Il frinire delle cicale segna i confini di un tempo non convenzionale, fra spighe e pelle ambrata, l’estate è un universo a se stante nel ciclo stagionale; tutto si muove e odora in modo differente, rallenta perfino nei pensieri, sono i giorni in cui la terra respira L’aria innocente dell’estate.
Un po’ casa, un po’ luoghi familiari fra le pagine di questo romanzo; l’ombra degli alberi che si proietta nei campi di grano appena falciati, il sudore degli agricoltori con la schiena china fra le spighe.
Mi è parso di ascoltare l’eco delle emozioni di quando ero bambina, le ginocchia graffiate dai rovi, le pozze di acqua ghiacciata che pian piano si prosciugano lasciano solo l’odore dell’umidità.
Eppure è un’altra epoca, siamo negli anni trenta, ma certe emozioni non seguono la linea orizzontale, cavalcano i tempi.
Edith è una giovane quattordicenne che ha appena finito la scuola, i suoi occhi guardano il mondo con lo stupore di chi lo ha appena conosciuto. Non si può definire una ragazza fortunata, nata alla fine della prima guerra mondiale nelle campagne inglesi segnate dalla forte depressione, figlia della sofferenza e del sacrificio.
Una ragazza è sveglia, intelligente, interessata a tante cose che non sempre sono adatte alle ragazzine della sua età. Tutto ciò basterebbe già per inserirla nella categoria delle persone particolari, ma lei è anche assetata di conoscenza e studio. Si trova a confrontarsi timidamente con la vita, a scegliere le persone che stuzzicano il desiderio di ampliare i suoi orizzonti.
La famiglia di Edith è dedita alla fatica e al sudore nei campi, proiettata solo alla sopravvivenza e alla gestione della fattoria, non c’è spazio per le frivolezze, non c’è spazio per ciò che cresce oltre il campo.
Ne L’aria innocente dell’estate gli occhi di Edith guardano con emozione e poesia ogni particolare meraviglioso che la natura sa concedere, ma piangono per i limiti del suo piccolo mondo, chiuso e intriso di dinamiche patriarcali.
Visitare i miei nonni materni significava viaggiare indietro nel tempo.
Era come se per loro tutto ciò che era moderno
(dai trasporti a motore alle strade asfaltate, fino alla radio)
non esistesse e non sarebbe mai esistito.
I passaggi fra epoche, il sospetto e la superstizione sono erbacce difficili da estirpare definitivamente, puntualmente spuntano ricordandoci a cosa e a chi apparteniamo.
Eppure, la ritualità di certi gesti che, come preghiere, si ripetono identici nonostante i decenni, quel loro sapore antico è in grado di far sentire al sicuro chi si trova in balia dell’imprevedibilità della natura.
Nell’Aria innocente dell’estate non ho potuto evitare di innamorarmi; alcuni personaggi del libro ci avvolgono nel loro essere in perfetta simbiosi con gli animali,perdendo l’atteggiamento di dominatore della natura, tipico degli esseri umani e integrandosi ad essa.
Sapevo che prima di sera avrebbe trovato il modo di sorprendermi da sola,
e quel pensiero mi metteva sul chi vive e conferiva una strana, speciale intensità a tutto ciò che mi circondava. Quando ripenso a quel giorno, mi torna in mente il cerbiatto che qualche anno prima avevamo salvato e curato:
il modo in cui si immobilizzava ogni volta che uno di noi si avvicinava al recinto.
È strano, stupido in realtà, ma certe volte mi viene da piangere al pensiero di quella povera creatura.
Melissa Harrison ha saputo sapientemente usare metafore naturali per raccontarci i passaggi della vita, la perdita dell’innocenza, le ingiustizie.
Lo fa con pennellate delicate, tutto il libro è intriso di poesia bucolica che potrebbe essere riassunto in un quadro che val la pena soffermarsi a guardare.
Antico e moderno insieme, ma soprattutto commovente ed evocativo.
Un gioiello che a Melissa è valso l’EU Prize for Literature e libro dell’anno per New Statesman, The Observer, The Irish Time e Bbc History Magazine.
Un libro adatto a chi vuole ancora un po’ di estate dell’infanzia, con i lunghi sonnellini pomeridiani, le merende all’aperto e i sogni che si intrecciano al frinire delle cicale. Un libro con un ritmo lento e consolatore, non adatto a chi cerca colpi di scena, ma sottili veli, fra magia e ricordo, da attraversare.
La distanza da percorrere oggi, cari viaggiatori, non è quantificabile in chilometri, ma in anni; ben ottocento, spero siate pronti per camminare nella Milano del medioevo con : La Papessa di Milano.
Chi è alla ricerca del vero, ci si potrà avvicinare soltanto facendo un approfondito lavoro di ricerca, a volte mettendosi in gioco e mettendo da parte ciò che è stato imparato dietro i banchi di scuola. Questo perchè le epoche storiche, studiate a grandi linee e in maniera generica, possono in realtà riservare preziosi colpi di scena, scendendo nei particolari.
Addentrandoci nella vita di personaggi nascosti fra le pagine dei libri di storia.
Questo è il prezioso lavoro di riscoperta e divulgazione che compie Livio Gambarini con La Papessa di Milano.
Ci troviamo totalmente immersi nella Milano del 1200, un periodo particolarmente importante per la città e per il fermento socio-politico e religioso che preme per manifestarsi.
Grazie ad una ricostruzione minuziosa e ad un’eccellente caratterizzazione dei personaggi, La Papessa di Milano è uno dei romanzi storici più belli che io abbia mai letto.
Ci troviamo nel pieno della battaglia fra la famiglia Visconti e i Della Torre, fra guerre di potere per riappropriarsi della città.
Livio Gambarini trasforma il romanzo storico in un trascinante racconto, mai scontato e ricco di emozionanti sorprese.
Inevitabilmente ritorno ai banchi di scuola e mi domando quanto gioverebbe ai giovani conoscere anche certi particolari specifici, ma di fondamentale importanza, per una migliore comprensione del periodo. Quante curiosità, quante emozioni perse in virtù di una conoscenza generale e approssimativa.
Non si tratta solo del racconto dei fatti accaduti, ne La Papessa di Milano ci sporchiamo le mani di sangue e sudore dei cavalli, respiriamo l’olezzo delle strade e della paura di nuove ripercussioni .
Non soltanto due famiglie in lotta, ma esseri umani, non nemico ed eroe, ma personaggi di cui ho imparato ad amare le varie sfumature. Un racconto in cui non si fa il tifo per il buono o il cattivo, ma in cui si volta la pagina trattenendo il respiro per ciò che sta per accadere. Come se non bastasse, come accade quando in una lettura di tarocchi, si estrae una carta completamente fuori luogo; c’è Maifreda.
Come le era venuto in mente di imporre l’estrema unzione a un cristiano, lei che era una donna?
La chiesa era chiarissima a riguardo,
il sacerdozio e la somministrazione dei sacramenti spettavano agli uomini.
Maifreda aveva tradito il voto di obbedienza. La sua anima era macchiata.
La Papessa di Milano mette in luce la condizione femminile dell’epoca,ma anche la volontà di alcune donne, di sovvertire il sistema, di rifondare la Chiesa, addirittura di riscrivere i fondamenti delle leggi che tenevano insieme tutto il sistema clericale.
Un nuovo Vangelo, un nuovo Papa, anzi una Papessa.
Maifreda Pirovano fù la donna che nel 1300 guidò il gruppo dei Figli dello Spirito Santo, osando rivendicare la parità dei diritti fra uomini e donne, la stessa Maifreda che celebrò nel 1300 la messa come pontefice. Non una donna qualunque, ma una Pirovano, cioè una delle famiglie più potenti a Milano che ricoprirono importantissimi ruoli soprattutto religiosi nella Milano del Medioevo.
Maifreda e Matteo Visconti erano cugini e fra loro l’amicizia e la parentela divenne qualcosa di più …
Una donna forte, potente,che gradualmente si spoglia dei limiti imposti dalla società medioevale e dalla Chiesa. Una donna predestinata a compiere un viaggio controcorrente .
Ed ecco la storia che si ripete, la società che allunga i suoi tentacoli per bloccare chi cerca di essere diverso, soprattutto quando si parla di donne, i nomi si ripetono e riecheggiano nei millenni: strega, pazza, eretica.
Gli eventi della famiglia Visconti si intrecciano con gli arcani, raccontano di sangue, lotte, onori e tradimenti, ma raccontano anche di un Papa che vuole schiacciare ogni tentativo di deragliamento dai dettami cattolici. Bonifacio VIII fu infatti il pontefice che inasprì le regole dell’inquisizione.
La ruota della fortuna gira in modi che nessun essere umano può pienamente comprendere e questo libro ci racconta con correttezza e precisione la storia per quella che è. Intrisa di odio e rivalità, di amore rubato e di crudeltà inaudita.
Impossibile non innamorarsi di questa parte di storia, difficile non lasciarsi trascinare dall’impeto dei personaggi raccontati nella Papessa di Milano.
Un capolavoro in cui la storia è la protagonista assoluta, senza necessità di belletto.
La bellezza di alcuni libri sta nella capacità di condurre il lettore in quel confine liminale, in cui gli universi razionalmente separati, della fantasia e della realtà, si fondono perfettamente: Weyward.
Cavalchiamo i tempi tra le pagine, imprigionate in catene familiari che ci conducono dritti sotto la pelle delle donne, dentro il cuore dei loro misteri, nelle piaghe dei loro dolori.
Tre donne danzano tra cinque secoli, si sfiorano nei sogni, si consegnano eredità partorendosi.Sono le donne Weyward.
Potrebbe essere difficile intendere il tempo come una linea proiettata verso il futuro, poiché queste donne hanno la capacità di trasformare la linea in una ruota, danzando in cerchio dentro il tempo.
Era piuttosto facile scomparire tra le pieghe della storia.
(da Il giardino segreto)
Le donne Weyward si rifiutano di stare fra le pieghe composte di una società che, in ogni tempo cerca di incasellarle nel ruolo che si addice al loro sesso.
Sono dotate di una sensibilità particolare e di curiosità selvaggia, quella spinta che porta a scavare pur sapendo che, ciò che è nascosto, non sempre andrà a loro beneficio.
Altha, Violet e Kate, ma non solo. Sono il simbolo di tutte le donne che hanno lottato per seguire il proprio istinto.
Strega.
E’ una parola che sguscia dalla bocca di un serpente,
gocciola dalla lingua densa e nera come catrame.
Non avevamo mai pensato a noi in questi termini, mia madre e io.
(…)Dopotutto mi aveva chiamato Altha.
Non Alice, che significa “nobildonna”,
né Agnes, “agnello di Dio”.
Altha. “Guaritrice”.
Strega, come donna, sono parole brutalmente strumentalizzate, nelle menti più perverse richiamano qualcosa di sporco, sordido, oscuro e proibito. Nel cuore delle donne Weyward invece evocano unione, sostegno, conoscenza, guarigione.
Altha, Violet e Kate, ma non solo. C’è anche un piccolo cottage, appartenuto alle donne da generazioni che trasuda secoli di lotte e studi, di solitudine e lacrime.
Un piccolo luogo fisico ma senza tempo, un’ancora di salvataggio che accoglie le donne di questa famiglia che hanno bisogno di riprendere in mano la propria vita.
Le violenze scorrono fra i secoli, sono radicate nelle strutture sociali ed è difficile riuscire a divincolarsi, se non portandosi dietro un bagaglio pesante di accuse.
il continuo tentativo di plagiare le donne Weyward serpeggia attraverso le catene del tempo, si stringe attorno alla loro gola pur di piegarle e renderle conformi alle leggi degli uomini.
Strega, prostituta, madre degenere, continui e costanti sono i tentativi per tarpare loro le ali, per circoscrivere le loro capacità.
Sono state costrette a cambiare per amore o per violenza, e spesso le due cose hanno combaciato perfettamente. Altha,Violet e Kate. Un corvo, una damigella, un’ape.
Tutto è creato dalla magia,
le foglie e gli alberi, gli uccelli e i fiori, i tassi e le volpi, gli scoiattoli e le persone …
Quindi la magia deve essere intorno a noi .
Non è soltanto un romanzo di rivendicazione femminile, tutto è pervaso da una delicatezza vibrante. E se ci fermiamo ai piedi di un albero, in riva al fiume, nei luoghi incontaminati lo possiamo sentire anche noi.
E’ leggero come il battito d’ali di un insetto, profuma di terra umida e muschio: è il respiro della natura, è la magia che tutto pervade e che ci hanno insegnato a temere.
Possiamo idealmente allungare la mano e toccare quelle delle protagoniste di questo racconto. Non sono diverse da molte di noi, hanno soltanto bisogno di essere ricordate, perché riportando alla luce l’archetipo della donna/guaritrice/dea, possiamo trovare nuova forza e nuova spinta per risvegliare la magia anche in questo secolo.
Ringrazio la casa editrice Fazi per avermi dato la possibilità di leggere in anteprima questo prezioso libro.
Oggi miei cari viaggiatori, vi accompagno in un viaggio in Bretagna, ma non a cuor leggero, poiché ciò di cui vi voglio parlare è dell’Apparizione, scritto da Victoria Mas.
Vengo colta da uno strisciante scetticismo ogni volta che ho davanti un libro che tocca argomenti di questa portata. La prima sensazione è quella di avere in mano un delicato e fragile oggetto che il mio stesso pensiero potrebbe incrinare.
La seconda è quella di venire travolta da una serie di emozioni che spesso fatico ad esternare, innalzando il muro del raziocinio, ma la marea in questo caso mi ha travolta.
L’apparizione ci parla di soprannaturale, nella forma di apparizioni mariane, lo fa con delicatezza e semplicità, nella piena consapevolezza della fragilità dell’argomento.
Isaac non reagiva.
Immobile,con le braccia lungo i corpo,
sembrava fissare un punto preciso nel cielo.
Come si affronta un evento di tale portata che distrugge ogni ancora e ci lascia nella deriva spirituale?
Victoria Mas non ci vuole convincere di niente. Ci accompagna davanti all’apparizione come la più silenziosa delle guide, ci racconta i fatti e poi sta a noi decidere quale emozione ascoltare.
Ho sentito l’inevitabile spirito di adattamento che devono aver vissuto i personaggi. Credere per fede o attendere i fatti. Ascoltare il cuore, perdendosi negli occhi di un giovane che vive l’estasi dell’apparizione, o restare ancorati alla realtà nuda e cruda.
Una comunità intera si adatta e si plasma in base a questo evento che la scuote come un terremoto interiore.
La semplicità degli occhi di un ragazzo, incontra la fede incondizionata, lo scetticismo, la paura.
Si scontra anche con l’incredulità di chi si sente migliore, di chi è convinto di meritare quel dono. La folla esige prove, si lascia contagiare dalla necessità di toccare anche ciò che è intangibile. La folla ironizza quando non trova la via per comprendere qualcosa che è fuori dal comune, si infuria quando non è in grado di comprendere ciò che va oltre la quotidianità.
Nell’Apparizione si sottolineano i caratteri psicologici di una piccola comunità isolata.
I ruoli sociali sono molto chiari e spesso chi detiene certi poteri e si sente escluso da ciò che non gli è chiaro, tende a trascinare le folle verso la deriva del cinismo, verso la paura di ciò che non si conosce, fino a sfociare in violenza.
C’è una frase simbolica in questo libro che evidenzia un altro aspetto spesso poco preso in considerazione:
In tutta sincerità spero che quel ragazzo dica il falso (…).
Essere veggenti non è mai una buona cosa.
Un evento di tale intensità porta necessariamente ad un cambiamento che, all’interno di ogni abitante, assume mille sfaccettature differenti.
Spesso chi ha questo genere di “apparizioni” è costretto a passare nel setaccio delle opinioni altrui.
Gli scettici vorrebbero sezionarlo in laboratorio pur di trovare il fattore scatenante, i bisognosi di un miracolo personale rivendicano il loro diritto ad essere parte attiva nell’evento. Nella sua semplicità questa frase identifica il calvario che deve vivere chi si trova in questa particolare condizione.
Dio in persona sarebbe potuto apparire in quel momento
e loro avrebbero voluto vedere di più, si,
avere più prove, più concretezza:
era dal tempo di Abramo che gli uomini non si accontentavano mai.
L’apparizione ci lascia liberi di scegliere la chiave di lettura che più si avvicina al nostro sentire, avvicinandoci agli abitanti dell’isola e presentandoli nella loro umanità e fragilità.
L’analisi di suor Anne, delle sue aspettative e della sua reticenza sorprendono e lasciano senza fiato.
Alla fine aveva capito che si può peccare anche solo aspettandosi qualcosa.
Dopo Il ballo delle pazze, le aspettative verso il nuovo libro di Victoria Mas erano davvero le più disparate,ma l’autrice è riuscita a sorprendermi totalmente. Nella sua semplicità L’apparizione è un libro dalle mille sfumature, un piccolo, prezioso gioiello.
Buongiorno viaggiatori, oggi vi parlo di Tre sorelle di Therese Anne Fowler, autrice che ho avuto modo si apprezzare grazie al suo precedente romanzo Un bel quartiere, editi entrambi Neri pozza.
Ho letto Tre sorelle con molto piacere, merito della scorrevolezza della storia, scritta senza risultare in alcun modo pesante, nonostante le prime pagine non proprio felici.
Quando si parla di malattia, di morte, di segreti, di famiglia, il rischio è quello di appesantire ma non è questo il caso.
L’autrice racconta le vicende di tre sorelle che ricevono dalla loro madre, in seguito alla sua morte, in eredità un cottage di famiglia e non solo quello.
Le tre sorelle si trovano a dover fare i conti con diversi segreti.
Beck, Claire e Sophie, non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra e vi sarà impossibile non provare empatia.
Le loro stesse vite nascondono dei piccoli segreti, delle cose taciute, alcune per paura, altre per vergogna… chi di noi non nasconde qualcosa?
Un romanzo che ci spinge a non fermarci all’apparenza, a riflettere su ciò che scegliamo di fare ma soprattutto per ciò che potrebbe arrivare di conseguenza.
Una narrazione che svela i segreti pagina dopo pagina, affrontando tematiche importanti con semplicità senza mai sottovalutarne l’importanza.
Sophie è la più giovane e sembrerebbe quella con la vita più soddisfacente, ma non è così…
Claire è una cardiologa pediatrica e si è appena separata dal marito, il perché lo scoprirete leggendo, vi anticipo che c’è di mezzo un uomo ma non dico di chi si tratta.
Beck la sorella maggiore è una giornalista ed è sposata con Paul anche se non sembrerebbero proprio così innamorati.
Perché leggere Tre sorelle?
Perché è un racconto familiare perfetto per essere letto in spiaggia, una lettura da divorare, pagina dopo pagina.
Tre sorelle mette al centro i rapporti familiari e lo fa attraverso queste tre donne che cercheranno di gestire l’eredità ricevuta dalla loro madre in tutti i sensi. La morte arriva e porta scompiglio, soprattutto nelle vite di chi resta.
Therese Anne Fowler è stata in grado di raccontare il tutto con delicatezza, rendendone la lettura appassionante.
Se invece vuoi recuperare una recensione bellissima di un altro libro Neri pozza, scritta dalla nostra Francesca, clicca qui e lasciati incantare da Una minima infelicità.
La vita è troppo spesso breve e disordinata, piena di complicazioni, difficoltà, tradimenti, errori. Piena di ingiustizie e perdite. E di domande. Quante domande! Le mie iniziano spesso con <<Perché?>>
Buongiorno viaggiatori, oggi vi parlo de Il vento non lo puoi fermare di Elvira Serra pubblicato da Rizzoli nel 2021.
Ho deciso di pubblicare la recensione nonostante sia uscito in libreria da qualche anno perché la storia scritta da Elvira Serra mi è rimasta nel cuore e vorrei farvela conoscere qualora vi fosse sfuggita.
Il vento non lo puoi fermare è un romanzo speciale.
Elias, il protagonista di questo racconto è un ragazzo molto timido che decide di dichiararsi alla ragazza che fa battere il cuore da diverso tempo.
Una sera, con la scusa di darle un passaggio a casa, prova a trovare le parole giuste per palesare i suoi sentimenti, ma non ci riesce e quindi risale in macchina pieno di delusione per il mancato coraggio.
Non sapeva ancora che nel giro di qualche istante il suo destino sarebbe cambiato per sempre, e purtroppo non solo il suo.
Quella notte, mentre è assorto tra i suoi pensieri, investe una giovane donna che muore sul colpo.
Da quel momento Elias si chiude in camera, diventando lui stesso un giudice che emette la condanna più severa, restare solo, in silenzio, scontando così la sua colpa per diversi anni.
Il vento però non lo puoi fermare e quindi piano piano muove i suoi passi alla ricerca di un nuovo posto dove provare a ricominciare.
Grazie alla musica e a Violetta trova la forza di uscire da quelle quattro mura che sono diventate la sua prigione.
Cerca dunque di cambiare aria lontano dalla Sardegna dove è cresciuto, un nuovo vento che porta coraggio.
Il vento non lo puoi fermare è un libro che trascina verso sentimenti difficili da gestire.
Sensi di colpa che annientano, ma è anche in grado, tra tutto quel dolore, di farci capire come sia possibile tornare a respirare piano piano.
Il vento non lo puoi fermare è ambientato a Cagliari e si percepisce tutto l’amore dell’autrice per la sua terra da come la racconta in queste pagine.
Un amore verso un’altra grande autrice sarda, Grazia Deledda, ed è dal famoso romanzo Elias Portolu che prende ispirazione per il nome del protagonista.
Vuoi conoscere la trama de Il vento non lo puoi fermare? Clicca sulla parola LINK
“Smettere di respirare, finché siamo vivi, non è possibile. Pure se vorremmo”.
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