Maggio e anche giugno sembrano i mesi in cui io sia destinata a trovare molliche del mio passato. Questa volta a ricordarmi di una ragazzina idealista che voleva fare la curatrice del British Museum è Andrea Marcolongo con Spostare la luna dall’orbita, edito per Einaudi.
Frequentavo il quinto anno delle superiori quando, durante la mia prima visita al British Museum, vidi i marmi del Partenone. Quella folgorazione si trasformò nella mia tesina di diploma di maturità sul sistema museale che fu la scusa per parlare “dell’impresa” di Elgin.
A mia difesa posso ricordare che ero giovane, acerba, innamorata di mondi perduti e anche un tantino arrogante nella mia supponenza?
Parte della frase è ancora vera ma questa è una storia per un’altra volta.
A quel tempo trovai negli archivi on line del museo il firman in lingua italiana che permetteva ad Elgin di portare via da Atene i marmi del fregio più famoso del mondo e che lasciava pensare che, in un qualche modo, ci fosse stata una compravendita.
Lo ammetto anche con una certa riluttanza: che i marmi fossero a Londra, in seguito a quel documento, mi sembrava se non giusto quanto meno regolare.
Ora ve lo dico: non sapevo niente!
Ma il mio professore di inglese era ed è un suddito leale e integerrimo della corona inglese e mai si sarebbe sognato di contraddire qualcuno che data, seppur implicitamente, ragione a coloro che espropriarono legalmente a Lord Elgin i marmi che non del tutto legalmente lui trafugò dall’Acropoli.
La Grecia, al tempo dell’operato di Elgin per conto del governo inglese, era sottoposta al governo turco.
L’Acropoli era poco più che un deposito e una polveriera.
Diciamocelo, alla Turchia non interessavano i monumenti in maniera particolare ma, finché le lusinghe e una vittoria su Napoleone non si misero di mezzo, non avevano mai permesso a nessuno di portar via alcunché dal suolo sacro dietro ai possenti propilei dell’acropoli.
Lord Elgin portò via i marmi ed ebbe a che pentirsene amaramente, anche se a quel tempo lui non lo sapeva ancora.
Quando, negli stessi anni del mio diploma, Atene si preparava ad accogliere le Olimpiadi, il governo greco chiese la possibilità di ospitare i marmi ad Atene, perché la richiesta di potersene riappropriare era stata, di nuovo, respinta poco tempo prima, Londra rispose: ci sono i calchi di Basilea, potete prendere quelli.
Non credo fossero la frase letterale ma di sicuro il senso era quello.
Ricordo che rimasi stupita dalla violenza della risposta.
Potevo capire la riluttanza e l’attaccamento ad un cavillo legale, che ora so essere labile, ma non il necessario sberleffo nei confronti della Grecia mettendo in mezzo una terza città che non aveva nemmeno preso parte alla disputa.
Di solito chi si accanisce e alza la voce ha, quasi sempre, torto o la coscienza non esattamente nel punto di bolla.
In Romagna si direbbe che i Greci rimasero “sbattezzati” sia dal coraggio di Elgin nel portare via le opere che dal fermo e categorico rifiuto di rivedere la posizione in merito alla restituzione delle teorie di metope e dei fregi ateniesi.
L’espressione “sbattezzati” sta a significare: come a Spostare la luna dall’orbita.
La frase dell’archeologo Edward Daniel Clarke fu pronunciata nel descrivere lo sgomento greco di fronte agli operari che lavoravano al trafugamento.
In epoca moderna esiste una legge secondo cui le proprietà artistiche detenute legalmente dai grandi musei europei sono inalienabili ma, prima che il governo inglese acquistasse il patrimonio artistico proveniente dal tempio di Athena Parthenos in maniera inalienabile e incontestabile, lord Elgin aveva avuto lo stesso diritto legale sulla proprietà incontestabile, culturale e artistica, di un paese che non era libero di disporre nemmeno della libertà di definirsi un paese?
Quindi mi sono chiesta più volte, anche mentre leggevo Spostare la luna dall’orbita: fermo restando che il Partenone è una delle architetture più stupefacenti che hanno riempito i miei occhi, come sarebbe stato se lo avessi potuto ammirare con il suo corredo scultoreo ancora al suo posto?
Non posso nemmeno invidiare il lord inglese che si presentò al cospetto del periptero d’Athena solo dopo che il saccheggio era avvenuto.
Avrei quasi potuto capirlo di più se avesse deciso cosa portare via dopo averlo potuto vedere nella sua interezza.
Forse avrei potuto.
A dire il vero, a questo punto, proprio non lo so.
Avrà pensato, per un secondo, al fatto che non poter portare via anche il tempio fosse, se non per pietà verso la Grecia o paura dell’Ira della dea glaucopide, un buon motivo per lasciare le statue dov’erano?
Se fossero rimaste lì sarebbero sopravvissute? Anche questa è una suggestione che mi sono concessa di rimirare e che mi ha convinta a non approfondire quando volevo solo essere l’unica a proporre una questione attuale al mio esame di maturità.
Lord Elgin, il governo inglese, tutti i posteri si sono sollazzati nel poter pensare di aver salvato le opere come d’altronde ho fatto io.
Ma se si tratto un salvataggio, vuol dire che poi, il salvato potrà tornare a casa e al calore della sua casa.
Spostare la luna dall’orbita è esattamente lo sgomento dello sbattezzato che non riesce proprio a comprendere il perché la risposta ad una domanda legittima, con argomentazioni e precedenti più che legittime, sia sempre un No.
Non vi saprei dire se sono suggestionata dalle parole di Andrea Marcolongo sulla questione annosa della storia dei marmi di Atene ma, privata della mia puerile certezza della giusta proprietà di Elgin nei confronti del corredo statuario del Partenone, mi sento di unirmi a coloro che, vedendo quello che era Uno diviso due luoghi distinti, hanno sentito la forza dello strappo del tempio dall’opera di Fidia.
L’ho realizzato proprio ora, mentre a 18 anni capivo solo che la sala del museo era adeguata come misure ma non alla luce da cui dovrebbero essere baciate.
Ero io quella ad essere abbacinata dall’essere in uno dei musei più grandi al mondo e alla presenza del corredo statuario più magnificente che io avessi mai visto.
In quel momento, la mia vita era riuscita a Spostare la luna dall’orbita e forse l’ho messa ancora più lontana da dove l’aveva posata Lord Elgin.
Davanti a me la dea Athena tentava di nascere dalla testa di Zeus provocandogli un poderoso mal di testa che il sovrano degli dei avrebbe dovuto prendere ad esempio della furia di sua figlia, nel lato a me opposto si svolgeva la lotta tra la dea e Poseidone per il dominio sulla città di Atene.
Conoscendo la storia di questi marmi, priva di troppi particolari, dei marmi avrei dovuto, però, percepire che Atena più che con suo zio era adirata con chiunque non la stesse riportando alla sua legittima casa.
Spostare la luna dell’Orbita è, in parte, la storia di Lord Elgin e del trafugamento delle opere dell’acropoli ateniese; ma è anche la notte più sconcertante che l’autrice abbia passato: una notte all’interno del Museo dell’Acropoli, completamente sola ma in compagnia di ciò che resta dell’apparato iconografico rimasto in sede.
Questo museo è giovane, concepito attorno ai vuoti della cultura greca e non attraverso i suoi pieni.
Il senso della tragedia lo pervade e lo anima.
Passare una notte così è un onore e un onere per chi ama la cultura greca.
Il libro è anche questo ma, come spesso accade con questa autrice che io adoro, le pagine traboccano anche di molto altro.
E di colpo siete ad Atene, a Londra, su navi stipate di carico che naufragano, nella vita di un’autrice onesta nei confronti della sua vita e della sua opera e di fronte ad una delle opere più grandiose mai costruite.
Potete, forse, se le avete visto sia i marmi che il tempio, riuscire ad immaginarvi il Partenone ancora unito e ancora sfolgorante di colori abbacinati dai riflessi del marmo che lo componevano.
Chissà, forse Carlo III potrebbe prendere in considerazione di esercitare una migliore influenza culturale a livello mondiale e arrivare ad un accordo per le opere di Fidia.
Sarebbe un sogno.
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