa, soprattutto perché quando si tratta di thriller cerco suspense, ritmo e personaggi accattivanti e qui non ho trovato nulla di tutto ciò.

In un thriller psicologico, la caratterizzazione dei personaggi deve essere curata nei minimi dettagli e qui purtroppo ho trovato la prima cosa che mi ha fatto storcere il naso.

Ho trovato che l’autrice sia stata superficiale non prestando la giusta attenzione ai dettagli.

Anche sulla scrittura ho avuto qualche difficoltà perché non era abbastanza scorrevole, mi sono mancati colpi di scena e quando li ho trovati erano deboli e troppo dilazionati, e questo ha reso il tutto un po’ piatto.

Sono molto dispiaciuta nel dirvi che la trama dal potenziale ottimo, secondo me, non è stata gestita nel migliore dei modi durante la stesura del romanzo.

Ciò non toglie che questa possa essere una lettura adatta a chi cerca un ritmo più lento, ma per me si è rivelata deludente.

Se vuoi leggere la trama clicca qui.

Se invece vuoi leggere altre recensioni Fazi pubblicate dalla nostra Altea eccole:

L’immortale. Catherynne M. Valente

La casa dalla porta dorata. Elodie Harper

L’aria innocente dell’estate. Solo la natura non conosce inganno

L’aria innocente dell’estate. Solo la natura non conosce inganno

Il frinire delle cicale segna i confini di un tempo non convenzionale, fra spighe e pelle ambrata, l’estate è un universo a se stante nel ciclo stagionale; tutto si muove e odora in modo differente, rallenta perfino nei pensieri, sono i giorni in cui la terra respira L’aria innocente dell’estate.

Un po’ casa, un po’ luoghi familiari fra le pagine di questo romanzo; l’ombra degli alberi che si proietta nei campi di grano appena falciati, il sudore degli agricoltori con la schiena china fra le spighe.

Mi è parso di ascoltare l’eco delle emozioni di quando ero bambina, le ginocchia graffiate dai rovi, le pozze di acqua ghiacciata che pian piano si prosciugano lasciano solo l’odore dell’umidità.

Eppure è un’altra epoca, siamo negli anni trenta, ma certe emozioni non seguono la linea orizzontale, cavalcano i tempi.

Edith è una giovane quattordicenne che ha appena finito la scuola, i suoi occhi guardano il mondo con lo stupore di chi lo ha appena conosciuto. Non si può definire una ragazza fortunata, nata alla fine della prima guerra mondiale nelle campagne inglesi segnate dalla forte depressione, figlia della sofferenza e del sacrificio.

Una ragazza è sveglia, intelligente, interessata a tante cose che non sempre sono adatte alle ragazzine della sua età. Tutto ciò basterebbe già per inserirla nella categoria delle persone particolari, ma lei è anche assetata di conoscenza e studio. Si trova a confrontarsi timidamente con la vita, a scegliere le persone che stuzzicano il desiderio di ampliare i suoi orizzonti.

La famiglia di Edith è dedita alla fatica e al sudore nei campi, proiettata solo alla sopravvivenza e alla gestione della fattoria, non c’è spazio per le frivolezze, non c’è spazio per ciò che cresce oltre il campo.

Ne L’aria innocente dell’estate gli occhi di Edith guardano con emozione e poesia ogni particolare meraviglioso che la natura sa concedere, ma piangono per i limiti del suo piccolo mondo, chiuso e intriso di dinamiche patriarcali.

Visitare i miei nonni materni significava viaggiare indietro nel tempo.

Era come se per loro tutto ciò che era moderno

(dai trasporti a motore alle strade asfaltate, fino alla radio)

non esistesse e non sarebbe mai esistito.

I passaggi fra epoche, il sospetto e la superstizione sono erbacce difficili da estirpare definitivamente, puntualmente spuntano ricordandoci a cosa e a chi apparteniamo.

Eppure, la ritualità di certi gesti che, come preghiere, si ripetono identici nonostante i decenni, quel loro sapore antico è in grado di far sentire al sicuro chi si trova in balia dell’imprevedibilità della natura.

Nell’Aria innocente dell’estate non ho potuto evitare di innamorarmi; alcuni personaggi del libro ci avvolgono nel loro essere in perfetta simbiosi con gli animali,perdendo l’atteggiamento di dominatore della natura, tipico degli esseri umani e integrandosi ad essa.

Sapevo che prima di sera avrebbe trovato il modo di sorprendermi da sola,

e quel pensiero mi metteva sul chi vive e conferiva una strana, speciale intensità a tutto ciò che mi circondava. Quando ripenso a quel giorno, mi torna in mente il cerbiatto che qualche anno prima avevamo salvato e curato:

il modo in cui si immobilizzava ogni volta che uno di noi si avvicinava al recinto.

È strano, stupido in realtà, ma certe volte mi viene da piangere al pensiero di quella povera creatura.

Melissa Harrison ha saputo sapientemente usare metafore naturali per raccontarci i passaggi della vita, la perdita dell’innocenza, le ingiustizie.

Lo fa con pennellate delicate, tutto il libro è intriso di poesia bucolica che potrebbe essere riassunto in un quadro che val la pena soffermarsi a guardare.

Antico e moderno insieme, ma soprattutto commovente ed evocativo.

Un gioiello che a Melissa è valso l’EU Prize for Literature e libro dell’anno per New Statesman, The Observer, The Irish Time e Bbc History Magazine.

Un libro adatto a chi vuole ancora un po’ di estate dell’infanzia, con i lunghi sonnellini pomeridiani, le merende all’aperto e i sogni che si intrecciano al frinire delle cicale. Un libro con un ritmo lento e consolatore, non adatto a chi cerca colpi di scena, ma sottili veli, fra magia e ricordo, da attraversare.

Leggi la trama

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Questa Constance porta il maltempo, bambina,

allo stesso modo del vento.


La Papessa di Milano.Fascino, mistero e lotte per la parità, nella Milano dei Visconti

La Papessa di Milano.Fascino, mistero e lotte per la parità, nella Milano dei Visconti

La distanza da percorrere oggi, cari viaggiatori, non è quantificabile in chilometri, ma in anni; ben ottocento, spero siate pronti per camminare nella Milano del medioevo con : La Papessa di Milano.

Chi è alla ricerca del vero, ci si potrà avvicinare soltanto facendo un approfondito lavoro di ricerca, a volte mettendosi in gioco e mettendo da parte ciò che è stato imparato dietro i banchi di scuola.
Questo perchè le epoche storiche, studiate a grandi linee e in maniera generica, possono in realtà riservare preziosi colpi di scena, scendendo nei particolari.

Addentrandoci nella vita di personaggi nascosti fra le pagine dei libri di storia.

Questo è il prezioso lavoro di riscoperta e divulgazione che compie Livio Gambarini con La Papessa di Milano.

Ci troviamo totalmente immersi nella Milano del 1200, un periodo particolarmente importante per la città e per il fermento socio-politico e religioso che preme per manifestarsi.

Grazie ad una ricostruzione minuziosa e ad un’eccellente caratterizzazione dei personaggi, La Papessa di Milano è uno dei romanzi storici più belli che io abbia mai letto.

Ci troviamo nel pieno della battaglia fra la famiglia Visconti e i Della Torre, fra guerre di potere per riappropriarsi della città.

Livio Gambarini trasforma il romanzo storico in un trascinante racconto, mai scontato e ricco di emozionanti sorprese.

Inevitabilmente ritorno ai banchi di scuola e mi domando quanto gioverebbe ai giovani conoscere anche certi particolari specifici, ma di fondamentale importanza, per una migliore comprensione del periodo. Quante curiosità, quante emozioni perse in virtù di una conoscenza generale e approssimativa.

Non si tratta solo del racconto dei fatti accaduti, ne La Papessa di Milano ci sporchiamo le mani di sangue e sudore dei cavalli, respiriamo l’olezzo delle strade e della paura di nuove ripercussioni .

Non soltanto due famiglie in lotta, ma esseri umani, non nemico ed eroe, ma personaggi di cui ho imparato ad amare le varie sfumature. Un racconto in cui non si fa il tifo per il buono o il cattivo, ma in cui si volta la pagina trattenendo il respiro per ciò che sta per accadere.
Come se non bastasse, come accade quando in una lettura di tarocchi, si estrae una carta completamente fuori luogo; c’è Maifreda.

Come le era venuto in mente di imporre l’estrema unzione a un cristiano, lei che era una donna?

La chiesa era chiarissima a riguardo,

il sacerdozio e la somministrazione dei sacramenti spettavano agli uomini.

Maifreda aveva tradito il voto di obbedienza. La sua anima era macchiata.

La Papessa di Milano mette in luce la condizione femminile dell’epoca,ma anche la volontà di alcune donne, di sovvertire il sistema, di rifondare la Chiesa, addirittura di riscrivere i fondamenti delle leggi che tenevano insieme tutto il sistema clericale.

Un nuovo Vangelo, un nuovo Papa, anzi una Papessa.

Maifreda Pirovano fù la donna che nel 1300 guidò il gruppo dei Figli dello Spirito Santo, osando rivendicare la parità dei diritti fra uomini e donne, la stessa Maifreda che celebrò nel 1300 la messa come pontefice.
Non una donna qualunque, ma una Pirovano, cioè una delle famiglie più potenti a Milano che ricoprirono importantissimi ruoli soprattutto religiosi nella Milano del Medioevo.

Maifreda e Matteo Visconti erano cugini e fra loro l’amicizia e la parentela divenne qualcosa di più …

Una donna forte, potente,che gradualmente si spoglia dei limiti imposti dalla società medioevale e dalla Chiesa. Una donna predestinata a compiere un viaggio controcorrente .


Ed ecco la storia che si ripete, la società che allunga i suoi tentacoli per bloccare chi cerca di essere diverso, soprattutto quando si parla di donne, i nomi si ripetono e riecheggiano nei millenni: strega, pazza, eretica.

Gli eventi della famiglia Visconti si intrecciano con gli arcani, raccontano di sangue, lotte, onori e tradimenti, ma raccontano anche di un Papa che vuole schiacciare ogni tentativo di deragliamento dai dettami cattolici. Bonifacio VIII fu infatti il pontefice che inasprì le regole dell’inquisizione.

La ruota della fortuna gira in modi che nessun essere umano può pienamente comprendere e questo libro ci racconta con correttezza e precisione la storia per quella che è. Intrisa di odio e rivalità, di amore rubato e di crudeltà inaudita.

Impossibile non innamorarsi di questa parte di storia, difficile non lasciarsi trascinare dall’impeto dei personaggi raccontati nella Papessa di Milano.


Un capolavoro in cui la storia è la protagonista assoluta, senza necessità di belletto.


Leggi la trama

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Se voleva cambiare le cose,

doveva essere lei a ergersi,

e a fare ciò ch’era necessario.