Lo aspettavo da molto tempo e finalmente oggi: 16 maggio 2023, il secondo libro di Elodie Harper è in tutte le librerie. Seguito de Le lupe di Pompei, sugli scaffali di tutte le librerie e, finalmente, tra le mie mani, arriva La casa dalla porta dorata.
Ricordate le ragazze del lupanare di Felicio?
Amara ormai liberata dal generale della flotta romana Plinio e sotto il patrocinio di Rufo è fuori dalle follie rabbiose del feroce lenone.
Didone, la migliore amica di Amara, è stata trafitta da un pugnale che l’ha uccisa al posto di Felicio.
Ed ora eccoci qui, tra le mura de La casa dalla porta dorata.
Qui vive Amara, ormai liberta, come concubina di Rufo a cui la ragazza piace fragile come un uccellino in gabbia e come tale vuole vederla cantare e suonare.
Quello che il patrizio non sa è che Amara potrà anche essere l’oggetto dei suoi desideri ma non è fragile.
La realtà, che la spaventa, è che la sua sete di libertà e indipendenza la fa somigliare all’uomo che fino a poco tempo prima era il suo padrone.
Amara, non Timarete (il suo vero nome, quello che le ha donato suo padre alla nascita), è costretta ad essere quello che la vita le ha insegnato.
Più che un nome il suo è, ormai, un titolo conquistato a fatica.
Purtroppo oltre ad essere spregiudicata e dotata di un forte senso di sopravvivenza, Amara è la trasfigurazione della vendetta della dea Diana.
La dea che ne La casa dalla porta dorata ha il volto di Didone è la mandante di una furia chiamata Vendetta.
Quest’ultima si è impossessata di Amara e l’acceca con il dolore per la perdita della sua amica.
È per perseguire la tempesta della vendetta che si ritrova ad avere a che fare con Felicio, di nuovo.
Amara costringe l’uomo a liberare Vittoria e venderle Britanna; così facendo si indebita e si ritrova in una spirale discendente in cui trascinerà tutto quello che ha di più caro.
Forse, in fin dei conti, Gaia Plinia Amara non è così spregiudicata come crede di essere.
Questa, come il precedente libro, non è una storia di salvezza.
La casa dalla porta dorata non è la libertà.
Quattro mura costituiscono l’illusione di avere qualcosa che le appartenga ma sono solo una gabbia più grande con un guinzaglio più lungo di qualche metro.
Il precipizio è ancora lì: più lontano forse ma più profondo di qualche decina di metri.
Amara non sta giocando con il fuoco ma con l’intero cratere che sovrasta Pompei e, ormai, non è più il suo solo destino ad essere appeso ad un filo sottilissimo.
La scelta è chiara: sopravvivere ancora a dispetto di tutti e tutto o sfidare la sorte con le carte più orribili che il destino può servire?
L’esistenza di Amara è un gioco sulla lama di un rasoio; ogni respiro è una lotta per la sua anima in cui il suo antagonista peggiore è il riflesso che vede nello specchio della sua toeletta.
La casa dalla porta dorata è un altro successo di Elodie Harper.
La condizione della donna della seconda metà del I secolo d.C. non è il solo scoglio che viene affrontato e su cui il lettore viene spinto fino a frantumarsi ed escoriarsi la pelle, ma è l’intero substrato sociale che muove l’impero ad essere sviscerato ed esposto come un corpo lasciato a marcire nella discarica fuori le mura di Pompei.
Della fiorente città campana noi ricordiamo le favolose rovine, i meravigliosi doni che ancora ci restituisce, i magnificenti dipinti e i ridanciani motti di spirito sui muri ma… tra quelle vie e quelle mura vivevano migliaia di persone di cui la storia ha dimenticato di prendere nota.
Ora ce li ricorderemo tutti, grazie a questa saga, possiamo dar loro un nome da iscrivere sulle steli.
Dove trovate la trama de La casa dalla porta dorata? Cliccate la parola LINK
Chiude gli occhi, immaginandosi di essere a casa, al sicuro nel suo studio privato, non seduta qui, sulla pubblica piazza, a sorridere nonostante la paura.
Di recente avrete visto in libreria un libro dalla copertina spettacolare e vi sto per raccontare che la meraviglia non si ferma all’abito. Raybearer di Jordan Ifueko è un libro da leggere. Edito da Fazi, nella collana Lainya nel gennaio 2023 si prepara a diventare una storia iconica.
Negli ultimi anni mi sono trovata ad ammettere che molti libri pubblicati per quella fascia di lettori chiamata Young Adult mi disturbano.
Non so più se sono io che non mi rispecchio più nella mia vita da giovane adulta o davvero la letteratura per ragazzi è cambiata talmente tanto da darmi il mal di testa.
MA… MA tra milioni di titoli ci sono delle PERLE che ti fanno dire: “allora non è tutto perduto!”
Raybearer è letteralmente il portatore di raggio che stavamo aspettando.
Tarisai vive in un bellissimo castello ma nessuno vuole toccarla. Tutti si occupano di lei perché è figlia di Lady ma sono molto ben attenti a non farsi avvicinare più del dovuto.
Sua madre è una donna potente, rispettata ma, sopra ogni altra cosa, Lady è temuta.
Tarisai la ama con lo stesso ardore di una fiamma che bisogna dell’aria, con la stessa fame che la terra arida ha della pioggia ma Lady non c’è MAI se non rare volte in cui si informa dei progressi negli studi.
Rari segni di affetto e nessun incoraggiamento.
Passa la sua infanzia sottoponendosi a studi intensivi su qualsiasi materia, sulle culture dei popoli del regno e sui loro idiomi ma per sua madre non è mai abbastanza.
«Non meritiamo il fardello che i nostri genitori ci hanno imposto. Però non possiamo sconfiggere mostri che non affrontiamo»
Un giorno, due tutori sconosciuti vengono scelti per accompagnare Tarisai in capitale.
La bambina non capisce, non è mai uscita da casa sua. Lady le mostra un ritratto e le chiede se vorrebbe conoscere il bambino di cui la tela reca l’immagine e la piccola acconsente, potrebbe essere il suo primo amico e il Narrastoria sa che Tarisai anela l’affetto di qualcuno più del respiro.
Raybearer è un romanzo intricato. Quando pensi di capire, un’altra scatola si apre e ne fuoriescono magia e molto altro.
È la storia di una ragazzina che è stata allevata per uno scopo che non comprende, è stata concepita con l’inganno e mandata al macello costretta da un desiderio che non le appartiene.
Tarisai tenterà di ribellarsi e prendere le distanze dalla voce che le impone costantemente il suo compito ma non è facile.
Come si può scrollarsi di dosso l’unica persona che è sempre stata CASA e di cui hai sempre voluto l’amore e l’affetto?
Raybearer è anche la storia dei difficili rapporti che i giovani hanno con i loro genitori.
Ad un certo punto, volenti o meno, il distacco deve avvenire. Deve essere così: i figli non sono una proprietà e non sono uno strumento.
Raybearer è una storia di amicizia e di fiducia, di manipolazioni e antichi rancori.
È una storia ma anche una metafora ed è così che un fantasy deve essere.
Narrare i problemi del mondo trasportandoli in una storia appassionante che elabori realtà altrimenti difficili da assimilare nella vita quotidiana è un compito arduo e Raybearer compie l’atto di prendere il testimone di un retaggio che non sempre viene compreso.
Il fantasy non è una bella storia. Non è inserire creature immortali e soprannaturali. Non è creare un mondo che non è il nostro ma creato ad arte per impressionare il lettore.
Il Fantasy è la massima espressione della metafora ma non della strumentalizzazione.
Celare tra le righe qualcosa che è come un tesoro è un’arte raffinata. Una volta trovato, quel tesoro nascosto, nessuno può portartelo via: Nessuno.
Ho trovato Raybearer affascinante. Un libro ben scritto e mai una volta in queste pagine ho pensato che l’autrice stesse strumentalizzando la sua storia.
La narrazione è ponderata, carica di significati, mai volgare. Tra le pagine regna una poesia difficile da trovare e la puntualità di chi non è abituato a girare attorno ai nomi delle cose.
Questo è il primo volume di una dilogia che si preannuncia spettacolare.
Netflix ha già annunciato la produzione di una serie ispirata a queste pagine e la attendiamo tutti con ardore.
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“Non ho mai capito perché i mortali rendano sempre tutto così complicato. La storia di Am per uomini e donne è sempre stata semplice: siete eguali, creati per lavorare a fianco a fianco. Ma ogni volta che si tratta di potere, i mortali detestano la semplicità”
Quando ho letto il titolo di questo libro, nella mia mente si sono create immagini che rievocano scenari ancestrali. Naomi Mitchinson, nel 1931 circa, scrive Il Re del Grano e la Regina di Primavera, edito nella nuova traduzione per Fazi nel 2022 e inserito nella collana Lainya.
Questo libro è considerato uno dei capolavori del fantasy e, anche se con qualche riserva, si può dire che la fama sia meritata.
Ma Il Re del Grano e la Regina di Primavera è molto più di questo.
Cosa non sapete de Il Re del Grano e della Regina di Primavera?
Normalmente non leggo le altre recensioni scritte in merito a libri che sto analizzando per non essere, in qualche modo influenzata dai giudizi altrui ma, questa volta l’ho fatto.
Potete leggere che questa è la storia di Erif Der (la Regina di Primavera) e di Tarrik (il Re del Grano), di come l prima cercò, per ordine di suo padre e suo fratello, di ammaliare con la magia Tarrik per poter poi ottenere il potere sulla comunità di Marob.
Il che non stava a significare avere solo il potere politico ma anche quello religioso.
Scoprirete che Marob non è una città esistita ma immaginaria all’interno del territorio degli Sciti e che in questa popolazioni le donne sono detentrici di poteri magici.
Vi diranno che Erif Der e Fililla (uno degli altri personaggi femminili) sono l’emblema di donna che lotta contro una società patriarcale e che, attraverso la forza di volontà e un carattere incandescente, ottiene un’emancipazione dai costumi sociali della sua epoca.
Tutto questo è vero, ma c’è molto di più. Altrimenti nelle 790 pagine di questo libro vi perdereste senza trovarne il capo e la coda.
Cosa, quindi, c’è da scoprire ne Il Re del grano e la Regina di Primavera?
Siamo pressappoco in età ellenistica, Alessandro è già passato a miglior vita (cosa che davvero gli auguro) e i diadochi hanno messo a ferro e fuoco il suo impero riducendolo in frantumi.
La narrazione inizia in Scizia, territorio più o meno compreso tra il Volga e il Dnestr (per aiutarvi è, grosso modo, il luogo in cui oggi si combatte una guerra), e tocca molti altri territori famosi: Sparta, Megalopoli e Alessandria.
Alcuni dei personaggi sono realmente esistiti, come potete constatare dalla casa regnante di Sparta che dei fasti dell’antica città guerriera ha ormai solo il nome.
Ma fino a qui non vi ho ancora detto cosa non avete ancora scoperto di questo corposo ma bel libro.
Non fatevi fuorviare dalla ricerca della bellezza di Berris, dalla fame di toccare l’intangibile di Tarrik e dalla lotta all’emancipazione di Erif e Fililla.
Il Re del grano e la Regina di Primavera nasconde il suo vero significato in un capitolo che potrebbe passare inosservato.
Sto parlando della cerimonia del raccolto. Tutte le culture toccate da Naomi Mitchinson hanno in comune la celebrazione del raccolto, è un rito di passaggio ed è qualcosa di ancestrale per ogni popolazione a prescindere dai riti religiosi che questa pratichi.
Sapete cosa hanno in comune tutte queste popolazioni nel libro?
Tutte sono in un momento di mutamento in cui l’ordine è sul punto di spezzarsi, sono tutte in un inverno in cui solo un apparente distruzione invernale può portare alla rinascita primaverile.
Affrontare un “male” necessario per consentire alla terra di rinascere, questo avviene in natura e nelle civiltà, anche se gli esseri umani spesso hanno modi davvero discutibili di mettere in pratica questo meccanismo di rifioritura.
La Mitchinson crea una storia che solo in apparenza è una storia tra ragione e sentimento, tra filosofia e magia, in questo il suo amico Tolkien le ha ben insegnato.
Nascondere tra le trame la struttura di segreti che, forse, non hanno bisogno di essere spiegati a chi vuol intendere.
C’è ancora molto altro da scoprire e non sempre i protagonisti ve lo renderanno facile!
Vi auguro una buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate.
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Ari il campo, ma non è tuo. Perchè il campo dovrebbe ascoltarti? La terra chiusa non vuole l’aratro, e fredda e dura sarà per il seme. Perchè dovrebbe venire la primavera?
Ogni lettura per me è diversa. Alcune volte la mia attenzione si impiglia, viene trascinata dalle maglie della storia e la passione per la narrazione aumenta fio a che non mi trovo completamente travolta dalla storia. Questa volta la storia mi ha travolta ma non nella maniera consueta: Le Lupe di Pompei di Elodie Harper, edito per Fazi nel 2022, è stata più una catena che mi ha immobilizzata e mi sono accorta di cosa succedeva solo quando mi sono sentita soffocare.
Questo libro è solo il primo di quella che si preannuncia una trilogia davvero interessante.
Lo ammetto con i lettori, questo libro mi è finito tra le mani perché mi aspettavo una storia interessante ma leggera.
La copertina non fa pensare ad un libro frivolo ma dona al colpo d’occhio un tocco seducente che permette di acquistare questa storia per poi svegliare il lettore con tutta calma, giusto un passo dopo aver varcato la soglia del Lupanare.
Quasi tutti sanno che i Lupanari nella società romana erano i postriboli in cui le donne svolgevano il mestiere di prostitute.
Ma, oltre ad immaginare l’ovvietà della condizione di queste donne (non che non ci fossero degli uomini) schiave e prigioniere, vi siete mai soffermati a pensare che queste fossero delle vite appartenenti ad esseri umani?
Sembra una domanda scontata o una critica ma non vuole esserlo. Si sorvola sempre sulle vite delle persone che vissero molti secoli prima di noi, non ci si chiede mai come fosse essere loro.
La vita di una schiava o di uno schiavo, per la maggior parte di loro, era dura. Stenti e fatica erano all’ordine del giorno e della notte e solo qualcuno trovava un padrone giusto, di questi ultimi solo una parte finiva di riacquistare la propria libertà.
Ne Le lupe di Pompei riacquistare la propria libertà è per lo più un miraggio.
Questo è un libro sulle umili della storia.
Il libro è ambientato a Pompei solo qualche anno prima della grande eruzione e non molti anni dopo un grande terremoto che sconvolse la regione partenopea e non solo.
Elodie Harper ha ricostruito una Pompei viva, una pittura molto più che vivida di una cittadina che era un crocevia di genti e molte etnie diverse.
Ha dipinto il mondo degli schiavi in modo che ne Le lupe di Pompei il lettore potesse sentire le catene e potesse finire strozzato da queste.
Le vite narrate sono cinque, ognuna delle ragazze fa i conti con la vita come meglio riesce.
Delle cinque è Amara quella che il lettore segue più da vicino ma attraverso lei e alla sua presa di consapevolezza del mondo in cui vive, si capisce che nemmeno il punto di vista più vicino è sempre abile nel capire quello che lo circonda.
All’inizio della lettura non capivo se il libro mi piacesse. Le lupe di Pompei non si è fatto amare subito, mi sono affidata alla fine ricerca storica dell’autrice e ho deciso di prendere per mano la sua protagonista per capire cosa ci fosse che non riuscivo a capire.
Sapete cosa stava succedendo? Le lupe di Pompei mi stava mostrando delle realtà che il mio cervello non stava accettando.
Mi sono data della sciocca da sola, in fondo sono un’archeologa e conosco i luoghi. Quello che non mettevo a fuoco e che conosco i luoghi, conosco il loro uso e liquidavo come quello che succedeva al suo interno come la conseguenza di un dato di fatto.
Il cinema e la letteratura ci hanno più volte detto cosa capitava alle prigioniere di guerra, alle indigenti. Io stessa ho parlato delle donne di Troia nella mia ultima recensione su Il pianto delle troiane, eppure ho dimenticato.
Ho dimenticato che non solo le protagoniste di una storia famosa come la guerra di Troia hanno avuto un epilogo tragico ma è anche la sorte di altre protagoniste di “guerre” molto più piccole e non cantate dalla storia.
Le lupe di Pompei erano donne con un’anima esattamente come la mia e le vostre e si sono guadagnate il diritto di raccontare la loro storia.
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